giovedì 18 aprile 2013

Dei rischi connessi (Quello che il curriculum non dice parte seconda)

Ti torna in mente, rileggendo quelle due paginette di curriculum, di quella volta che durante il vernissage di una mostra importante che avevi aiutato a preparare, facendo uno stage (cioè lavorando gratis, in pratica), avevi incontrato un famoso critico d'arte, che si aggirava nelle sale vuote di gente come fosse stato il padrone e si tirava dietro per mano una ragazza bellissima come fosse stata una capretta legata a una corda, e quella ragazza aveva un nome francese ma parlava italiano e ti sembrava la ragazza più bella che avessi mai visto ma sinceramente sembrava anche poco interessata alla mostra che il critico le stava illustrando con passione. Il quale critico ti aveva poi guardato, aveva dichiarato che lì eri sprecata, e poi ti aveva invitato ad andare con lui a Lugano, in elicottero, a vedere un'altra mostra.
Ma siccome tu hai una mente analitica e razionale gli avevi detto di no, e tra l'altro sei anche dotata di un certo intuito e avevi capito al volo che il volo in elicottero era una metafora. E poi, a dirla tutta, siccome hai anche una particolare attenzione per i dettagli, non ti era sfuggito che il famoso critico d'arte aveva il bavero della giacca punteggiato di forfora, e la cosa aveva urtato il tuo senso estetico, la verità.

Però non è che puoi scrivere nel curriculum queste cose qui.
Quello che ci devi mettere invece, dicono, sono i tuoi interessi.
Ora, uno mica può fare un elenco di tutto quello a cui è interessato, tipo stampare al torchio o cucire vestiti o guardare sgranocchiando manciate di mandorle l'ultima puntata della sesta serie del Dottor House.
Però qualcosa si può dire, per esempio che ti piace leggere, e scrivere, e fotografare, e correre.
Occhio però. Perché se metti tra i tuoi interessi solo cose che fai da solo poi finisce che quello che legge il curriculum, che non ti conosce per niente anche se gli stai raccontando dettagli della tua vita che non li hai detti neanche a tuo marito (alla tua amica sì, ma transeat), quello là per là potrebbe pensare che sei un po' introversa, un po' timida, anche se gli hai appena detto che sei aperta e comunicativa, perché quelli lì che fanno gli psicologi leggono tra le righe, e se tu credi che tra le righe ci siano solo spazi vuoti ti sbagli di grosso.
Perché quelli, leggendo che ti piace leggere e scrivere e fotografare e correre, si mettono magari in mente che non sei capace di lavorare in gruppo. E al giorno d'oggi, qualunque lavoro cerchi, saper lavorare in gruppo è fondamentale. Pure se devi fare il garzone di macelleria, per dire, o il postino.
Per quello mandano i manager tutti insieme a spadellare tortellini nella cucina di Rana o a costruire capanne al corso avventura del grest di Tesero.
Vabbè, allora puoi dire che giocavi a pallavolo, eri pure capitano, tempo fa.
Mica lo dici, che son passati più di quindici anni dall'ultima volta che hai giocato. Tanto è l'imprinting che conta.

Insomma, alla fine vien fuori una cosa niente male.
Che somiglia un po' a quello che era venuto fuori quando, un po' per scherzo un po' per curiosità, avevi accettato di farti fare il tema natale da quell'amica che s'è messa a studiare astrologia, e allora solo con la data e l'ora di nascita lei aveva messo insieme una tale quantità di informazioni sul tuo conto che un po' ti eri spaventata all'idea che uno senza conoscerti potesse sapere tutte quelle cose intime di te che qualche volta neppure alla Cosci avevi confessato, e un po' ti eri lusingata perché erano tutte cose belle (tanto che la Cosci aveva insinuato che probabilmente avevo sbagliato l'ora di nascita), erano tutte belle tranne quella là che vuoi avere sempre ragione, che era meno bella però era vera, verissima, anche se non lo scrivi, sul curriculum.

