mercoledì 21 ottobre 2015

Di ragù, di corsa e di giuste abitudini

Mi sono scottata un labbro. 
Da scema, proprio, che stavo preparando il ragù con questo macinato cinese che mi sembrava duretto, la verità, e quindi era lì a bollire da due ore, e l'ho assaggiato.
Volevo fare una sorpresa alla Gabbianella, che mi chiede sbattendo le ciglia dei suoi occhioni tondi se le preparo il pasticcio che le piace tanto, e me lo chiede da quando siamo qui e non gliel'ho mai fatto, e alla mattina che eravamo un po' in ritardo (va' che novità) mi aveva chiesto con voce gentile, mentre cercava le calze nel mucchio di biancheria lavata, Me la prepari tu la borsa per suimin, eh mamma? E io le avevo detto Certo amore, ci penso io, e mentre finivo di bere il mio caffè pensavo che ci mancano proprio dei quadri, in questa sala, e che quello di Emilio mi sarebbe piaciuto proprio e ci sarebbe stato anche bene, e mentre pensavo la voce della Gabbianella mi arriva da lontano e dice Il costume lo metto addosso, così faccio prima, eh mamma? Che lei finisce sempre le frasi con eh mamma e un accenno di punto interrogativo, come se avesse bisogno di una conferma tutte le volte, o forse perché vuole distrarmi dai miei pensieri. Così io le dico che va bene, anche se non va molto bene, se poi le scappa la pipì deve spogliarsi completamente, e glielo dico ma le mi guarda coi suoi occhioni tondi e intanto comincio a sparecchiare la colazione, metto il latte in frigo i biscotti nello scaffale in alto tazze e cucchiaini da lavare e vedi come fa in fretta a passare il tempo, non faccio neanche in tempo a lavarmeli io, i denti, vabbè lo faccio dopo, e nella confusione non riesco a trovare il porta cellulare da braccio, che mi serve quando corro perché con l'applicazione della corsa vedo quanti chilometri faccio e in quanto tempo e anche se certe volte sarebbe meglio che non lo sapessi, così potrei fingere con me stessa di andare forte, in realtà la uso sempre così ascolto anche la musica.
E corro, con il cellulare nella tasca interna dei pantaloncini, che è dietro e non è neanche tanto grande e quando una volta l'ho tirato fuori per vedere se funzionava, che non sentivo più la vocina che dice quanti chilometri stai facendo, e infatti non c'era il segnale gps, e questa è una cosa che chi corre lo sa che fa venire il nervoso; quando l'ho tirato fuori e poi imprecando l'ho rimesso in tasca, non ho trovato la tasca, e il cellulare scendeva scendeva giù per la natica finché non l'ho tirato fuori dalla chiappa. Per dire a quanto serve la fascia porta cellulare, che uno non ci crede. Comunque. 
E si sa che quando si corre si tende a svuotare la testa, voglio dire, quando uno che non corre ti chiede Ma tu a cosa pensi quando corri? (perché una domanda così può farla solo uno che non corre, la verità) in genere non è che sai rispondere, inventi un po', ascolto la musica, faccio programmi per la giornata, cerco di guardarmi intorno e memorizzare i nomi delle strade, mi dico Ma non è ancora passato un altro chilometro?, poi non mi ricordo a cosa penso, sinceramente, ho proprio l'impressione di non pensare a niente. 
E invece è impossibile non pensare a niente, è un fatto scientifico proprio, il cervello non può stare senza pensare, questa cosa dello Svuota la tua mente è una cagata pazzesca, pure di notte pensi, che se pensi delle cose belle, sogni, sennò fai anche degli incubi, alle volte.
E quindi no, non è mica vero che non penso a niente, mentre corro, specie se corro per più di un'ora, e infatti mentre sto correndo sulla Xianxia lu e il sole mi acceca e una goccia di sudore mi entra in un occhio, e un po' brucia, la verità, che ti rendi conto di quanto è salato il sudore se una goccia ti entra in un occhio, mi viene come una illuminazione, e mi rendo conto che non gliel'ho mica preparata, alla Gabbianella, la borsa di swimming. 
Sono cose.
E niente, per farmi perdonare ho pensato di preparale il pasticcio, e ho fatto il ragù con questo macinato cinese che mi sembrava duretto e l'ho lasciato cuocere per più di due ore, e siccome qui non ho trovato il dado che di solito metto nel ragù, ci ho messo il sale, e mi è venuta questa bizzarra idea di assaggiarlo, per sentire se era salato abbastanza, e questa cosa di assaggiare primo avrei dovuto arrivarci che scottava, dato che cuoceva da due ore, secondo non so come mi sia venuta in mente, ché a casa mia non si assaggia, in effetti, si cucina così e poi, come dice il Prof, si raccoglie dai commensali il giudizio, tardivo e irrilevante, sulla sapidità e sul punto di cottura. 
E si fa bene, a quanto pare.

lunedì 12 ottobre 2015

Cliché adolescenziali

La vita di compound può essere assai gradevole, la verità. Si vive come in un grande villaggio vacanze, con la piscina, i campi da tennis, i parchi giochi per grandi per piccoli e per minuscoli, ognuno ha la sua casetta ma i bambini girano liberi con i monopattini, le biciclette, gli skate e anche quelle monoruote che si muovono col peso, hai presente? Le strade all'interno sono strette e rese ancora più strette da vasi di piante che impediscono alle auto di andare troppo veloci, e inoltre l'ingresso è molto controllato, si entra solo se si abita qui o se si è invitati.

