mercoledì 29 agosto 2012

Facekini. Tutta la verità sulla nuova beach sensation

In Cina, si sa, l'abbronzatura non piace.
Fa molto gente di campagna, contadino che lavora nei campi. E infatti in città le donne si proteggono dal sole con ombrellini, cappelli, occhiali e guantini di pizzo nella versione fashion, con semplici ombrelli da pioggia e berretti e maniche lunghe posticce nella versione shabby.

Ho già avuto modo di dissertare altrove sulla questione, quindi non mi ripeterò.

La cosa che risulta curiosa, però, è che nonostante l'insofferenza per le temutissime conseguenze dell'esposizione al sole (no, la vitamina D qui la sintetizzano e se la prendono in pillole), le donne non rinunciano ad andare in spiaggia. Vuoi mettere respirare l'aria di mare, lo iodio, quelle cose lì.
Se a Shanghai le ragazze hanno ormai sdoganato il bikini, che portano con una certa naturalezza sui corpi di giunco e ostentano in improvvisati concorsi di bellezza on the beach, salvo poi ricoprirsi di crema sbiancante, altrove si adottano misure di sicurezza alternative.

A Qindao, ridente località sulla costa a circa millequattrocento chilometri a nord di Shanghai, nove milioni di abitanti, nota in primis per la birra e in secundis per le spiagge, le donne già da tempo hanno optato per la muta, che fa molto surfista nell'oceano. Tamarindo Style. Chissenefrega se poi ci aggiungi i braccioli. Quelli danno un tocco di colore. E poi se stai sulla battigia non si nota neanche che non sai nuotare.

Però la muta ha un difettuccio. Copre corpo, braccia e gambe, ma la faccia resta fuori, esposta ai temibili raggi di Apollo. Che fare?
Voilà la résolution. Comprati un bel facekini. Una di quelle maschere tipo wrestling, che infili in testa e copre anche il collo e lascia fuori gli occhi e la bocca. Un passamontagna, insomma, solo di fibra sintetica.
Non è mica una novità, l'hanno inventato già da qualche anno.
È fantastico, protegge dal sole ma anche dalle punture delle meduse. Ne trovi a pacchi, di meduse, nel Mar Giallo.
Puoi comprarla su Taobao, chevvelodicoaffare, per 25 yuan. Però se vuoi risparmiare è meglio se ti fai un giro sul lungomare, lì trovi un sacco di venditori che il facekini lo mettono a 15 yuan. Vale la pena andare là.
Avvertenza: ricordati di toglierlo se devi fare un salto in banca.

Ci sono tre modelli, a seconda della posizione di occhi e bocca.
Vabbè, non sarà il massimo della bellezza, ma puoi scegliere tra un'infinità di colori. Ci sono quelle mimetiche, cioè a dire maculate nei colori blu/grigio/petrolio, e quelle più aggressive, tipo gialle, rosa o verde acido.
Se la prendi bianca puoi anche affiliarti gratuitamente al KuKluxKlan.
Vivamente consigliato l'arancione. Dicono che tenga lontani gli squali.

Anche il governo è favorevole all'uso del facekini. Pare che siano utili per il controllo delle nascite, la verità.


Se volete divertirvi, potete anche guardarvi il servizio della tv cinese XinHua.

domenica 26 agosto 2012

Di acquisti e loro conseguenze

Da due giorni ho un nuovo sistema docking (si chiama così, non guardatemi male. Trattasi di altoparlanti per sentire la musica dell'Ipod, così non devo più accendere il computer per ascoltare Tiziano Ferro).
La cosa mi ha cambiato l'umore. Poter ascoltare Jump mentre prepari la cena mette di buon umore. Se poi qualcuno vuole passarmi la sua compilescion, una nuova playlist, la collezione completa di Rino Gaetano, faccia pure. Qui si ascolta di tutto.

Ho un nuovo paio di occhiali, comprati all'International Glasses City, al 1688 di Zhong Xing lu, tre piani di negozi che vendono solo occhiali e lenti a contatto. Tu entri, vai da uno qualsiasi di questi negozi, scegli una montatura, ti fanno la visita, contratti un po', paghi, e dopo mezz'ora hai il tuo bel paio di occhiali da vista nuovi. Ho voluto le lenti migliori, così durano di più, l'occhio è più protetto, quelle balle lì. Anche la montatura l'ho presa carina. E infatti ho pagato 350 yuan, cioè circa quaranta euro.
Finalmente posso leggere senza dover spostare gli occhiali in su o in giù, che dal centro ormai non ci vedevo più.