E quindi, dopo che ci hai riflettuto sopra un bel po', che nella tua testa hai ripassato tutti i lavori che hai fatto le persone che hai incontrato le esperienze che hai accumulato; dopo che per qualche momento hai riesumato certi ricordi pensando che in fondo ti sei anche divertita; dopo che hai realizzato che la vita privata è attorcigliata alla vita professionale e certe scelte che non hai fatto avrebbero potuto, magari, cambiare la tua vita, e altre che hai fatto, magari, l'hanno cambiata davvero; dopo che hai compreso la profonda verità di quelle parole di De Gregori che dicono che gli angoli del presente diventeranno curve nella memoria, perché è successo proprio così, e anche certe cose brutte che ti sono capitate viste da lontano non ti sembrano poi così brutte; dopo che quel curriculum l'hai rigirato tra le mani (si fa per dire) e l'hai riletto e rimaneggiato e riscritto, succede che da quelle due pagine, con tante verità e alcune (chiamiamole così) omissioni, vien fuori un profilo di tutto rispetto.
E bisogna stare attenti, a mandare in giro curricula così. Non sai mai cosa può succedere.
Rischi anche di trovare lavoro.

lunedì 15 aprile 2013

Quello che il curriculum non dice (Come trovare le parole giuste - parte prima)

Saranno più di dieci anni che non scrivo un curriculum.
Quella cosa lì che se vuoi trovare un lavoro devi mandare all'orbe intero, il quale con tutta probabilità non si prenderà nemmeno il disturbo di guardarlo, e però almeno ci devi provare altrimenti fai la figura di quell'ebreo della barzelletta che pretendeva di vincere alla lotteria senza comprare il biglietto.

Allora ho ripreso in mano quello vecchio, per vedere di modificarlo con il resoconto dettagliato degli ultimi dieci anni, e anche perché, diciamoci la verità, mica mi ricordo tutto quello che ho fatto, le date, le cose, le persone.
Le persone un po' di più, ma insomma.
E quindi ho ripreso questo curriculum, e me lo son rigirato tra le mani (si fa per dire, perché era un file pdf) e ho scoperto che non mi ci riconosco più, in quei fogli lì.
Che ho fatto delle cose che, dal punto di vista pratico, non mi serviranno più, delle altre che non mi sono mai servite, alcune che mi sono piaciute, altre che ho fatto perché costretta dagli eventi. Insomma, alla fine leggendo la mia vita in due facciate mi sono accorta che sono fatta di cose che viste una per una, a dirla tutta, non sono mica io.
Eppure.
Vai su questi siti web dove ti consigliano cosa scrivere, ché c'è sempre qualche esperto che ti dice cosa devi dire e cosa no, e scopri allora che va bene quello che hai fatto, sì, ok, le tue esperienze professionali, gli studi, però chi legge è più interessato a sapere quello che sai fare, cioè le capacità, e anche le tue caratteristiche, cioè come le sai fare.
E non intendono se sai ricamare a punto croce. In realtà, nella sostanza, ti chiedono di dire chi sei. E qui ci devi riflettere un po'.
Il fatto è che si fa fatica a dire chi sei, in due pagine.

Si fa fatica a dire che il tuo sogno era lavorare in una casa editrice, che sei rimasta a Milano dei mesi bussando alle porte che non si aprivano, e nel frattempo andavi in quella fabbrica di tessuti d'alta moda a fare telefonate in francese, sapendo dire in francese uno smozzicato Sce t'èm, per il semplice motivo che da quando eri al liceo avevi imparato a dire Ti amo in tutte le lingue possibili, perché non si sa mai (e anche quando hai studiato il cinese hai cercato come si dice Ti amo, guarda un po' come restano radicate certe abitudini), la quale espressione comunque non era di grande utilità nella fabbrica di tessuti d'alta moda e quindi digitavi il numero nella vana speranza che dall'altra parte non ci fosse la persona che cercavi altrimenti oltre a dire Sce vudré parlé avec Monsier Christiàn e O revuàr, mersì dovevi inventarti anche altro per dire che era pronto il campionario. E poi andavi alle fiere a spiare di nascosto i campionari della concorrenza girando per gli stand e ostentando una improbabile aria professionale e ti inventavi una sartoria dal nome curioso per farti dire i segreti delle stoffe, e poi magari andavi alle sfilate dove c'erano le modelle altissime bellissime e modelli strabellissimi che poi ragazzi così non ne hai mai più incontrati e vicino a loro ti sentivi bassa (bassa!) e inadeguata e provinciale.
E infatti non le dici mica, queste cose qui, nel curriculum. Però, pensandoci, andare a vedere le colate di plastica colorate che si trasformano miracolosamente in paillettes non è la stessa cosa che fare l'editor, e ci vuole anche una certa fantasia per parlare lingue che non conosci, se non sei posseduto.