Ci sono telecamere ovunque, quindi non puoi neanche prenderti un ramo secco per fare del puttanage bricolage senza che il management lo sappia, e nemmeno fregare la pianta verde del vicino per sostituire la tua rinsecchita. Le guardie in bicicletta accompagnano i taxi in entrata per verificare che vadano dove hanno dichiarato di andare, e girano costantemente per controllare che tutto sia a posto. Se ti dimentichi i fari accesi ti chiamano a casa per avvertirti, per dire. Sicurezza piuttosto alta, quindi, anche se a tratti vagamente inquietante.
Il vantaggio di questo mondo di frutta candita, insomma, risiede proprio in questo: nella completa libertà di movimento delle petunie, che giocano all'aperto e fanno amicizia con molta semplicità, e nella libertà, diciamocelo, che questa loro libertà concede alla Wonder, che ha la possibilità di scrivere, leggere e cazzeggiare cucinare in santa pace.

E però ci sono dei però.
Per esempio, ti ritrovi bambini altrui davanti alla porta di casa, nella migliore delle ipotesi, o direttamente dentro casa anche se sei in mutande, nell'ipotesi intermedia, e in quella peggiore li becchi in cucina con in bocca la focaccia che avevi comprato per cena.
Oppure all'ora di cena devi prendere la bicicletta e andare a cercarle, perché si dimenticano di tornare a casa, nonostante abbiano il coprifuoco alle prime avvisaglie di buio (che qui si manifesta intorno alle sei).
L'eventualità più snervante, tuttavia, si dà quando sono loro a ficcarsi in casa di qualche amichetto, senza preventivamente avvertire.

- Ma dove c@€€% sono andate a ficcarsi quelle tre?
- Calma Wondy, sono qua in giro, dove vuoi che siano
- Eh, intanto qui in giro, come dici tu, non ci sono. E poi, Cosci, non sei tu che pedali come un'idiota per il compound. Sono proprio curiosa di sapere dove sono. Quando tornano a casa mi sentono...
- Saranno a casa di qualcuno
- Certo, a proposito di ospiti indesiderati. Ma poi è l'una e mezza, che diamine, la gente non mangia? Non se ne accorgono che sono tre in più? Che poi mica mangiano poco, le nane.
- Ma va' che le sfami con poco, dai. Quant'è che non fai un arrosto?
- Scherzi, Cosci? Qua è già tanto trovare un pollo con due zampe sole. Si vantano di usare l'olio geneticamente modificato, qui, è una sciccheria, non so se mi spiego. Melone pompato, uova che rimbalzano, c'è la pubblicità della carne senza ormoni, ti dice qualcosa?
- Ecco, appunto, un'altra ragione per affamarle.
- Mi stai dicendo che vanno in giro per il compound a cercare cibo? O stai solo cercando motivi per difenderle?
- Stanno giocando, la fame non la sentono finché non c'è profumo di pizza.
- Gliela faccio sentire io la fame, se non arrivano entro tre minuti...

E quindi l'incazzatura ha cominciato a crescere. E quando le tre nane sono finalmente rientrate, a seguito di telefonate sparse, è partito l'embolo, come dice l'amica AleSarda.
Così, alla fine l'ho pensato.
Non l'ho detto, ché mi pareva un cliché talmente anacronistico che poi finiva che mi mettevo a ridere, e non avevo intenzione di ridere.
Ma insomma, per la prima volta ho pensato davvero questa casa non è un albergo!, e mi è sembrato un po' presto, ché io mi pensavo che questa casa non è un albergo! si dicesse ai figli adolescenti, tipo, e anche un po' più in là.

giovedì 8 ottobre 2015

De mortuis nil nisi bonum

Volevo scrivere un post su quante applicazioni per cellulare ti servono per sopravvivere a Shanghai, o anche in Cina, in alternativa (che Shanghai non sia esattamente Cina è cosa che oramai pare assodata). Ce l'avevo bello pronto, con scritto cose a proposito di vpn, wechat, airchina, smartshanghai, uber, mappe varie, traduttori, convertitori di valuta, musica gratis, quelle per iPhone e quelle per Android e quelle che funzionano per entrambi.