Ho anche una pio di scarpe nuove. Questo è stato l'acquisto più difficile.
Però siccome è dall'inizio dell'estate che mi propongo di andare a correre, ieri ho deciso finalmente che dovevo almeno avere un paio di scarpe per correre, ché le ballerine non sono adatte, e nemmeno i sandali col tacco comprati in Italia. E quali sono le migliori scarpe da running sul mercato? Ve lo dico io. Sono le Mizuno, giapponesi professional. Quando si comincia una cosa bisogna cominciare al massimo.
Però c'è questo problema del numero, che qui in Cina c'hanno i piedi piccoli, e le scarpe da donna arrivano fino al trentanove, massimo.
Allora, come forse qualcuno di voi già sa, io porto il 39/40, e cioè a dire il trentanove nel sinistro e il quaranta nel destro, che è introvabile. E no, non è perché non vendono le scarpe di due numeri diversi che è introvabile.
Che poi dico, se lo chiedessi magari le inventerebbero pure, le scarpe a numero separato. Hanno inventato i costumi, che puoi comprare una quinta di culo e un prima di tette, perché per le scarpe no?
C'è qualcuno che ha il mio stesso problema? Uscite pure allo scoperto, dai, che tanto qui siamo tutti anonimi. Uniamoci tutti! Formiamo l'Unione dei Piedi Spaiati (UDPS). Se non riusciamo a risolvere il problema al limite possiamo scambiarci le scarpe.
Comunque, siccome proprio più del trentanove non si trova, ho dovuto comprare quelle da uomo.
Ecchesarà, è sempre una scarpa sportiva, mica dev'essere rosa coi brillantini solo perché sono una femmina. Per quanto, anche correre con lo sbarluccico ai piedi... ma sto divagando.
E dunque la notizia è che ho un paio di scarpe per correre.
Ho anche la tabella, me l'ha fotocopiata l'AleSarda, che glie l'ha data una sua amica che fa pentathlon (mica come me, lo fa davvero), e che promette di farti passare da ZERO a CINQUE chilometri in quattro settimane. Non ci avrei creduto nemmeno io, se me l'avessero detto, che mi sarei ricordata di portarla dall'Italia.
E dunque ho le scarpe. Ho la tabella. Ho l'Ipod (basta staccarlo dal sistema docking).
Insomma, non ho più scuse.

venerdì 24 agosto 2012

Mezzo gaudio

Pare che le bambine si trovino bene, a scuola. Così sostiene la maestra, nel dichiarare che il Gatto ancora non parla (tutto normale, quindi).
Per trovarsi, si trovano. Bene non so. 
Ieri, nella fattispecie, si sono trovate al parco giochi durante la ricreazione, hanno mangiato insieme la mela e insieme hanno pianto un po' prima di tornare in classe.
Almeno è una consolazione sapere che possono contare l'una sull'altra.

mercoledì 22 agosto 2012

One, two, free

La Gabbianella ha un po' di febbre.
Sarà per quello, sarà che stanotte il temporale lo sentivi vicinissimo, con il rumore della pioggia sui vetri, sarà che anche lei percepisce la tensione nell'aria, fatto sta che stamattina alle cinque ce la ritroviamo nel letto.
Io non le voglio, le figlie nel letto. È l'ultimo baluardo della coppia, l'unico spazio che ci è rimasto, almeno psicologicamente.
Però ha la febbre, poverina, vorrai mica mandarla via?
Si trasferisce pure il Gatto, dopo un po'. Però è il primo giorno di scuola, è un po' tesa. Già ieri sera ha fatto le sue, per addormentarsi. Poverina, vorrai mica mandarla via?
Sarà, ma stamattina ho un bel mal di schiena. Niente a che vedere con la tensione dell'anno scorso, ché ormai siamo rodati, dai. Che vuoi che sia il primo giorno di scuola? È solo l'inizio delle elementari, per il Gattino che c'ha appena cinque anni, ma in fondo non è niente di che, ci siam passati un po' tutti, no?

L'autista del BusEnorme quest'anno è cambiato, e sembra che sappia guidarlo, il bus. Non si avventura in vicoli da cui non riesce più a uscire, e pare che riesca anche a ingranare la retromarcia, se serve.
Anche l'ayi del BusEnorme è cambiata. Questa ha una camicetta rossa con i volant e le scarpe col tacco, e si mette la divisa viola delle ayi del bus solo quando scende dal Bus.

A scuola è un gran casino.
Mucchi di genitori con le cartelle a spalle, papà con la macchina fotografica, addette che controllano cartellini, maestre sorridenti, bambini felici, bambini tristi, bambini in lacrime, solitari, a coppie, a gruppi.
Io, il Gatto sempre per mano, accompagno la BB alla sua classe, year two A, al quarto piano, pavimento giallo. Lei appende lo zaino al gancio, sembra non importarle di ritrovare ben quattro dei suoi vecchi compagni di classe, mi guarda con aria sconsolata e mi abbraccia prima di sparire dietro la porta.
La sua maestra inglese si chiama Miss Maddocks, ha la pelle bianca come il latte e i capelli neri raccolti in una treccia, e sorride quando la vede.
La maestra cinese è uguale a quella inglese, solo con i capelli corti. Si chiama Miss Gu, e speriamo che almeno di indole sia diversa da quella Gu dei giornali.

Il Gatto e io scendiamo di un piano. Pavimento viola, year one D. Bandierine fuori dalla porta, un protiro modello circo Orfei, mamme dentro e fuori. Il Gatto non dice una parola. Visto com'era andata l'anno scorso, non è che mi aspettassi grandi performance di loquacità, comunque.
La maestra inglese, Miss Tindal, somiglia al bianconiglio, a parte la treccia bionda. Le manca l'orologio grosso come un cocomero.
Sembra poi che Miss Zeng, cinese di ferro, sia la migliore. Vedi che culo. C'ha pure un nome che pare una testata sul cancello d'ingresso.
I compagni del Gatto si chiamano Oran, Charles, Ylak, Seunghun, Jayden, Cindy, Weiyun, Jax, Haewon. Nomi così.
Ci credo che poi, se le chiedo chi sono i suoi nuovi amici, non me lo sa dire.

