domenica 19 ottobre 2014

Colazione con sirena

- Mamma, sai che ieri ho visto la sirena
- Dai? Davvero? Quella con la coda?
- Ma noo...
- Allora quella dell'ambulanza?
- Mi passi la nutella?  
- Guarda che hai già mangiato abbastanza
- No, era...
- Quella dei pompieri!
- Noo!
- Vuoi ancora latte?
- Era quella che faceva ninooooo ninooooo?
- Ma no! Non capite... quella che aveva un nome!
- Mi passi la nutella mamma?
- No amore il panino te lo faccio io
- Allora era quella che faceva uuuuuuuuuu?
- Quella della pulizia?
- Si dice polizia, Gatto
- Uffa però ci metti tanta nutella
- Non era quella della polizia?
- NO
- e neanche quella dell'ambulanza quando uno si fa male?
- Allora era quella con la coda di pesce, che vive nel mare...
- Ma no, vedi, non era quellaaaa! Non capite...
- Ok Gabbianella, non arrabbiarti. Hai ragione, su, non piangere, non ti abbiamo lasciato parlare. Dai, raccontaci quello che hai visto.
- Era la sirena, quella vera... quella col nome...
- …
- …
- Ehm, Gabbianella, sai qual è il punto? È che noi conosciamo due tipi di sirena. Una è quella che fa rumore, hai presente? ninooo niinoooo! quella che fa la lucina sopra le macchine; una è quella che ha il corpo metà ragazza e metà pesce, con la coda di pesce, no? Come la sirenetta, che ha un nome e si chiama Ariel, e ha delle sorelle che hanno un altro nome che comincia con la a, una si chiama Atina, poi le altre non mi ricordo...
- Ma no, lei è una vera, una ragazza!
- Ah, ok. Allora. Vediamo. È la mamma di qualcuno, di una compagna?
- Sì, è la mamma di... come si chiama... della Marghe.
- Amore! Ho capito! È vero, lei, sai, sembra proprio una sirena, ma è che si chiama Serena. Il suo nome è Serena, con la e, ecco. Vuoi un biscotto?

Il brainstorming durante la colazione della domenica mattina, con caffè, marmellata, il pane e la nutella dà dei risultati stupefacenti.

mercoledì 1 ottobre 2014

Pensieri sparsi in cima a una scala traballante

La vita di campagna è piuttosto faticosa, la verità.
C'è sempre l'erba da tagliare, i rami da potare, le rose e i limoni da abbeverare, la ringhiera da ridipingere, un muretto da ricostruire, l'edera da sradicare, senza contare la normale gestione della casa, tipo dare la cera ai pavimenti, che la nonna ci tiene tanto.
La Wonder ha sempre cercato di sottrarsi alle varie incombenze imboscandosi in qualche anfratto del giardino con una sdraio e un libro, rendendosi di fatto sorda alle più o meno esplicite richieste di intervento.
La sordità indotta è un fatto ereditario. Quando legge, la Wonder riesce ad astrarsi completamente e non sente più niente, esattamente come il nonno, pur non soffrendo di alcun disturbo reale dell'udito. Diciamo che si tratta di un meccanismo di autodifesa.
Comunque.
L'altro giorno l'aria fresca dell'ultima domenica settembrina ha costretto la Wonder a piazzare la sdraio in un punto del giardino piuttosto esposto, il che le ha garantito un angolo di sole tiepido, quasi caldo, ma l'ha per contro messa all'evidenza della nonna Mimmi, presa dal raptus pulitorio. Terminato il capitolo, la Wonder è stata cooptata per la pulizia delle grondaie della cappella.
Munita di guanti e palettina si è arrampicata sull'ultimo gradino della scala, vagamente instabile, la verità. E, guardando a turno il tetto e il terreno, ha cominciato a pulire.

La cappella, che è ancora consacrata, era stata costruita in memoria della sorellina della bisnonna, morta di appendicite a cinque anni. Gualdrada, si chiamava. Che per via di nomi, la fantasia dei secoli scorsi era di molto più fervida di oggi, alla faccia dei vari Kevin, Maicol, Chanel e Davis.

