venerdì 30 dicembre 2011

Tre notti due giorni

Santa Sofia ci lascia senza fiato.
Non da fuori, dove i minareti la rendono troppo uguale a una moschea qualunque e i rifacimenti nascondono le forme originali della basilica.
Dentro.
Dentro è immensa, con cupole altissime dorate, enormi colonne, vetrate colorate. Però è un museo, e nonostante i mosaici, nonostante i capitelli di pietra scolpiti, nonostante la storia di intreccio tra cristianità e islamismo che racconta la strana miscela di iscrizioni latine e arabe, non c'è sacralità. La gente cammina, parla, ride, si siede, le guide accompagnano frotte di turisti che scattano foto. Un gatto si scalda alla luce della lampada che illumina il minbar. Colossali medaglioni campeggiano sulle colonne, ci sono incisi i nomi di Maometto e dei suoi successori, e nonostante vengano ritenuti una grandiosa opera calligrafica mi danno un'impressione di estraneità.
All'uscita, gli ambulanti vendono castagne e pannocchie e uomini con in mano dépliant vetusti elogiano strabilianti gite in barca sul Bosforo.
Il Gran Bazaar è un labirinto coloratissimo di piastrelle e di mercanti furbi, dove si trova tutto. Vuoi provare a dire una cosa? C'è. Gioielli? Ci sono. Tappeti, ceramiche, stoffe, lampade, dolci. Tabacchi? Ci sono. Spezie, cestini, pentole, frutta secca, frutta fresca, giacche di pelle, cappelli, tè, caffè. Scarpe, borse, profumi. Trottole, palle decorative, amache, calamite. Bar? A mucchi. Servono il tè in bicchieri trasparenti, un tè dal gusto denso, che scalda.
Due ragazze siedono nella saletta al primo piano, una porta il velo nero dalla testa ai piedi, ci dà le spalle mentre mangia un panino. Quando ce ne andiamo si rimette a posto il velo. Sto giusto pensando a cosa può spingere una ragazza giovane come lei a coprirsi in quel modo, che lei mi guarda con gli occhi neri che ridono e mi saluta con la mano. D'un tratto mi sento come se fossimo grandi amiche.

Scendiamo verso il porto, dove ci fermiamo a mangiare una zuppa calda e un kebab. La gente s'è messa in fila, una fila lunghissima, transennata, che fa il giro della piazza, per comprare i biglietti della lotteria. Quarantamila lire turche. Tralascio le considerazioni sull'entità della somma, ma non ho mai visto una tale paziente fiducia nella buona sorte.
Lungo il muro della Moschea Nuova ci facciamo pulire le scarpe da un ambulante, e con i piedi scintillanti attraversiamo il ponte di Galata, incredibilmente affollato di pescatori.
Il tragitto nel Tunel è brevissimo, in meno di due minuti arriviamo sulla sommità della collina. I ragazzini corrono dietro al tram e si aggrappano al predellino facendo la gara a chi resiste più a lungo.
C'è una strada piena di negozi di strumenti musicali, eccezionalmente specializzati: uno solo di chitarre, uno di piatti, uno di percussioni, uno di archi. Immagino d'estate un frastuono di musiche, ma oggi non si sente niente, son tutti rinchiusi nelle vetrine insonorizzate.
Dalla torre Galata vediamo la città, il ponte sul Bosforo, le moschee, il tramonto, rosso e giallo, e il vento è così gelido che non sento più le mani, ma restiamo lì, incastrati sulla cima, a goderci gli ultimi scampoli di vacanza.
È che di solito le agenzie propongono improbabili soggiorni che durano tre notti/cinque giorni, sei notti/nove giorni, che non sai dove vanno a finire quelle notti lì. Noi siamo gli unici a fare tre notti due giorni.