Ecco, allora puoi dire di essere adattabile e creativa.

Non puoi neanche dire che dopo aver fatto mille stage non pagati o sottopagati hai deciso che era ora di guadagnare qualcosa, e allora hai lavorato in una società di assicurazioni agricole e inserivi dati dalla mattina alla sera davanti a un computer, unica laureata, e hai imparato a memoria mille mila codici di pere william abate coscia decana e pesche precoci e tardive e mele stark renette golden e poi non ne potevi più, tutti i giorni a inserire codici e a discutere di grandine e a studiare i comuni dell'Emilia Romagna e a respirare fumo passivo.

Perché sei paziente, scrivilo pure lì, ma la pazienza ha un limite, lo sanno anche i sassi.

E allora hai mollato le pere le mele le pesche e sei andata a inserire dati in biblioteca, ché almeno lì non c'eran codici da imparare a memoria, solo libri da catalogare, e succedeva che ogni tanto ne trovavi uno che ti incuriosiva e ti mettevi a sfogliarlo, e poi a leggerlo e alla fine dovevi metterlo giù e continuare a schedarli, i libri, altrimenti finiva che perdevi il senso del tempo e il custode ti chiudeva dentro, nei depositi della biblioteca, e allora era un casino, primo perché, staccando lui le luci, tu perdevi le schede che non avevi salvato, e ti saliva il nervoso, e poi perché quando ti ritrovi al buio di un deposito un po' di paura ti viene, anche se sai che ci sono solo libri, lì dentro, e quando arrivi alla porta con la maniglia antipanico e la spingi e già pensi che devi dirgliene quattro, al custode, succede invece che ti ritrovi nella scala interna e la porta si chiude dietro di te e non si può più tornare indietro, e quella scala lì è senza finestre, buia come il buio più nero, e anche la porta per uscire dalla scala è chiusa a chiave, e allora per un attimo ti prende il panico e cominci a battere con i pugni a quella porta di metallo e a gridare ma nessuno sente, e un po' ti viene da piangere ma poi ti calmi anche perché a battere i pugni sulla porta l'unica cosa che guadagni sono i lividi sulle mani e sui polsi (dannato braccialetto d'argento rigido).
Allora pensi che non l'hai detto a nessuno, che sei andata in biblioteca, e il cellulare non c'era mica, a quel tempo (il che certe volte costituiva anche un discreto diversivo), ma qualcuno prima o poi si accorgerà che non torni a casa, e comunque al limite dovrai stare lì fino al giorno dopo, mica in eterno, e però non puoi neanche lavarti i denti e fare la pipì. Pensi proprio così, che non puoi lavarti i denti e all'indomani saresti in condizioni poco presentabili, con l'alito fetente e la schiena rotta a dormire sui gradini e neanche un posto dove fare la pipì.

Poi però, dato che non puoi fare altro, provi a pensare a come uscire, e ti viene in mente che hai visto un pannello con delle chiavi appese, da qualche parte, e magari una di quelle apre la porta chiusa a chiave. E a tentoni ti muovi lungo il muro, scendendo piano le scale, tastando il muro che neanche il tuo fidanzato, il muro freddo e un po' umido e ruvido, e ci stai così vicino che senti l'odore, del muro, un odore freddo di muffa e cemento, finché non trovi quel pannello e le chiavi, e ne prendi una e la senti in mano fino a riconoscerne mentalmente la forma, la tieni dritta con la sinistra e con la destra cerchi la serratura, trovi la maniglia e poco più sotto eccola lì, la serratura, ma la chiave non entra.
La butti per terra, così sei sicura che non la riprendi per sbaglio. Ne cerchi un'altra, questa ha una targhetta attaccata, entra ma non gira. Butti anche questa.
Ne provi un po', con calma, cercando di inserirle con cura, senza forzare. E sei sicura che una di quelle chiavi aprirà quella porta.
Quando la porta finalmente si apre torni a vedere. C'è una luce nella stanza. Adesso sai esattamente dove ti trovi e sai anche come fare per uscire in strada. E corri come se per tutto quel tempo ti fosse mancata l'aria e non la luce, e quando sei fuori un senso di sollievo ti distende le spalle, respiri l'aria fredda dell'inverno e cominci a camminare tra la gente, quella gente che non sa cosa ti è successo, che passeggia tra le vetrine e non si accorge di te, non sa l'angoscia che hai provato, mentre tu sei stata per tutto quel tempo al centro dei tuoi pensieri.
Però sei fuori, ed è quello che conta.