(E infatti anche il bisnonno aveva un nome strano, che l'ho scoperto solo dopo che è morto il nonno, che per inciso si chiamava Cesare ma tutti lo chiamavano Gino, vai a sapere. E siamo arrivati al cimitero, in cima alla collina, che pioveva un pioggia sottile e un po' fredda e il vento piegava gli ombrellini leggeri, e quando hanno aperto la tomba per metterci la bara del nonno hanno tirato fuori una scatola di metallo grigio, e l'hanno appoggiata lì di fianco alla lapide mentre calavano con le corde il nonno, e allora io ho chiesto al papà che era lì di fianco a me, chiuso nel suo impermeabile blu e gli occhiali pieni di goccioline di pioggia, gli ho chiesto Cos'è quella scatola papà? E lui guarda la scatola e mi sembra che si muova al rallentatore mentre si sistema il cappello che non gli ripara gli occhiali dalla pioggia leggera, e mi dice quasi sorridendo Quella lì? Quello è il nonno Celidonio.
Il mio bisnonno si chiamava Celidonio. Per dire).

Allora, mentre sono arrampicata sulla scala con la paletta in mano per pulire le grondaie della Gualdrada, che sono piene di aghi di pino e terriccio e tutte intasate, mentre con la paletta raschio via quel po' di muschio e con un legnetto cerco di sturare il tubo, e non è mica tanto facile perché il tubo ha due angoli che seguono la forma del tetto e il terriccio si ferma lì e il bastoncino invece è dritto, e non va molto in giù; mentre sposto la scala e un po' alla volta faccio tutto il giro e ripulisco tutte le grondaie, e una scopro che è anche bucata che quasi era meglio se ci restava un po' di terriccio che magari serviva a tappare il buco; mentre con l'acqua della pompa faccio scivolare via gli ultimi grumi di terra e sento quel rumore di sgorgo e dal fondo della grondaia esce la terra e poi finalmente solo l'acqua, mi viene da pensare, ancora lì appesa sulla scala, un po' in bilico, a certi grumi che si formano nella testa, e nel cuore, che magari si riuscissero a togliere raschiandoli via con una paletta e un po' d'acqua; che forse è perché nella testa e nel cuore ci sono tanti angoli, e i grumi si fermano lì, e non hai mica un bastoncino da usare, per sciogliere quei grumi lì, sarà per quello che è più difficile.

giovedì 3 luglio 2014

Il bello della spesa

Faccio la spesa in internet.
Non avendo la macchina, o mi carico come uno sherpa facendomi tre chilometri a piedi e tentando l'arrampicata di tre rampe di scale, o limito la spesa a un filone di pane, un cespo di insalata, tre pomodori insipidi e due uova nel market vicino a casa.

Io gliel'ho detto, al Bighi, che ci vuole un'altra macchina, ma lui è della vecchia scuola, dice che mantenerla costa un occhio della testa e che a pensarci bene non mi serve.
Io veramente sono dell'idea che, a pensarci bene, se avessi una macchina troverei il modo di utilizzarla, per esempio per portare le bambine in piscina, a fare una scampagnata, dal dentista o fare la spesa. Lui sostiene che per quelle volte che mi serve posso prendere un taxi che ci costa meno.
Quindi sto senza macchina, le bambine in piscina le porto in bici, la scampagnata si fa in tram e la spesa in internet, perché diciamolo, il taxi poi alla fine non lo prendo mai.

Il bello della spesa in internet è che ti portano i pacchi direttamente sul tavolo della cucina, il che rappresenta un innegabile vantaggio se abiti al terzo piano senza ascensore e oltre alla consueta scorta di carboidrati, surgelati e verdura hai pensato di comprare, tra le altre cose, sei litri di latte, otto bottiglie di cocacola, succhi di frutta, un trolley di detersivo per lavatrice e un'anguria da sette chili.
- Non ricordavo di aver ordinato tutta questa acqua, è sicuro che sia mia? 
domando al ragazzone vagamente stravolto che sta depositando sul pavimento quattro confezioni da dieci litri ciascuna di acqua frizzante. Il dubbio, se volessimo essere pignoli, è tanto più legittimo se si considera che noi si beve acqua pura fontis, cioè a dire naturale del rubinetto.
- Lei è la signora Wonder?
- Di pirsona pirsonalmente, direbbe Catarella.
- Allora sì, è sua.
- E questa cioccolata qua, non l'ho mica ordinata, son sicurissima perché ho deciso proprio l'altro giorno che devo fare un po' di dieta prima di andare al mare per...  insomma son sicura.
- Magari è un omaggio
Ah...
- E senta, il fatto che qui su questi adesivi ci sia scritto Clarabella Delgatti* ricopre un qualche significato?
-...
-...
- Forse mi sono sbagliato.
- Mi sa anche a me.
- Scusi, ora faccio il cambio.
- Si figuri. Come li porta giù i pacchi? tutti insieme o fa due giri?