giovedì 29 dicembre 2011

Naila delle saponette

All'ingresso del Cagaloglu Hamami ci sono due vasche piene di saponette dal profumo intenso. Attraverso un corridoio deserto, entro nella hall, che scopro chiamarsi camekan, dove si può prendere il tè e fare due chiacchiere con le amiche, e vengo delicatamente sospinta verso lo spogliatoio dove lascio la borsa e i vestiti. Esco avvolta in un telo rosso e con ai piedi delle enormi ciabatte di legno con cui non riesco a camminare, e probabilmente è cosa comune perché una ragazza si avvicina e con fare materno mi prende la mano sottobraccio e mi accompagna verso l'interno.
L'hararet, la stanza principale del bagno turco, è una sala di marmo con una grande cupola tempestata di finestrelle a forma di stelle. L'aria è calda e umida ma non piena di vapore come mi sarei aspettata. La ragazza mi indica un lavello dove scorre l'acqua, mi fa segno di sedermi e di insaponarmi e mi mostra una vaschetta con cui posso prendere l'acqua. Eseguo, un po' incerta dato che c'è solo una ragazza stesa sul tavolo di marmo e non posso copiare nessuno.
Il fatto è che ai bagni Cagaloglu, famoso hamam a metà strada tra Santa Sofia e il Grand Bazaar, puoi scegliere varie opzioni:

1. il fai da te, dove puoi lavarti per conto tuo “mentre guardi il tessuto storico dell'hamam”.
2. il guanto di crine e lavaggio, per un effetto peeling su tutto il corpo
3. il massaggio alla turca, dura dieci minuti ma promette di farti rinascere
4. il servizio bagno completo, offre il 2 e il 3 insieme
5. il servizio completo orientale di lusso, dopo il massaggio secco (2) offre anche il massaggio “ottoman di lusso” non meglio specificato
6. il massaggio aromateriapia con oli, che dura 45 minuti
7. il servizio imperatore sultano mahmut, che comprende: massaggio secco, massaggio di schiuma, due massaggiatori per il rilassamento, idratante speciale e spremuta d'arancia.

Dato che i due massaggiatori non ci sono di sicuro, visto che nei bagni uomini e donne sono rigorosamente separati, scelgo il massaggio alla turca, ma non son mica tanto pratica, non ho idea della procedura. Comunque intanto mi insapono, che dopo la sfacchinata della mattina una lavatina ci sta bene.

Boh, adesso che faccio? Magari mi distendo anche io, giusto per rilassarmi, come fa quella là. C'è caldo, adesso. Va' che bel lampadario, dodici lanterne in circolo, tutto esagonale, anche le porte son belle, cioè, non sono porte propriamente, sono aperture con le volte trilobate, e tutto è in marmo bianco e grigio. Mentre son lì che penso arriva una ragazza, si spoglia, grandi tette e grande pancia, si bagna, si infila un costume nero (la divisa delle inservienti), prende una saponetta e viene verso di me.
Mi sorride, Naila, denti bianchi e occhi neri. Mi fa segno di distendermi e comincia a insaponarmi, e insapona, insapona, dalla testa ai piedi, massaggia e insapona, insapona e massaggia, poi mi fa voltare, insapona, insapona, massaggia e insapona, insapona e massaggia, poi mi fa sedere e massaggia, insapona e massaggia. Ora capisco perché c'è scritto che le saponette sono comprese.
Secondo me non son mica solo dieci minuti, ma mica la fermo.
Poi mi fa alzare, mi riporta al lavello, mi fa sedere sul telo e comincia a sciacquarmi. Mi sento un po' come quelle regine che si vedono in certi film. Toh, penso, non ho neanche un fermaglio per i capelli, si bagneranno un po' anche se li tengo su con la mano.
Seduta dietro di me, Naila occhi neri, “rilassati” mi dice, e mi fa appoggiare la nuca tra le sue enormi tette, poi a tradimento mi butta una secchiata d'acqua in testa e comincia a insaponarmi, massaggia e insapona, poi un altro paio di secchiate, risciacqua e ancora insapona, massaggia, risciacqua.