Quando la maestra chiude la porta resto un po' lì, a guardare attraverso il vetro il faccino triste del Gatto, il suo cerchietto rosso, le gambe incrociate sulle scarpe nuove. Finché mi convinco di aver visto un sorriso, appena accennato, sotto gli occhi coperti da un ciuffo ribelle.

E io mi domando dov'è l'ansia, la commozione del primo giorno di scuola, che fine ha fatto quel magone che avevo l'anno scorso. E non so dare una risposta. Ma provo una svagata sensazione di liberazione. E, dopo, chissà perché, un leggero – leggerissimo – senso di colpa.

martedì 21 agosto 2012

Un post al sole (sorpresa on the beach)

Se si esclude un ordine quasi innaturale, la prima cosa che noto appena rientrata nella casa cinese è la terribile potatura delle rose da parte di un troppo sollecito giardiniere, che oltre ad aver tagliato tutti i rami che avevo faticosamente fatto arrampicare sul parapetto della terrazza, legandoli con uno spago rustico ma chic, ha pure lasciato i rami secchi per terra. Mannaggia a lui.
Per farmi dimenticare le fatiche del viaggio (la cui unica nota positiva è stato l'approdo nella Terra di Mezzo di sei chili tra parmigiano, speck, prosciutto crudo e salamelle di cervo), la tensione per il rientro nonché la perdita del romantico rampicante, il Bighi ha organizzato un pomeriggio in piscina.
Mica una piscina normale. ShiMao Riviera Garden Hawaii Surfing Beach, si chiama. Un nome che uno si fa delle aspettative, quanto meno. Il fatto che stia a Pudong, cioè dall'altra parte della città, e che quindi per arrivarci ci voglia un'ora e mezza, è un dettaglio ragionevolmente irrilevante.
È una piscina che dirada dolcemente come il mare, con le piastrelle a mosaico che virano dal bianco al blu, circondata da sabbia bianca finissima, palmizi e sedie a sdraio, asciugamani compresi. È chiusa su quattro lati da grattacieli di cinquanta piani, ma è un dettaglio trascurabile quando ci sono 39 gradi e tu te ne stai immerso nell'acqua fino al collo. E poi a guardar bene forse riesci a scorgere la punta della Financial Tower.
La Wonder, dopo due ore a mollo, si ritira sul bagnasciuga, a guardare le pargole giocare finalmente col papà, e quasi si pente di non aver portato quel libro che nel corso delle vacanze è riuscita a leggere nientepopodimeno che fino a pagina 72. Grandi progressi.
Intanto dà un'occhiata alla varia umanità da spiaggia.
Ci sono famiglie con bambini e secchielli, ragazzi che giocano su un campo da beachvolley, single in evidente ricerca di accoppiamento. Ci sono ragazzi cinesi tatuati che bevono birra e fumano sigarette e parlano inglese, ragazze che fanno il bagno completamente vestite, altre che tengono maglietta e cappello. Alcune sono in bikini, con piercing sbarluccicanti all'ombelico e occhiali neri, altre portano costumi interi sensualmente incrociati. Ci sono francesi, spagnoli, tedeschi (uno con tatuato Gott mit Uns sulla schiena), australiani, italiani (oltre a noi, intendo), svedesi. Comunità internescional, molto cool.
E mentre sta lì, a godersi il cielo azzur.. grigio insomma quella cosa lì sopra Shanghai, di fianco alla Wonder si materializza un olandese, biondo di un biondo quasi bianco, occhi azzurri come il cielo come un disegno, che senza dire una parola le si avvicina, le dà un bacio in bocca e poi l'abbraccia con ostentazione, sotto gli occhi stupefatti del Bighi.
Non vorrei dire, ma è difficile resistere alla Wonder in bikini.
Comunque poi è intervenuta una ragazza che si era accorta di qualcosa, e l'olandese infingardo ha spudoratamente fatto finta di niente e se n'è andato così, senza neanche salutare.
Che insomma, ci avrei potuto passare dei pomeriggi interi dall'analista, per un abbandono del genere, se l'olandese in questione avesse avuto ventiquattro anni invece che uno e mezzo.
Per non parlare delle zanzare, che hanno banchettato selvaggiamente su ogni centimetro di pelle nuda (le maligne – ne ho già in mente un paio – direbbero che ce ne sono a chili, di quei centimetri lì).
Però poi al ritorno il traffico non è pazzesco come all'andata, la BB mette la musica che piace a me, poi si addormenta insieme alle sorelle e i grattacieli cominciano a illuminarsi, e io finalmente comincio a rilassarmi, e a non pensare che domani è il primo giorno di scuola.

lunedì 20 agosto 2012

I mille volti della Wonder, ovvero Della fatica di un viaggio

Siamo arrivate.
Il viaggio, diciannove interminabili ore punteggiate da qualche trascurabile imprevisto, non ha per nulla minato la forza d'animo della Wonder, e anzi l'ha convinta che chi fa da sé fa per quattro (Wonder Wonderwoman).