Mentre mi si disegna in faccia un ghigno tipo quello di Muttley, penso che, in fondo in fondo, tutto sommato, non avere la macchina è una gran comodità.
 

*va' che bello sto nome di fantasia

giovedì 26 giugno 2014

Senza ferretto

E lo so. Lo so che non si fa.
Però vabbè, l'ho sempre fatto e finora mi era anche andata dritta.
Nessuna conseguenza, di fatto. Fino a ieri, che piegando la biancheria appena uscita dall'asciugatrice mi ritrovo in mano un reggiseno senza ferretto. Ora, il reggiseno in questione prima di subire il lavaggio e l'asciugatura era provvisto di due ferretti, uno per tetta per intendersi. Quando è uscito ne aveva uno solo.
Domandina: dove è finito il secondo ferretto?
Allora faccio le cose con ordine: perlustro accuratamente l'interno del cestello, dove non trovo traccia di ferretti però recupero una monetina da ben cinque cent. Poi perlustro l'interno del cestello dell'asciugatrice, ma a parte un calzino minuscolo (e dai, si sa che l'asciugatrice rimpicciolisce la biancheria...) non trovo nulla.

- Guarda nel filtro, mi dice l'amica Alesarda. 
Il che mi ricorda che la lavatrice ha un filtro.
Apro la vaschetta, dimenticando che il filtro è anche pieno di acqua, allago brevemente il bagno, chiudo la vaschetta, asciugo, prendo un contenitore, riapro la vaschetta, raccolgo l'acqua e finalmente estraggo il filtro.
Miracolo! Nel filtro trovo la bellezza di venti centesimi (moneta unica), una forcina arrugginita, un palloncino rosa quasi sciolto, una bambolina senza una gamba, dei sassi, della sabbia, due rametti secchi, un anellino di plastica. Il ferretto? Quello no.
Allora estraggo anche la vaschetta del detersivo, quella sapevo che c'era per via che ci metto sempre il detersivo.
A mia parziale discolpa tengo a dire che la lavatrice è praticamente nuova, presa dopo che, tornati dalla Cina, la vecchia lavasciuga (vecchia si fa per dire, a quindici anni è sì e no un'adolescente), poveretta, è deceduta in seguito a infarto del tubo di scarico dovuto a sovraccarico di biancheria. Praticamente è esplosa.
Comunque. Niente ferretto neppure là.
Poi dico, un ferretto non è mica piccolo. Come ha fatto a sparire? E prima di sparire, come ha fatto a uscire dal reggiseno? Perché se volessimo, questo è un mistero anche più curioso della sparizione nelle viscere della lavatrice.
Non è migrato in altri reggiseni: per ora, non ne ho trovato alcuno con un ferretto in più. 
Non si è sciolto: per quanto alta possa essere la temperatura, in genere non supera i 60 gradi, il che mi pare sufficientemente lontano dal punto di fusione del metallo.
Comunque, ho pensato che non importa.
La perdita di un ferretto è una conseguenza accettabile per la comodità di non lavare a mano.
E poi dai, è estate, vogliamo liberarle un po' dalla tortura dei reggiseni, queste tette? Ferretto o meno, dite la verità, anche voi non vedete l'ora di stare senza.

sabato 12 aprile 2014

Improbabile fine e fantastica della solitudine del sabato

La mattina del 31 marzo scorso stavo facendo la mia consueta corsa sul lungofiume. Era una bella mattina di primavera, l'aria limpida era già calda e all'orizzonte si vedevano le montagne ancora innevate.
Ero solo, come ogni maledetto sabato mattina.
Non che gli altri giorni fosse diverso, ma gli altri giorni non andavo a correre. Quando corri da solo senti di essere solo più di quando prendi l'autobus, o fai la spesa, o lavori nel loculo che ti hanno assegnato come ufficio, dove passi la giornata a inserire codici e nomi. Data entry, lo chiamano, ma usare l'inglese non rende l'operazione meno monotona e frustrante.
C'è solo un momento in cui sento di essere solo più di quando corro: quando ceno. La cena silenziosa in quella cucina triste ad ascoltare il rumore delle posate, il piatto sulla tavola di formica, due sedie impagliate. Due sedie, sì, ma a che mi servono due sedie, una è sempre vuota.