Beh, non c'è dubbio, sono veramente pulitissssima. E mica lo sapevo che quando si dice bagno turco si intende propriamente bagno per lavarsi come un turco. Pensavo che l'iperbole si riferisse solo al fumo, ecco.
Nel sogukluk, stanza adibita al rilassamento dove tre ragazze sembrano dormire avvolte nei loro morbidi asciugamani, mi consegna un telo asciutto, mi ci avvolge, poi con un asciugamano mi fa un turbante, mi prende ancora sotto braccio e mi accompagna allo spogliatoio.
Sulla ringhiera del camekan, in alto, c'è un grande cartello: Cagaloglu Hamami - One of the 1,000 places to see before you die.
Non ho idea di quali siano gli altri posti, ma ora sono a quota 999. Almeno a mia insaputa.
Quando esco, prendo un paio di saponette, così per ricordo. Anche se mi sa che la Naila non me la dimentico.

mercoledì 28 dicembre 2011

Instanbul giorno uno

La sala della colazione dell'Hotel Obeliscus alle otto è deserta. Un gabbiano cerca col becco briciole di pane battendo col becco sulla vetrata, un passerotto svolazza di tavolo in tavolo e poi si ferma a guardare il mare.
Etienne, giovane e solerte commerciante incontrato sulla via, ci accompagna all'ingresso della Moschea blu, facendoci da guida, e ci lascia sulla porta dove un gatto sembra fare la guardia.

Con le scarpe nel sacchetto e la sciarpa sulla testa entriamo nella moschea, chiusa per due terzi da una ringhiera oltre la quale un uomo sta accuratamente passando l'aspirapolvere.
Grandi lampadari scendono quasi fino a terra, e nient'altro. Alle pareti, bellissime piastrelle decorate contornano finestre e vetrate, il sole riflette sul pavimento strisce di luce colorata. L'aria fredda passa dai portali spalancati e arriva ai piedi scalzi e poi su alle gambe.
Fuori, una lunga fila di rubinetti per lavarsi i piedi e sgabellini di pietra dall'aria gelida, sei minareti dall'aspetto imponente e grandi portali di legno.

Poco distante entriamo nella Cisterna Basilica, grande sala sotterranea dove centoquaranta colonne in fila si riflettono nell'acqua creando strani riflessi. Oltrepassiamo i divanetti dove propongono fotografie in costume da ottomano, il chiosco di cartoline e il Cistern Café con menu fast food. Prendiamo l'audio guida, un auricolare per ciascuno, ridiamo tutto il tempo alla pronuncia della voce recitante che sembra Ollio in versione femminile e lanciamo una monetina nella vasca dei desideri.
Se il mio si avvera ve lo dico.

A Palazzo Topkapi ci sono le guardie armate, ma i turisti sembrano non farci caso. La residenza dei sultani è grande, veramente grande, le stanze dell'harem sono tappezzate di piastrelle più della moschea blu, il famoso pugnale con gli smeraldi ha degli smeraldi così grandi che sembrano finti e il grosso diamante, controllato da una guardia, è egregiamente riprodotto nel museum shop all'ingresso, come gran parte del preziosissimo tesoro dei sultani. Sembra proprio una favola. Da una delle terrazze si vede il canale del Bosforo, e il vento gelido mi fa lacrimare gli occhi. Non posso non farmi immortalare proprio qui, anche se mi è sceso il mascara, anche se il vento gelido mi scompiglia i capelli, anche se ci sono cento persone nella stessa posa, con la stessa aria infreddolita.

martedì 27 dicembre 2011

Viaggio a sorpresa giorno zero

Dopo un'ora e mezza di viaggio in macchina in direzione est, le probabilità che la meta della mini-vacanza sia Roma scemano drasticamente, e si profilano invece altre due ipotesi: una tre giorni di mare d'inverno a Jesolo Lido o l'aeroporto di Venezia.
Opto per la seconda, che si concilia anche con la presenza dei passaporti nella tasca esterna della giacca del Bighi, che ce li ha infilati di nascosto (nulla sfugge all'occhio vigile della Wonder).