Così, omettendo per ovvie ragioni il panico iniziale, puoi anche scriverci, sul curriculum, che sei portata alla soluzione dei problemi, per esempio.
E aggiungi anche che sei aperta e comunicativa, perché sei sicura che se avessi incontrato il custode, all'uscita, non avresti tergiversato e l'avresti mandato a cagare, sicuro.

(continua)

martedì 9 aprile 2013

Ad impossibilia nemo tenetur

Va' che bella idea, questa qui della Feltrinelli, che tu porti un libro usato e loro ti danno in cambio cinque euro.
Cinque euro sono una cifretta, vero, con i tempi che corrono.
Anche se poi c'è l'inghippo, che puoi spenderli solo lì e solo se spendi altri venti euro, e allora non è che proprio ti danno cinque euro, ti danno uno sconto, la verità.
Comunque meglio di niente.
Un libro al giorno, però. Ah, ecco. Mi sembrava strano che uno va lì con un cartone di libri vecchi e loro gli danno una vagonata di sconti. Dal 12 al 14 aprile vuol dire tre libri. Quindici euro. Van mica in rovina, eh.

Vabbè, comunque a me va bene lo stesso, ché tanto non ho mica molti libri da portare, cioè di quelli che non voglio più e preferisco un buono sconto da cinque euro. Pochi direi. Anzi veramente forse nemmeno uno.

Perché io sono di quelle che non butta i libri, non si sa mai. Un libro non si butta.
Non si presta neanche, la verità. Io, salvo rare rarissime eccezioni, non presto.
È che trovo assolutamente veritiera quella cosa letta chissà dove, una cosa medievale di uno che ci teneva, ai suoi libri, che dice così

Librum meum non praestabo
si praestabo non habebo
si habebo non tam cito
si tam cito non tam bono
si tam bono perdo amicum
ergo nolo praestare librum

che in soldoni vuol dire che c'è sempre una buona scusa per non prestarlo, un libro*.

Se proprio c'è un tipo che ti sta antipatico magari glie lo regali, giusto per togliertelo di torno (il libro, ma anche il tipo, dopo), ma chi conosci che ti sta così sulle balle da regalargli un libro che non ti piace?
Comunque il libro non si butta.
Al limite non si legge, ecco. Sai quanti libri ho cominciato e poi lasciato lì. Non inorridite. Una volta no, una volta me ne facevo un punto d'onore, di leggere un libro fino all'ultima riga, se anche non mi piaceva niente. Arrivavo in fondo e dicevo Non m'è piaciuto, questo pallosissimo libro. Il che non cambiava di molto l'opinione che ne avevo mentre lo leggevo.
Ora no. Ora ho deciso che ho troppo poco tempo per leggere anche quello che non mi piace. 
Eddài, non si può fare l'impossibile. 
Ci provo, eh, vado avanti un po' pensando che magari migliora, spulcio qualche frase qua e là nelle pagine avanti, ma se non va lo mollo lì, e tanti saluti. Nessun rimorso.
Però non lo butto, eh. Sai mai che fra qualche anno lo riprendi e finisci di leggerlo, e magari ti piace anche.

E quindi non ho molti libri di cui liberarmi.
Veramente alcuni sono anche doppi, ché quando abbiamo unito le nostre vite, anime e corpi e cervelli, ci siamo portati dietro una certa quantità di volumi, e, se proprio non per affinità, almeno per la legge dei grandi numeri capita che qualcuno ci sia, di doppio.
Epperò vorrai mica dare via quelli lì. Il mio o il suo? Uh, meglio tenerli va', se non altro per scaramanzia.

Però pensandoci bene uno almeno ce l'ho, che non so come sia arrivato in casa ma l'ho visto di recente, impilando tutti i libri arrivati da Shanghai, cercando di fare spazio sugli scaffali, e me lo son visto lì e chissà da quanto tempo c'è, e son rimasta un po' stranita e mi chiedevo Me lo sarò mica comprato da sola? Che me l'abbia regalato qualcuno? Che l'abbia comprato il Bighi, a mia insaputa? Comunque, quel Fabio Volo lì che quando lo vedo mi si incrociano le fosche pupille lo mollerei volentieri, per cinque eurini.