Nel tragitto verso Venezia lo scontento della Gabbianella, che già dopo dieci minuti di viaggio voleva tornare a casa sua, si è manifestato con una colossale vomitata nella macchina aziendale nuova, come al solito a pochi metri dall'arrivo. L'autista ha finto che la cosa non rilevasse, per quanto credo invece che sia rimasto piuttosto impressionato. E chi non lo sarebbe stato, dato che il pranzo lasciato sulla maglietta, sul mio vestito e in ultima istanza sul sedile di detta automobile nuova era di colore verde (colpa degli gnocchetti di spinaci), e il getto analogo a quella della pulzella dell'Esorcista. La Wonder ha mantenuto la calma, ha ripulito la Gabbianella, l'ha lavata con l'acqua della bottiglia, l'ha cambiata prelevando un vestito a caso da una delle valigie e il gruppo vacanze ha ripreso il viaggio. Nei bagni dell'aeroporto la Wonder si è ripulita, s'è cambiata d'abito (manco nelle sfilate Dior) (Wonder modeeella), ma per tutto il tempo s'è domandata da dove provenisse ancora quell'odore insistente di vomito che si sentiva addosso (Wonder dubbiosa).

Al controllo passaporti di Francoforte la Wonder ha potuto sperimentare la squisita premura del doganiere, che le ha chiesto se viaggiava da sola.
- Sì, con le bambine - è stata la risposta.
- E suo marito, dov'è?
- Oh, grazie per l'interessamento, si trova a Shanghai, in Cina, dove siamo dirette per il sospirato ricongiungimento dopo quarantacinque giorni di lontananza.
- Quindi suo marito non viaggia con lei.
- No no, in effetti sono da sola (son brava eh? Lo so...) (Wonder orgogliosa)
- E, di grazia, potrebbe dimostrare che queste sono le sue figlie?
- In che senso, scusi? (Wonder perplessa)
- Nel senso che portano un cognome diverso dal suo. Ce l'ha l'attestato di nascita?
- Ma le pare che vado in giro con l'attestato di nascita. C'hanno il loro passaporto...
- Ma non sono iscritte nel suo, di passaporto. Dovrebbero essere iscritte, oppure dovrebbe avere l'attestato di nascita.
- Mmmh, capisco. Non sono iscritte, e non ho l'attestato. Non mi è mai capitato questo problema. In verità non ho mai viaggiato oltrefrontiera da sola con tre bambine. Cosa si fa, in questi casi? (Wonder preoccupata)
- Il fatto è, Signora, che loro non possono dire che sono figlie sue, sono troppo piccole.
- Su questo potrei dissentire. Se lei passasse anche solo due ore con noi saprebbe che mi chiamano mamma almeno trenta volte a testa, e si convincerebbe della veridicità della mia mammitudine. Comunque.
- Vabbè, per questa volta vada. Se lo ricordi, la prossima volta. (Wonder riconoscente)

Siccome so già che ci sarà, comincio da subito a maledire la prossima volta.
Specie se dovrò chiedere ancora di scambiare il posto sul volo più lungo per stare vicina alle tre furie (Wonder demoralizzata). O forse, a ben pensarci, potrei lasciare uno sconosciuto con le tre, e io dormire in pace un po' più in là (Wonder illuminata), ché stare dodici ore seduta su una chiappa sola con la testa appoggiata su un orso di peluches non è il massimo della comodità (Wonder intorpidita). Salto pure la cena, va', che a me i pranzi dell'aereo mi fan vomitare.
Alla mattina chiedo solo pane e marmellata e succo d'arancia, ma proprio mentre abbiamo pronti i nostri panettini una turbolenza turba la colazione. Accompagno la BB in bagno, resto lì con lei per un po', poi faccio la spola a vedere come stanno le altre due, e a pensarci non mi sento molto bene neppure io. Salto pure la colazione. (Wonder indisposta)
All'atterraggio il Gatto urla che ha male di orecchie, la BB vomita, almeno in parte nel sacchetto apposito (Wonder lungimirante), la Gabbianella non ne vuole sapere di mettersi seduta e nel trambusto perde il ciuccio, così da farmi temere un altro dramma (Wonder ansiosa).

Invece no. È finito così. (Wonder sollevata). Con un caldo che, prima ancora che nel corpo, si fa sentire nel naso, con quell'odore di umidità appiccicosa. Con l'eccitazione che ci fa correre. E con un uomo che spunta tra la folla, ci abbraccia e ci tiene strette lì, in mezzo alla corsia, finché non siamo noi a dire Andiamo?

giovedì 16 agosto 2012

Un viaggio lungo una vita

È arrivato, finalmente.
Mi mandi un messaggio, mi scrivi Buon viaggio.
E io penso che il mio, di viaggio, mi porta lontano, ma non come il tuo.
Il mio, di viaggio, dura tredici ore, il tuo tutta la vita.
L'ho fatto anch'io, quel viaggio lì, e ogni volta è una scoperta, che in confronto il Polo Nord, l'Australia, l'America e l'Europa intera sono dei puntini su una palla blu.