Venezia porta d'Oriente. Magari avrei potuto arrivarci, con uno sforzo d'immaginazione. Ma una sorpresa è una sorpresa, e Istanbul non fa eccezione.
La passeggiata all'una di notte ci affascina, la luce gialla dei lampioni si mescola al nero della notte e ci riempie di frizzante curiosità.

lunedì 26 dicembre 2011

Natale a sorpresa

Sembrano tante, tre settimane.
Uno pensa che in tre settimane avrà tempo per fare, mangiare, salutare, vedere tutto quello (quelli) di cui ha nostalgia, e anche qualcosa in più.
Ma non sono mica tante, tre settimane. Infatti ne son già passate due.

A casa dell'Amica Barbara e del Gio conosco la mosaicista motociclista quadrimamma e mangio i bigoli con l'anatra, al Caffè Trento faccio colazione con l'Amica AleSarda e una brioche alla crema, alla Locandina Cappello bevo un Lugana con il Vicino Preferito, alle Giubbe Rosse guardo e leggo e compro libri, alla Feltrinelli guardo e leggo e non compro niente, alla Fnac mi perdo il concerto di Mario Biondi ma incontro AnnaLaRossa, in ufficio vedo il Supercapo T e la collega Fabi, e in banca saluto le quasi-colleghe e i quasi-colleghi e il quasi-capo dal nome di tram.

Riempiamo la casa di bambini e di palloncini per la festa di compleanno della BB, svuotiamo bottiglie di vino e teste dai pensieri per la cena con l'Amica di Arbizzano e Pietro l'Architetto, inzuppiamo il pandoro nella grappa e il panettone nel caffè, mangiamo di nascosto il budino al cioccolato e amaretti, lasciamo le bimbe grandi al NonnoGP per il Progetto Educativo che prevede la visita al più importante monumento cittadino, passeggiamo tra i negozi e le luci di Natale, beviamo un caffè viennese da Tubino e annusiamo l'aria familiare delle strade e delle piazze.
A casa dei Tini facciamo festa con i vecchi amici e mangiamo pizza e arrosticini e frutta secca, a casa della ZiaSandra facciamo colazione e confusione, a casa della NonnaMimmi passiamo il giorno di Natale.
Mica tutto, però.

Il Bighi, proprio lui, il marito romantico solo in fondo in fondo, l'uomo nordico d'aspetto e di cuore, l'ingegnere algido dalle passioni nascoste, mi ha portato via con sé.
Ha disseminato le figlie dai i nonni, ha prenotato una vacanza con destinazione segreta e il giorno di Natale, mentre tutti scartavano i regali in un tripudio di carte e fiocchi e baci e abbracci, mi ha preso per mano e silenziosamente ha chiuso la porta dietro di noi.
In valigia, una felpa di pile, un paio di jeans e un costume da bagno, perché non si sa mai, e un paio di stivali, perché le decolleté tacco dodici sono bellissime ma hanno lo svantaggio di non essere particolarmente comode. 
E io, che vorrei avere sempre tutto sotto controllo, che pianifico le mie giornate come un manager, che prima di partire leggo la guida turistica dalla prima all'ultima pagina, mi sono abbandonata al gusto insolito dell'ignoto.