Corro tutti i sabati, alla mattina. Forse i gesti abitudinari mi danno sicurezza.
Anche quel sabato mattina correvo. Avevo percorso circa dodici chilometri a un ritmo piuttosto blando, ero già sulla strada di casa ma per arrivare mi mancavano ancora tre chilometri buoni. Sentivo le gambe pesanti, e non avevo più fiato.
Per un momento pensai che sarebbe stato meglio se mi fossi fermato un attimo, giusto il tempo di riprendermi un po', normalizzare il battito cardiaco, sciogliere i muscoli, ma non lo feci.
Continuai a correre, fino a quando non raggiunsi un tratto costeggiato da alberi alti. Lì, forse per colpa dell'improvviso cambio di luce, la vista si annebbiò. La testa prese a girare, e cominciai a vedere tutto bianco. Mi mancava l'aria.
Le gambe non mi reggevano più, inciampai e fui costretto a fermarmi.
Sentii una fitta al cuore, un dolore secco.

Non so esattamente cosa accadde nei pochi minuti successivi, ma quando riaprii gli occhi ero disteso sul sentiero sabbioso, a meno di un metro dal fiume. L'acqua correva veloce, potevo vederne i piccoli vortici quasi costanti, e me ne sentii visceralmente attratto.
Certo, che non fossi felice della mia vita non era un fatto particolarmente degno di nota. È pieno il mondo di gente insoddisfatta, delusa, senza prospettive, che però non prova l'istinto di buttarsi nel fiume in una limpida mattina di marzo. Tanto meno di sabato.
Di domenica, forse, ma di sabato...

Avevo sete, la bocca secca. Feci per avvicinarmi alla riva, al verde dell'acqua, al gorgoglio delle onde, come se quell'acqua di fiume potesse dissetarmi, o annullarmi, ma il corpo non si mosse. Avevo la testa appoggiata di lato, l'occhio destro schiacciato per terra e l'altro a guardare l'erba alta, il cielo ostinatamente azzurro. Provai a sollevarmi sulle braccia ma non avevo più forza. Provai ancora a muovermi ma era come se fossi legato, riuscii a spostarmi solo di pochi centimetri. Cominciai a provare un leggero panico. Le tempie pulsavano, mi sentivo soffocare e un grido mi si smorzò nella gola. Con un notevole sforzo alzai un po' la testa, abbastanza per vedere qualcuno che si avvicinava.

Un vecchio.
Era evidentemente un pescatore, di quelli che vanno a pescare in mezzo al fiume, con gli stivali a scafandro e la lenza in una mano, e nell'altra un secchio verde che dondolava piano, grande abbastanza da farci stare dei pesci di fiume. 

Sono salvo, pensai.
Il mio corpo lucido di sudore tremò violentemente e poi ebbe un sussulto.
Quando mi vide, il vecchio posò il secchio e la lenza, si fermò a fissarmi per pochi istanti, schermando il sole con la mano, e poi mi sollevò.
Mi scrutò ancora, e con un sorriso sbilenco mi buttò nel secchio, insieme agli altri pesci.

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Questo racconto partecipa all'EDS La balena non è un pesce insieme a:


venerdì 11 aprile 2014

Cinque regole infallibili per togliere dal muro le tracce di vomito, più un consiglio di psicologia spicciola

Regola numero 1
Pulite subito. Non fatevi prendere dall'indolenza notturna pensando Vabbè che succede se aspetto domani mattina, in fondo sono le tre di notte. Questo verrebbe a delinearsi come l'errore più grave. Il vomito secco è piuttosto ostinato, s'attacca, e in più ha questo difetto che è vagamente corrosivo. Saranno gli acidi, i succhi gastrici, tutta roba naturale, eh, ma sul parquet lasciano il segno.

Regola numero 2
Non fatevi prendere dal disgusto vomitando pure voi. Pensate che è tutta roba santa, come altre manifestazioni corporali dei bambini. Mantenete un dignitoso distacco turandovi eventualmente il naso con due dita. 