Il tuo zaino sarà sempre più grande, perché non sarai mai più solo, a viaggiare.
Sarà pesante, talvolta. Lo porterai sulle spalle, e poi, stanco, lo appoggerai su un letto, ci troverai dentro un sacco di cose che non ti ricordavi nemmeno di avere e ti chiederai come facevano a starci, lì dentro, tutti quei libri, quei pensieri, quei desideri, i sogni, le passioni. Farai fatica a rimetterceli dentro, ma se dovrai scegliere di rinunciare alle cose tue, le lascerai a casa, a volte a cuor leggero, a volte a malincuore, ma lo farai perché sai che non saranno indispensabili, e farai spazio a lui più di quanto tu abbia mai fatto a nessuno.

E gli insegnerai a camminare, lo prenderai per mano e gli mostrerai il mondo, e giocherai con lui con quella palla blu, finché non sarà stanco e si addormenterà con la testa sulla tua spalla.
Lo aiuterai ad arrampicarsi dove non arriva, finché non sarai sicuro che può farcela da solo.
Per lui spingerai l'altalena, farai volare un aquilone, inventerai storie fantastiche.
Gli insegnerai ad andare in bicicletta, ad allacciarsi le scarpe, a fare aeroplanini di carta, a riconoscere le stelle, a credere nei sogni, a non avere paura di niente, nemmeno del buio.
Quando cadrà lo aiuterai ad alzarsi, gli indicherai la strada ma lascerai che la sbagli, lo seguirai per un po' e poi capirà, e allora gli regalerai uno zaino tutto suo e lo saluterai da lontano.
Allora, caro Andrea, fai buon viaggio, anche tu.

martedì 14 agosto 2012

Wunderkammer

- Quante zampe ha?
- Quattro
- Ha le penne, il pelo o la pelle?
- Se ha quattro zampe avrà il pelo
- Ha il pelo e anche le piume
- Maddài? Il pelo e le piume? Sei sicura, nonna?
- Sì sì
- Ha i denti?
- No
- Allora ha il becco?
- Sì
- Ha il pelo e le piume e il becco?
- Sì
- Ma che è? Nonna, sarà mica una roba preistorica...
- No no
- Non vale pensare cose di fantasia! per esempio un unicorno non vale
- Ma l'unicorno non ha il becco
- Ho capito, faccio per dire, un animale della fantasia non vale
- Un ornitorinco!
- Ma quello non c'ha mica le piume
- Però ha il becco
- Comunque non è un ornitorinco
- Boh. Vediamo... dove vive?
- Un po' dappertutto
- Te lo sei sognato, nonna, secondo me
- Cosa mangia?
- Mmmmh, non saprei, forse insetti?
- Allora è un uccello!
- No
- Come no?
- Ma vola?
- Sì
- Con il pelo. E il becco.
- …
- ...
- Vabbè, ci arrendiamo. 
 
- Il pipistrello!
- …
- Il pipistrello?
- Nonna! Ma mica c'ha il becco, il pipistrello!
- A no?
- Nonna, il pipistrello è come il vampiro, c'ha i denti, i canini come Dracula!
- E poi di zampe ne ha due. E non ha neanche le penne!
- Come no? Sulle ali...

Giocare al gioco degli animali con la Nonna Mimmi è quanto meno fuorviante.

venerdì 10 agosto 2012

Countdown

Abbiamo cominciato il conto alla rovescia.
Mancano esattamente otto giorni alla partenza, otto giorni di caldo cittadino, di parenti da vedere che con tutto il tempo che c'è alla fine ci si riduce all'ultimo giorno, di valige da fare e cibi da comprare per portarsi in Cina un po' di Italia da riassaporare almeno in un pezzo di prosciutto e un po' di parmigiano.
Devo preparare una tabella di marcia, altrimenti mi riduco a fare quello che mi piace di più, cioè comprare libri e bere aperitivi, e vivere di nuovo alla giornata, senza programmi, senza obiettivi, con l'idea che il tempo a disposizione sia lunghissimo e invece è breve, e passa subito.
E mi sento un po' come quei cavalli che dopo una lunga gita si accorgono di essere vicini alle scuderie, e anche se sono stanchi di una giornata di sole e fatica, anche se stanno bene per le campagne e per i boschi, si mettono a correre all'improvviso, al galoppo, e non si fermano più finché non sono arrivati.