domenica 18 dicembre 2011

Casa dolce casa

A Monaco, seduta sul divanetto della lounge ad aspettare il volo che ci porterà in Italia, mi sorprendo interessata ad ascoltare i discorsi incomprensibili sulla finanza di due signori che parlano una lingua del tutto comprensibile. E ce ne sono tante, di persone che parlano una lingua comprensibile, ne sono circondata. Sensazione bizzarra e inaspettata.
All'aeroporto, ad aspettarci, tre di quattro nonni, una macchina (intesa come macchina fotografica), due macchine (intese come automobili) e un pioggia leggera. A casa, grazie all'intervento della Gallia, nordica domestica che per l'occasione si è divisa in partes tres, niente polvere, niente teloni sul mobilio e tappeti puliti sul pavimento lucido.
Nel frigo, grazie al cuore di mamma della NonnaMimmi, sei uova, un litro di latte, due mozzarelle di bufala e una mezza soppressa, oltre a una discreta fornitura di biscotti.
Sul divano, grazie al cuore di Santa Lucia dello ZioAlberto, un bambolotto che fa il bagno, una barbie con il vestito allungabile e un vassoio di trucchi e belletti.

Dopo dieci minuti dall'approdo il pavimento della Bighicasa è ricoperto di giochi che le tre cucciole, ribattezzate per l'occasione Tifone Uragano e Tempesta, hanno ritrovato dopo quasi cinque mesi di astinenza.
Minimizzo, immaginando di schiacciare sotto i piedi frammenti di conchiglie sulla spiaggia anziché collane, forcine e cubetti del Lego sul tappeto della sala.
La Gabbianella non riconosce più la Circe, schnautzer sale e pepe in cui affondava la testa facendo Ooooo e a cui allungava di nascosto pezzetti di prosciutto e biscotti della colazione, e mi si aggrappa addosso come una cozza appena la vede. Gatto selvaggio si arrampica sul letto a castello senza la scala e si dondola a testa in giù. La BB si trucca occhi e bocca che quando il Bighi la vede fa un mezzo infarto proiettandola in una paventatissima anche se non imminente adolescenza.
Siamo arrivati.

martedì 13 dicembre 2011

A volte ritornano

Partiamo.
Ecco, giusto perché il comitato accoglienza possa organizzare la fanfara, arriviamo domani, alle tredici ora locale.
Sono gradite bandierine, trombette, petardi e coriandoli.

lunedì 12 dicembre 2011

La cena degli auguri

Arriviamo all'appuntamento un po' in ritardo, al 220 di Kang Ping Lu, strada silenziosa e deserta e buia nonostante la luna piena e il cielo limpido, senza stelle.

Nell'ingresso ampio e caldo del Petit Jardin c'è un lungo tavolo apparecchiato con caraffe di sangria e succo di anguria, biscottini dolci e vasi trasparenti con mazzi di fiori di campo. Buttiamo le giacche su un divano e prendiamo un bicchiere, contenti per una volta di aver lasciato le bambine a casa, così possiamo goderci la serata senza correre a salvare la cristalleria ogni minuto.

La gente è ancora in piedi e chiacchiera in varie lingue, anche se prevale l'italiano: ci sono due famiglie di coreani, una di iraniani, qualche inglese e qualche francese e qualche cinese sparso e una decina di italiani, a tratti con prole.

Per antipasto insalata con pomodorini, feta e uova, prosciutto crudo con ripieno di ananas che finisce in un baleno, salame e rucola con grana, olive marinate, formaggi freschi e stagionati, pane casereccio e vino bianco.
Le porte senza maniglie restano sempre aperte, e la gente va e viene con i piatti pieni, e si ferma a chiacchierare in piedi, torna al suo posto o cambia tavolo.
Pasta al ragù, risotto con i funghi, linguine al pesto, e poi pollo piccante (pane e vino rosso in quantità per recuperare l'uso delle papille gustative), filetto con verdure alla griglia, pesce con olive verdi e nere.
Scendendo alcuni gradini la sala si allarga, e accanto alla porta-finestra che lascia spazio a un albero incastrato tra i muri c'è un divanetto, alle cui spalle troneggia una porta, appoggiata come fosse un quadro.