Consiglio per la salute psicologica della fanciulla
Sorridete alla bambina che vi guarda con aria colpevole e rassicuratela con parole dolci, tipo Non preoccuparti amore può capitare stai tranquilla adesso la mamma pulisce e tutto torna come prima tu vai pure a dormire nel mio letto
Prima di spedirla tra le vostre candide coltri, però, assicuratevi che si sia lavata le mani, la faccia e anche i piedi.

Regola numero 3
Mentre pulite, potete anche pensare che quei pezzi di roba attaccata al muro costituiscono in buona parte la cena che avete amorevolmente preparato la sera prima e che se vostra figlia ne ha mangiato senza grande entusiasmo non era tutta colpa della cena, ma non riflettete sugli avanzi nel frigo, non è il momento adatto.

Regola numero 4
Lasciate passare un giorno. Poi prendete uno straccio, la candeggina spray che usate normalmente per togliere le tracce di muffa (non dite che non avete mai avuto tracce di muffa, ogni casa che si rispetti ne ha, guardate bene) e alternate spruzzi a passate con lo straccio, senza strofinare troppo altrimenti oltre al vomito viene via pure il colore.

Regola numero 5
Aspettate che il muro si asciughi e verificate con stupore che avete tolto ogni traccia di vomito.
Allontanatevi e guardate l'effetto. 
A questo punto ridipingetelo.
Una bella mano di bianco, et voilà, pulito come prima.

mercoledì 2 aprile 2014

Lamento di una giovane morta

Sono morta.
Devo averlo pensato, mentre mi trasportano su una barella improvvisata, mentre continuo a svenire e al risveglio vedo solo facce sconosciute, chine su di me, circondate da un alone sfocato. Non provo dolore, solo tanta stanchezza, mi si chiudono gli occhi, e sogno. Sogno una barca che naviga nel cielo azzurro, la vela bianchissima spiegata al vento, e niente intorno. Sole e cielo, e nient’altro. Forse c’è anche il mare, a pensarci bene, ma si confonde con il cielo, è dello stesso colore azzurro. Appena apro gli occhi, vedo figure affaccendarsi intorno a me, ma è come se stessi guardando un film, non sento le voci e l’immagine è sbiadita, come avvolta in una nebbia.

Nella gamba sinistra si apre uno squarcio, ma non sanguina, stranamente; la carne viva e l’osso del femore hanno uno strano colore, diverso da quello che mi sarei aspettata. Sembra la pancia squarciata di un pesce, già ripulita da mani esperte, con la lisca spinale in vista e qualche brandello di interiora ancora attaccato. Ha anche uno strano odore, non da pesce, comunque.

In realtà non avevo mai pensato al colore della carne viva, e al colore di un femore. Non del mio, almeno. Certo, carne al sangue ne ho mangiata, ma non è la stessa cosa. Lì il sangue non scorre, e poi non ci pensi che è proprio il sangue che faceva vivere la bestia che ti stai mangiando, che scorreva nelle sue vene, che faceva funzionare il suo corpo. Qui invece di sangue ce n’è. Rosso, di un rosso così vivo che sembra smalto, tipo Chanel rouge fatal. Da dove arrivi, non ne ho la minima idea, ma non è cosa che mi preoccupi granché. Ce n’è anche una sacca piena, è appesa da qualche parte sopra la mia testa, ma quello non è rosso lacca, sembra più scuro, più compatto, Chanel rouge noir, per dire.

Svengo ancora. Una grossa signora con un camice bianco mi schiaffeggia con sistematica metodicità, e con una certa violenza, anche, ne sento il rumore sul viso come fosse la coda del pesce che sbatte sul fondo della barca, e ricordo di aver pensato che avrebbe potuto essere un po’ più gentile, visto il mio stato, ma intanto non riesco a tenere gli occhi aperti, e mi sento stanca, vorrei solo riaddormentarmi e tornare a sognare la barca, rivedere i miei piedi nudi con le unghie laccate inquadrati dall'alto vicino a quel pesce appena pescato, che sbatte la coda sul fondo della barca.