Poi leggo meglio, lì nel sito della Feltrinelli, e dicono che i libri usati serviranno per progetti di alfabetizzazione e corsi di italiano per stranieri.
E allora penso che forse quel libro lì di Fabio Volo non gli serve mica, alla Feltrinelli. 
Non si può fare l'impossibile.**



*Per chi si tormentasse all'idea di non sapere esattamente cosa dice questo detto latino e maledicesse di aver frequentato l'Itis Marconi anziché il liceo classico, sappia che è molto più pratico saper cambiare una presa mettendo i fili al posto giusto. Anche perché dei detti latini, compreso il titolo altezzoso di questo post, si trova sempre la traduzione, su google.

**Comunicazione di servizio per i sostenitori di Fabio Volo: questa è una frase evidentemente ironica, e potete pure accusarmi di essere invidiosa del suo innegabile quanto inspiegabile successo editoriale, ma i gusti son gusti, e quel libro là non è di mio gusto, ecco.


giovedì 4 aprile 2013

Non è tutto spam quello che luccica

C'è che da qualche giorno mi si accumulano dei commenti che uno (uno a caso, cioè io) potrebbe pensare Guarda un po' che figata che mi commentano anche in inglese.
Al che la Cosci interviene, a titolo preventivo sia chiaro, e dice che prima di montarmi la testa è meglio che legga bene cosa c'è scritto, in quei commenti, perché è un po' quello che conta, la verità.
E allora tu la guardi con sufficienza e leggi, e c'è scritto roba tipo

Proprio bello questo post, scrivi delle cose che vanno condivise nel web. Perché non ti lamenti con Google che non ti posiziona un po' più in alto?

oppure

Sono d'accordo con tutto quello che dici nel post. Sei davvero convincente. Però i tuoi post sono un po' troppo corti. Potresti allungarli un po' la prossima volta?

E quindi in effetti qualche dubbio ti viene, la verità.
E però leggi lo stesso anche quel commento lungo che dice testualmente

Io non lascio quasi mai commenti, però ho letto alcuni dei commenti lasciati in questo post, e ho un paio di domande da farti, se non ti dispiace. Pare solo a me, o ci sono dei commenti che sembrano lasciati da persone deficienti (sic!)? Se per caso scrivi anche in altri posti della blogosfera, vorrei seguirti. Potresti mettere un link al tuo profilo linkedin, alla pagina facebook o a twitter?

Al che non hai più alcun dubbio circa la demenzialità dello scrivente, ma soprattutto circa la natura spam dei commenti (anche perché finiscono tutti con una frase tipo Dato che ci sei, guarda il mio link qua, leggi il mio blog là).

Che un pochino però dispiace, anche. Il fatto è che uno (sempre uno a caso, cioè io) per certi versi si lusinga un po', perché io zittisco sempre quella perfida della Cosci, ma in fondo lo so, e lo sa anche lei, che un po' di ragione ce l'ha quando dice che sono vanitosa, e a me quando qualcuno mi dice che so' bravina e che dico delle cose intelligenti e le scrivo benino mi sale tutta una soddisfazione come il caffè nella moka, schiuma compresa.

E per quello quando ho letto il commento della Ciccola e quello della Sabina a quel post là, per un attimo ho pensato che fossero anche quelli due commenti spam, anche se scritti in italiano.
Allora sono andata a controllare, dalla Ciccola e dalla Sabina. E poi ho visto pure il post della mia amica Umami, e allora mi son detta che no, probabile che fosse tutta vera, questa storia del Liebster Blog Award.

Che allora ho anche pensato, siccome son stata nominata tre volte, vuol dire che me ne devo andare? Devo lasciare la casa? E se sì, c'è qualcuno che mi ospita?
Avrei pensato a voi, per esempio, che avete pochi ospiti fissi, meno di 200, almeno.
Volevochiamarle frida, ché la Francia mi attira un casino
Animalepolitico, perché è sempre meglio riderci su
Boys just wanna have blog, perché siete la mia soap opera preferita
Cinquecentofilminsieme, perché lì da te mi sembra di stare al cinema
Cirinciampai, ché se si inciampa in due magari non ci si fa male
Il blog della Ele, così magari per un po' non vai più via
So' problemy, perché anche 4lee ha il suo perché

Dai, mi fermo solo un po', il tempo di mangiare un vasetto di Nutella. Il vostro. Quello da 750.