Alle pareti, lunghi scaffali pieni di libri, vasi di edera ricadente, vecchie sedie di legno incastrate sulle mensole, la foto incorniciata di un gatto, ritratti antichi di signore impettite con i capelli raccolti e i fianchi stretti in corpetti con mille bottoni.
I piccoli tavoli quadrati e rotondi sono circondati da sedie di metallo piene di cuscini, sedie di legno e poltroncine con i braccioli, un gatto bianco e rosso è acciambellato su una poltrona e uno tutto bianco più irrequieto gira nelle stanze schivando le gambe degli ospiti.
In un angolo l'albero di Natale, con gli addobbi di stoffa bianca e rossa, in un altro una vecchia cucina economica bianca e verde usata come appoggio per bottiglie vuote e libri impilati. Le luci sono soffuse, e le lucine di natale lampeggiano dolcemente attorno all'albero e sui lampadari, vecchie gabbie di legno per uccelli o di metallo intarsiato. Suona una musica natalizia di cornamuse e di chitarre, coperta dalle grida di bambini e dal mormorio incessante.
Pezzetti di torta al cioccolato e di soffice cheescake. Vino rosso. I nuovi amici, vicini, e qualche faccia sconosciuta, o quasi, di contorno.

Quando usciamo, a mezzanotte, a due passi dal Grand Gateway, la città sembra deserta, l'aria fredda pizzica le guance e le gambe, e per un momento mi sento come tanti anni fa, senza pensieri, mentre saliamo abbracciati sul taxi e la Rebecca, amica cinese, si allontana per mano al fidanzato e saluta agitando la minuscola borsetta.

venerdì 9 dicembre 2011

Chinese Style

Al numero 1121 di Fuxing Zhong Lu, poco lontano dalla fermata della metropolitana, c'è un enorme edificio, il Tea City.
Fuori, sulla piazzetta all'ingresso, banchetti organizzati sotto tende bianche vendono vermicelli, noodles, spugne e funghi secchi, anatre secche tutte intere, anatre laccate e pezzi di anatra freschi, tè in pezzi, caramelle, pesci interi e pesci a pezzetti, dolci al sesamo, ravioli al vapore e salsicce bollite.
Dentro, tre piani di negozi con grandi barattoli trasparenti pieni di fiori, palline di tè, tè in foglie e tè sminuzzato, tè pressato e tè in blocchi, infusi di fiori e frutti, tè al gelsomino, al ginseng, verde, rosso, oolong, scatole e teiere, bacchette e ciotoline, e l'attrezzatura completa per la cerimonia del tè. Poi statue di budda, rane con le monete in bocca, draghi e tigri, vasi e fuochi d'artificio, che van sempre bene per tenere lontani gli spiriti cattivi.
Il venditore ci fa assaggiare qualche specialità, mette l'acqua bollente nella minuscola teiera, versa il tè in un altro minuscolo contenitore, con quello sciacqua le minuscole ciotoline che prende con le bacchette e rovescia sulla stuoia, e poi versa il tè, guardandoci in attesa del giudizio.

Compro delle belle scatolette di jasmine tea, oolong e le palline che immerse nell'acqua diventano fiori bellissimi, anche se forse l'infuso non è granché e non ho capito niente della spiegazione delle virtù delle varie specialità.

Più tardi, sulla FuZhou Lu, strada ricca di librerie e negozi tra Piazza Renmin e il Bund, ci fermiamo allo Shanghai Foreign Language Bookstore, quattro piani sorprendentemente deserti dove cerco invano un libro esaurito e dove dopo lunga ricerca compro tre libretti per le mie bambine, uno per una. Litigheranno, ma pazienza.