Sono morta. Dev’essere così, perché non sento niente quando mi infilano l’ago nel braccio, e non distinguo il viso degli inservienti che mi spostano dalla barella al tavolo operatorio. So che sono in sala operatoria per via di quella luce forte, che penetra attraverso le palpebre chiuse, o forse ho aperto gli occhi quel tanto che basta a farmi intravedere un braccio di metallo che termina con quattro fasci luminosi. Non vedo nemmeno il medico, che arriva circondato dagli assistenti, ne sento solo la voce, ma lontana, come se fosse in un’altra stanza, e non capisco quello che dice, mentre una mano si avvicina al mio volto e mi preme una mascherina sulla bocca e sul naso. Cerco ancora di aprire gli occhi, ma è uno sforzo immenso, e tutto sommato non è che ne abbia proprio voglia. È solo un tentativo doveroso, per così dire.

Ora sono distesa su un lenzuolo bianco, in una stanza dalle pareti bianche che non somiglia per niente alla vela di una barca, il volto bianco come cera. Sono morta.

Finalmente, mi viene da dire, ma in realtà non provo più niente.

Non sento più dolore, né speranza, allegria, desiderio, tristezza, paura. Niente di niente, nemmeno indifferenza. La cosa non cambierà, lo so.

sabato 29 marzo 2014

Finestre chiuse

Non riesco a staccare gli occhi dagli stivali neri. Sono pesanti, con delle cinghie laterali, i pantaloni con la riga rossa infilati dentro.
Camminano sul pavimento, sui tappeti, sui vetri rotti, come se fosse naturale. Attraversano le stanze, ed è un'altra intrusione, una specie di ulteriore violazione della mia casa, delle mie cose, per quell'aria distaccata con cui il carabiniere apre finestre e porte, senza nessun segno di comprensione, di vicinanza, come un dottore davanti alla malattia.
"Sono entrati dal balcone, salendo per la grondaia, poi sono usciti dalla finestra della camera, ci sono ancora i calcinacci, vede?" E indica dei segni sulla gronda, illuminando il buio con una torcia che si è materializzata all'improvviso nelle sue mani.
Stacco gli occhi dagli stivali e guardo nella notte, non vedo niente, o così mi pare.
I carabinieri sono addestrati a vedere le cose, lo so.

Mi viene in mente quella volta in treno, stavamo andando al mare mia sorella e io con un'amica, almeno credo che fosse quella l'occasione anche se nel ricordo mi sembra di essere da sola. Avevo una valigia e la borsa e il biglietto appena timbrato in mano quando sono entrata nello scompartimento, dove c'erano delle persone, un ragazzo seduto che guardava dal finestrino e un uomo dietro di me a controllare se era rimasto un posto, che non c'era. Sistemo la valigia, mi siedo, frugo nella borsa a cercare il libro da leggere e il ragazzo si alza di scatto correndo fuori nel corridoio, sta via pochi minuti e ritorna porgendomi il biglietto. “Non te ne sei accorta ma ti aveva rubato il biglietto”, mi dice. Io resto basita, ammirata per la velocità e la destrezza di quel ragazzo, che mentre verifico che davvero non avevo più il biglietto mi racconta di aver convinto l'uomo a restituirlo prendendolo per il collo e minacciandolo. “E poi – aggiunge – quando capiscono che sei carabiniere, anche se sei in borghese, si mettono paura”.

Io non ho paura dei carabinieri.
Adesso che è seduto in cucina a trascrivere dati e numeri, a verbalizzarci su un foglio a quadretti, mi sembra che sia anche un bell'uomo, ha mani abbronzate e gambe forti. Gli stivali neri sembrano ancora più grandi.
Quando se ne va, comincio a chiudere gli armadi, prendo da terra la mia biancheria. Hanno frugato nei cassetti, hanno preso in mano le mie cose e le hanno buttate sul letto, sul pavimento. Mi prende un po' di tristezza, ma è una tristezza strana, un misto di paura e irritazione, senso di impotenza e voglia di piangere.
Un po' quello che si prova per un bacio rubato.
Ci devono essere i ladri” ha detto la vicina della casa di fronte a mia sorella, “c'è molta confusione sul letto, non l'ho mai visto così in disordine”. Ah, ecco. Così in disordine non l'ha mai visto. Devo pensare qualcosa anche per le tende, mi sa.

Non riesco a prendere sonno. Le bambine sono spaventate e vogliono dormire nel lettone.
- Magari è stato il vento a rompere il vetro, eh mamma?
- No tesoro, sono stati i ladri.
- Ma come hanno fatto a entrare da un buco così piccolo? 
- Amore, il buco è servito solo per infilare la mano e aprire con la maniglia.
- Ma come hanno fatto a rompere il vetro? 
- Bella domanda, tesoro. Forse con un cacciavite, ma non lo so.
- Ma adesso tornano ancora? No amore, non tornano più.