E mi viene in mente quella volta che cavalcavamo sul sentiero giù da Monteverde, dalla riserva di Santa Elena, nel Bosque Nuboso, ormai vicini a La Fortuna, attraverso i torrenti e i prati, ed era bellissimo e il panorama stupendo e il cavallo ci portava attraverso strade strette che quasi non ci si passava, e ogni tanto dovevamo abbassare la testa sotto qualche ramo e ci fermavamo a guardare le farfalle blu, e improvvisamente il tuo cavallo ha cominciato a correre, e tu sei bravo a cavalcare ma io un po' meno, e anche il mio cavallo ha iniziato a correre, al galoppo, dietro al tuo, e io avevo il cuore in gola e l'adrenalina nelle vene, e pensavo che non sarei riuscita a fermarlo più, quel cavallo al galoppo, che non avrei resistito a lungo, e quando il vento mi ha strappato il cappello non mi sono voltata e non l'ho visto cadere, e ho pensato Peccato, per il cappello, ma non avevo il coraggio di muovermi, temevo che avrei perso il controllo del cavallo, che poi non ce l'avevo mica, il controllo del cavallo, faceva tutto da solo, io concentrata solo a non cadere dalla sella, cercando di copiare quello che facevi tu, davanti a me, ma con la tremarella nelle gambe, e una strana sensazione di paura e libertà. E quando alla fine s'è fermato, il cavallo, da solo, io sono rimasta ferma lì, che mi sentivo il cuore nel petto, e ho pensato che era una delle cose più belle che avessi mai fatto. E poi la guida Roger mi ha riportato il cappello, e ha detto Bravi, ci abbiamo messo pochissimo, a tornare.

E così, anche se sto bene qui, anche se mi dispiace lasciare gli amici, i nonni, le sorelle, anche se mi mancheranno il cielo blu e le piazze e le camminate in centro e i profumi e la mozzarella la pizza il gelato, l'ugo e lo spritz e la compagnia delle amiche, degli amici, ho voglia di tornare, ho voglia di riabbracciarti, amore mio, di stare di nuovo tutti insieme, di correre a casa.

mercoledì 8 agosto 2012

Bellezza e imperfezione di una vacanza bucolica

Portare le tre furie in vacanza in montagna con i nonni consente di godere di alcuni privilegi, non ultimo quello di cenare al ristorante tutte le sere e ingozzarsi di canederli e fagottini ai funghi porcini e kaiserschmarrn senza spendere un centesimo.

Abbiamo passato le giornate a camminare sui monti, a respirare l'aria profumata di muschio e pigne e acqua e funghi, a curiosare nei pollai scoprendo una nidiata di pulcini e un coniglio bianco e nero di venti chili, a correre a perdifiato giù per i sentieri, a guardare le montagne con una sensazione di vertigine, a mangiare panini allo speck e bere acqua gelata delle sorgenti, a visitare la stalla computerizzata con le mucche da latte e dare da mangiare alle galline del vicino, a prendere la cabinovia, a rincorrere le pecore e a fare climbing su alberi secchi e mucche di legno e ponti similtibetani a duemila metri, lassù sulla Plose, con le guance rosse di sole e di fatica, mentre il nonno si mangiava di nascosto una fetta di torta foresta nera con la panna montata. E poi a ridere a crepapelle, a dormire sotto i piumini mentre fuori pioveva a dirotto, a dividerci le albicocche rubate dall'albero, a sentire le campane e sonnecchiare sul prato, a scoprire insetti strani e a cantare quel mazzolin di fiori, a raccogliere margherite e fare bastoni di legno di castagno da usare per tutto tranne che per lo scopo per cui sono fatti i bastoni.
Abbiamo anche pensato un po' alla fortuna che abbiamo avuto, a restare a guardare da lontano quelle nuvole nere come il cielo della notte e quei lampi spaventosi che coloravano di giallo le montagne, mentre dietro quelle montagne succedeva un finimondo.


La bucolica minivacanza, di cui la Wonder con le sue piccole ha potuto godere negli ultimi cinque giorni, manifesta tuttavia qualche piccolo difetto, che alla lunga potrebbe rivelarsi fatale per l'umore della Wonder.

Le bambine, per esempio, non obbediscono militarmente agli ordini come sarebbe auspicabile per la buona riuscita delle gite, si stancano facilmente e tendono a mangiare lo speck durante la colazione, lasciando sguarniti i panini del pranzo.

La chiavetta prepagata per la connessione internet è senza copertura, e quella libera, inaspettatamente rilevata dal computer e che aveva fatto sobbalzare il cuore della Wonder regalandole momento di insperata felicità, è talmente lenta che risulta inutilizzabile, motivo per cui la Wonder ha latitato suo malgrado lasciando in uno stato di abbandono il Bighiblog.

Far camminare le bambine per quattro ore al giorno in un ambiente sconosciuto, nutrendole di ribes rossi e lamponi, sollecitando la loro fantasia con espedienti anche minimi e concedendo loro di guardare due puntate di Heidi prima di dormire nella speranza di vederle crollare sul cuscino non le distoglie dalla quotidiana crisi d'astinenza da papà.

Dopo cinque giorni di sole a dispetto delle previsioni nefaste, la Wonder si ritrova con una abbronzatura da uniforme, che si distingue dalla più famosa abbronzatura uniforme per la classica struttura a canottiera (spalle braccia collo bruciati e il resto bianco), per un naso paonazzo e un cerchio bianco attorno agli occhi da far invidia a Gustav Thoeni, nonché, udite udite, per la presenza di quel tragico segno dalla caviglia in giù, un calzino bianco semi-permanente disegnato dalla nefasta ma ahimè inevitabile presenza dello scarpone. Di fronte a quello anche la riga degli shorts sulle cosce passa inosservata.
Sarà la volta che mi converto alla moda degli stivali d'estate.

giovedì 2 agosto 2012

Di brevità e intensità di una fuga programmata (amici da una vita #4)

*Warning* - questo è un post che Morelle definirebbe infestante. Assicuratevi di avere almeno venti minuti di tempo prima di proseguire. In alternativa, potete prendervi una pausa alla fine del primo tempo. 
Non è prevista la fornitura di viveri di conforto.