E niente, il cellulare è morto. Una breve agonia, tre vibrazioni in tutto, e poi il buio dello schermo, nessun respiro, nessun segnale. Una specie di nemesi, qualcuno sarebbe tentato di pensare. Vabbè.

Ora, che sia possibile sopravvivere a Shanghai senza avere sul cellulare la mappa della metropolitana è piuttosto prevedibile, visto che puoi andare nella suddetta metro e prenderti una mappa cartacea che ha il vantaggio di essere anche più grande, o guardare quella appesa al muro, la verità. 

È anche possibile andare a correre alla mattina senza sapere se l'inquinamento è sopra i 200 punti, tanto è più probabile che schiatti investita da un tir piuttosto che intossicata dalle polveri sottili.

Se non sai quanto sono 156 remimbi, il massimo che ti possa succedere è che ti vendano un lettore Bluetooth al doppio del suo prezzo reale, per quanto si potrebbe anche far ricorso alle tabelline, che tanto le devi ripassare comunque se vuoi aiutare le nane in matematica. E poi se non hai chiaro quanto possa valere un dollaro di Hong-Kong la cosa non è che ti rovina la giornata.

Se non hai Uber, pazienza, aspetterai un taxi libero sulla strada, e se ci vorrà mezz'ora perché tutti i taxi liberi sono prenotati da qualcuno che usa Uber, potrai sempre finire il capitolo del libro che hai in borsa.

QQMusic, ecco, questa è un po' più difficile da perdere. Se non hai qqmusic, non potrai scaricare la tua musica preferita, è vero. Però diciamocelo, questa app è un po' english oriented, non ci trovi neanche A modo tuo di Elisa, per dire. Come si fa.

Non sai dove ti trovi? Leggi i nomi delle strade, cammina, perditi, tanto hai tempo, e se non sai come tornare a casa ferma un taxi, ché al limite dovrai aspettare mezz'ora potrai leggere l'ultimo capitolo etc.

Vuoi un ghiacciolo alla fragola e non sai come si dice? Vai al frigo e indica quello rosa, alla peggio ti ciuccerai un ghiacciolo ai fagioli rossi, che sarà mai. Gesticola, inventa, indica col dito, fai un disegno, usa la fantasia e vedrai che qualcuna delle parole che avevi studiato ti ritorna magicamente alla memoria. Non contare su quest'ultimo punto, magari.

Ricomincia a usare la macchina fotografica, ché di sicuro le foto ti vengono anche meglio che con lo smartphone, anche se pesa una tonnellata e non ci sta nella pochette, mettitela al collo e fai la turista, c'è qualche vantaggio anche nel mostrarsi meno abituati alla città di quanto tu non sia realmente. Non puoi postare le foto su Facebook, è vero, ma forse in fin dei conti non ti sorprenderà sapere che ai tuoi amici di Facebook non gliene frega una cippa delle tue scarpe da corsa asics gel kaiano 21 nuove di zecca, e se anche sparisci per qualche settimana da tutti i social, è triste da dire ma nessuno se ne accorgerà.

Niente wechat? Vedila così, non ci sono più gruppi di scatenate che ti invitano a lezione di Zumba, yoga, bootcamp o pilates, né mamme che chiedono quali sono i compiti di literacy, né inviti a festine o play date o, peggio, i temutissimi sleepover. 

Perché il fatto è che ci siamo abituati ad avere tutto comodo, a portata di click. Ci pare normale non sapere come si dice cavo elettrico in cinese e vedercelo apparire magicamente scritto sul display.
È comodo cercare un negozio, un ristorante, un museo e sentirci guidare da una voce che ci fa svoltare a destra o a sinistra e ci dice anche quanto tempo impiegheremo per arrivarci.

Però questo strumento è anche subdolo. Ci isola, con la scusa di connetterci con il mondo.
Non facciamo neanche più lo sforzo di parlare, mandiamo un messaggio, che quello non costa niente, con queste applicazioni che funzionano via internet. Faccette, icone, adesivi per cercare di esprimere tutte le sfumature di una frase che se la sentissi, a voce, non avresti dubbi. Se poi ci si guardasse negli occhi mentre si parla, a volte non avresti neanche più bisogno di dirle, le cose.
A volte, forse, non hai il coraggio di parlare, perché sono difficili da dire, certe cose, a voce. È molto più faticoso, se devi guardare in faccia le persone, e se devi sostenere lo sguardo di chi hai di fronte. E certo, viene comodo scrivere: dietro uno schermo dove nessuno vede cosa provi puoi dissimulare qualsiasi sentimento, puoi fingere molto più facilmente, puoi anche far finta di non aver visto il messaggio, non rispondere, nasconderti, sparire. Costa di più, a volte, parlarsi dal vivo. Restare in piedi, non voltare la faccia, non vergognarsi di quello che si prova, sopportare la reazione di chi ci guarda anche se non ci piace e lasciarci guardare.

Però ormai non possiamo più farne a meno.
Dovrò comprarmi un cellulare nuovo.