Alla sera, mentre le bambine dormono, sorseggio il mio infuso di rosa e arancia, aspettando che il Bighi torni a casa. Non so come si svolgano di solito le cene con i manager, ma di sicuro terminare la serata al karaoke è molto cinese.

martedì 6 dicembre 2011

Errori e spropositi, ovvero Dell'ereditarietà dell'apprendimento tardivo

La BB, cinque anni quasi sei, sta imparando da sola a scrivere al computer. Mentre ero impegnata al Community Center per la mia seconda dose settimanale di lezioni di cinese, la fanciulla, in vacanza forzata, ha provato a mettere su carta (ops, su file) quello che abbiamo fatto insieme.
Qui di seguito un distillato del titanico sforzo.
- falalalala lalalala cara mamma grazie
- oghi sonoandata al mercato dei fiori e ogi o fatoic honpiti a caza
- e stata la bb a fareichopiti dichineze
- e la mamma eandata a chnpahhare gatto a la zilo
- papanonafato i chonpiti
- perononsochozasocrivere
- ogi papa cercaditornare
- cao la bb
- lia fa lesionedichineze chon me
- o 5 ani
- BIGGIGOCI CIGAAILASASOGONTI
- CIGUOZFALANLIPINGUOTAOSELHOSHZLIZLILI

Risulta piuttosto evidente che ha ancora notevoli carenze grammaticali, serie difficoltà nel distinguere i suoni delle tre lingue e molte incertezze nella separazione delle parole in italiano e cinese (ancora non si cimenta a scrivere in inglese), ma ritengo superfluo angustiarsi adesso, a tre mesi dall'inizio della scuola.

Quello che preoccupa è che ha telefonato in Italia, al cellulare, alle tre e quarantacinque ora locale. Dopo tre tentativi, la povera NonnaMimmi ha risposto. Sono rimaste al telefono tre minuti e ventinove secondi. Non ho idea di cosa si siano dette, ma la BB sembrava piuttosto soddisfatta della sua impresa.

La BB ha imparato a telefonare con skype, e nonostante sia stata bonariamente redarguita non ha ancora ben chiaro il concetto di fuso orario. Però confido che col tempo lo capisca.

Invece temo sia superfluo sperare che la NonnaMimmi impari a spegnere il cellulare quando va a dormire.

lunedì 5 dicembre 2011

Mani fredde, cuore caldo

Le finestre sono appannate, e quando sposto la tenda una goccia di condensa scende incerta lungo il vetro e lascia una scia trasparente.

Il vento punge la faccia e le mani mentre allaccio la bici al palo e ficco in borsa il giornale che non avrò tempo di leggere, né voglia, forse.

In casa dell'Amica Francese c'è profumo di torta e caffè, e vogliamo prendercela comoda, ma dopo un'oretta usciamo verso TaiKangLu, perché Esse, mamma delle AASisters, è arrivata da un mese e non ha ancora fatto la turista, e vogliamo mostrarle un po' della nostra Shanghai.

In questa gelida mattina di dicembre Tianzifang è quasi deserto, anche se la luce è bellissima e c'è aria di festa, e non basta entrare in tutte le bottegucce per prendersi un po' di caldo, dal momento che la maggior parte non è riscaldata. Però mi piace guardare ancora tutte le ciotole, gli uccellini di ceramica, le borse di stoffa, le sciarpe e le piastrelle di smalto, le cartoline, i qipao, le bacchette colorate, i ventagli, le scatole, le bamboline le collane e mille cianfrusaglie, perché anche se le ho già viste dieci volte c'è sempre qualcosa di nuovo, sempre qualcosa di nascosto da scovare.

Camminiamo nel freddo fino a XinTianDi, e ci fermiamo a mangiare da M and J, ristorante italiano pieno di orientali al 156 di Xing Ye Lu, perché siamo stufe del cibo cinese e abbiamo un po' di nostalgia, e le fettuccine con pancetta e piselli e funghi sono buonissime.
Stiamo così bene che quasi ci scordiamo l'ora, e ci tocca correre un po' per tornare a casa dalle cucciole.

Qualcuno dice che il tempo non passa, a stare senza lavorare.
Io sono di altro parere.