Certe volte hai bisogno di staccare la spina.
Vorresti poter fare delle cose senza dover pensare prima a loro, alle tue figlie.
Che ami tantissimo, che sono tutta la tua vita. (Sì, ecco, appunto).
E non è una questione (solo) di organizzazione, di avere due ore di libertà. È che fare la mamma ti cambia le prospettive. Fare la mamma è una vocazione, come fare il medico, il missionario, quei mestieri lì, che ci devi essere portato, perché non c'è sabato o domenica, non c'è vacanza, sei sempre a disposizione.
Quando fai la mamma non puoi dire semplicemente Oggi no, non ho voglia. Di cucinare. Di giocare. Di ascoltare. Di raccontare per la ventesima volta la stessa storia della buona notte.
Non puoi nemmeno dire Oggi che è domenica dormo fino alle dieci, che c'ho sonno. Neanche fino alle nove. Certe volte neanche fino alle otto.
Non puoi decidere di andare a correre mezz'ora tutte le mattine, per tenerti in forma. Non che lo farei tutte le mattine. Ma magari qualche volta sì.

E allora succede che un giorno sei al mare, e stai bene, è tutto bello ma ti senti un po' triste e stanca perché hai due bambine sotto i tre anni e sei ancora incinta e non te l'aspettavi, e hai bisogno di qualcosa per il mal di testa e dici Vado fino alla farmacia, e lasci marito e figlie in albergo a farsi la doccia e cammini per la strada con il sole in faccia, basso all'orizzonte ma ancora caldo, e vedi l'ombra di un treno che passa sul cavalcavia, e c'è anche una stazione, poco distante. E tu vorresti prendere quel treno, che non sai dove va, e pensi che di soldi ne hai un po', abbastanza per andare da qualche parte, purché sia un posto lontano e sconosciuto, e prima di arrivare alla farmacia sei già partita, su quel treno, e ti stai facendo un film in testa, e pensi a cosa farà lui quando non ti vedrà tornare, e hai il cellulare con te e saresti reperibile, e gli diresti che vuoi solo stare sola un po', un paio di giorni, o forse tutta la vita, oppure spegneresti quel telefono e lui non saprebbe niente, e andrebbe dai carabinieri e loro potrebbero dire che uno è libero di andare dove vuole, se è maggiorenne, anche se non è mica tanto vero, a pensarci, e con quella cosa del gps ti troverebbero, saprebbero subito dove sei, verrebbero a prenderti e direbbero che sei una mamma stressata e depressa e ti darebbero qualche ricostituente e due pacche sulle spalle.
E mentre spingi la porta a vetri della farmacia sai che non avrai mai il coraggio di prendere quel treno.
Però lo sai anche che quella voglia ti resterà, un po', anche quando andrà tutto bene, anche quando ti sarà passata la stanchezza, anche quando le tue figlie saranno grandi, perché è proprio il fatto di essere mamma che ti nega la libertà.
Come ha detto quella scrittrice sudamericana a proposito della differenza tra uomo e donna nel gesto creativo,
c'è sempre una donna che chiude a chiave la porta perché il genio maschile possa esprimersi; lo separa dal mondo, risolve tutto per lui in modo che possa rimanere concentrato e puro, tiene alla larga gli intrusi e le quisquilie quotidiane e provvede a tutto a tutto all'esterno cosicché all'interno lo spazio possa irradiare solo la sua luce. A una donna […] nessuno fa il favore di chiudere la porta. Se poi è madre, non riuscirà neppure a chiuderla da sé. Al primo lamento del figlio, anche se ha già vent'anni e vive in un altro continente, l'aprirà, si lascerà alle spalle la dimensione sublime di non so quale creazione e correrà da lui. In altre parole, non è solo il fatto di non avere una sposa devota che ci impedisce di isolarci: è la maternità. La maternità e l'isolamento sono realtà irreparabilmente in conflitto. (Marcela Serrano, L'albergo delle donne tristi, traduzione di Simona Geroldi, Feltrinelli 2001, p. 148).
Il discorso non è limitato al gesto creativo. E una non lo sa, a cosa va incontro, quando diventa mamma. O forse si illude che per lei sarà diverso, che quel mamma pronunciato cento volte al giorno la commuoverà ogni volta, e tutto ruoterà intorno a quel figlio e a quello che fa, mangiare dormire fare la cacca ridere piangere camminare parlare fare le capriole, e così per tutta la vita. E sarà pronta, sì, ad alzarsi dal gabinetto nel mezzo del suo gesto creativo quotidiano alla prima voce del pargolo.
Siamo fatte così.


Allora siccome certe volte hai bisogno di staccare la spina, di sentirti libera com'eri prima che un ciclone travolgesse per tre volte la tua vita, alla fine fai in maniera lecita e organizzata quello che anni prima non avevi avuto il coraggio di fare.
E ti ritrovi sul sedile passeggero della macchina della tua Amica di Arbizzano, mentre lei guida verso una destinazione lontana ma conosciuta, a parlare di tutto, a spettegolare, a ricordare gli amici comuni, le risate, le sfighe, le stanchezze e il lavoro che vi hanno separate in questi anni, con il cellulare sempre acceso ma con la mente già in vacanza anche mentre mangi un bretzel e bevi una birra Forst nel giardino d'estate della Forst, con il cellulare acceso ma con la testa già sulla montagna, in mezzo alla neve dell'estate.
E quando arrivate, tu con le infradito-gioiello e la canotta e i pantaloncini corti, lei con i pantaloni bianchi i sandali e la collana a sei giri, respirate l'aria fredda della montagna e riempite i polmoni di libertà, saltate l'aperitivo di benvenuto perché ormai non c'è più tempo e andate a mangiare subito ché ormai son quasi le otto e il ristorante chiude, in montagna si va a letto presto, e fate un giro fuori a guardare le stelle che sono vicinissime, finché un sedicente astronomo montanaro non commenta il vostro look cittadino del tutto inappropriato e vi invita a bere qualcosa al pub. E non c'è nient'altro, in quel posto, se non l'albergo e il pub, e la funivia che porta a tremila metri, e allora lo seguite al pub, quel montanaro che ha un nome ch'è tutto un programma, perché non lascia crescere l'erba da quanto parla, un montanaro logorroico non s'era mai visto. E il barista, un barista che sputa fuoco dopo aver bevuto lo Stroh, quel barista che doveva offrirci l'aperitivo ci offre una grappa, e poi un'altra, e un'altra ancora, albicocca prugna noce, finché non sono brilla e rido anche per le barzellette, che a me le barzellette non mi fanno ridere mai. Quasi mai.
E il giorno dopo saliamo sulla funivia, che all'Amica di Arbizzano piace un casino che ce l'ha pure in casa, in miniatura, e resta affascinata quando le cabine si incrociano, e tutte le volte le guarda come se fosse la prima volta e mi dice è partita! che ore sono?, per vedere se è vero che parte ogni mezz'ora, e arriviamo in cima, tremiladuecentododici metri di montagna e un ghiacciaio piccolo e sofferente e pietroso e grigio, grigio come una coda di topo, sarà per quello che si chiama Coda Grigia, ma noi siamo lì, con il bianco della poca neve negli occhi e il cielo più blu del blu, a guardare i ragazzi che fanno acrobazie sul piper con lo snowboard e a scodinzolare con i nostri sci a noleggio giù per l'unica pista, già con il fiatone dopo la prima discesa.
E vorrei vedere voi a tremiladuecentododici metri dopo sei anni che non vai in palestra.

E io ho quella maglietta rossa dove c'è scritto WonderWoman che mi hanno regalato i Pado, e sotto il costume, perché l'Amica di Arbizzano mi aveva detto che c'era caldo, a sciare d'estate, e io lo sapevo che qualcuno scia in maniche corte, e lei mi ha detto Se ti senti figa puoi sciare anche in costume, e in realtà no, non è che proprio mi senta figa da sciare in costume ma lo farei, così per ridere, che tanto non c'è mica tanta gente, a sciare, e poi per trasgredire un po', ma non fa mica così caldo da stare in due pezzi.
Però quando abbiamo finito di sciare, a mezzogiorno, che la neve è sciolta e non ci si riesce più, a fare le belle curve morbide, ci mettiamo sulla terrazza a prendere il sole, il sole di tremiladuecentododici metri con la neve intorno, erano anni che non lo facevo, e ci togliamo anche i pantaloni da sci, e gli scarponi e le calze, e mi sento così bene che non ho niente da dire, e un po' stiamo in silenzio a goderci la montagna e un po' ridiamo e mangiamo i panini della colazione, che ce li siamo portati via anche se non si poteva, di nascosto, sotto la maglietta, dei panini morbidi con i semi di girasole imbottiti di speck e formaggio, e poi compriamo due arance e due pesche e le paghiamo un euro l'una, e la ragazza alla cassa ci fa pure lo sconto ché costavano un euro e trenta, ma d'altra parte sei al self service a tremiladuecentododici metri, mica dal frutaròl del porto che con un euro e trenta ce ne compri un chilo, di arance.
Chissà servito quanto ci costava.
E poi stiamo un'ora nella vasca idromassaggio, che penso sia la ragione per cui non mi fanno male tutti i muscoli, e ogni tanto le bolle si spengono e devi schiacciare un bottone per farle ripartire, e abbiamo tutta la vasca per noi, e l'acqua arriva fino al mento, e anche un pochino più su, e le bolle sono forti e sollevano le gambe e la mente e il cuore e stampano in faccia un sorriso che ci resta attaccato tutta la sera.
Per cena ci mangiamo canederli e zuppa di gulasch e pesce alla brace e crema catalana, e mentre fuori si scatena il temporale ci beviamo un afterdinner e ci sentiamo bene, stanche, felici, strane, brille, libere, libere, libere.

Amica, dove si va la prossima volta?