Chiudo tutte le imposte. Non lo faccio mai, detesto svegliarmi al buio, voglio sapere quando apro gli occhi se è ancora notte o se c'è luce fuori. Non mi piace tornare a casa e vederla chiusa, sbarrata dentro se stessa.

- Ma le finestre devono restare sempre così, mamma? No tesoro, le apriamo.
- Ma quella del poggiolo no, deve restare così, se no entrano qualcuni di nuovo in casa, eh. 
- Va bene amore, quella la lasciamo chiusa.
- Non può essere stato il vento... Chissà perché sono venuti da noi, mamma.
Già, chissà perché. 
- Non preoccuparti per il tuo orologio, sai mamma. Ne compriamo uno più bello.

Resto in bagno per un tempo infinito, a guardarmi allo specchio, a lavarmi le mani. Quando finalmente vado a letto, il Bighi dorme. Mi avvicino, ho bisogno di un contatto. Nel sonno, mi abbraccia.
Penso che devo lavare la mia biancheria, toccata da mani estranee, domani. Dobbiamo fare la denuncia, domani. 
Aprirò le finestre, domani.

venerdì 28 marzo 2014

Apologia dello sciampo

Mi hanno consigliato uno sciampo. Seguo i consigli degli amici, io, così se non funzionano so chi incolpare.
Non ci pensi, però a volte puoi aver bisogno di uno sciampo.
Di una corsa, prima, e poi di uno sciampo.
È utile, lo sciampo, per mandare via i cattivi pensieri, per sciogliere questa parte di me che non mi riconosco, che faccio fatica a comprendere, che non mi piace e non voglio che si incrosti. 
Sto lì, sotto la doccia, a sentire l'acqua scorrere sulla testa, sulle spalle, scendere calda e portarsi via i pensieri, giù fino ai piedi e poi dentro il buco rotondo dello scarico.
Per quello, il bagno non va bene. Lì ci resti immersa, nell'acqua torbida della tua mente, finché non decidi di uscire, e quando lo fai l'acqua, quella vera, quella del bagno, è ormai fredda, il sapone si è addensato sui bordi della vasca e ti resta attaccato addosso. Come fai a togliere i pensieri se non riesci nemmeno a sciacquare via il sapone?
A parte il fatto poi che non ce l'ho, la vasca da bagno.
Quindi, la doccia. Ci vuole la doccia.
L'acqua è sempre calda, sotto la doccia.
Insapono la testa e insisto sulle tempie, sulla nuca, fino a quando la schiuma diventa densa, e poi lascio che l'acqua mi scenda sulla faccia, che riempia la bocca e le orecchie, chiudendomi per un po' in un silenzio ottuso, e portandosi via dagli occhi chiusi anche il mascara, in una scia nera.
E sì, è utile lo sciampo, per levarsi dalla testa i pensieri, e anche i ricordi, quelli belli, bellissimi, che avrei dovuto già da tempo mettere via, in un angolo del cuore, in una piega della mente. Se ne vanno anche loro, insieme alla schiuma, giù per lo scarico, lasciando solo un rumore sordo che resta nelle orecchie lo spazio di un attimo, il tempo necessario al piccolo gorgo di assorbire nel tubo il grumo di tristezza.
Chissà se torneranno.
Comunque, al limite mi farò un altro sciampo.

giovedì 20 marzo 2014

Caffè quaresimale

Interno giorno.
WonderDad seduto a tavola, il piatto con le posate leggermente scostato e la testa affondata in un voluminoso tomo dalla copertina giallina, occhiali da miope tirati sulla fronte.
WonderMum affaccendata con i piatti, collana di perle e twin set celeste.
La Wonder prepara il caffè. Due normali, un decaffeinato.

- Però, è stato veramente grandioso
- Me ne ciàvo de quel che i dise
- Le tazzine sono lì, vicino alla finestra
- sono indifferente ai pettegolezzi
- Davvero non ho mai visto un funerale così, era tutto molto studiato
- El cicava e po' el tirava de chi scàpari che faséa impresiòn
- C'era tanta gente?
- masticava tabacco e poi scatarrava in modo repellente
- La chiesa piena, certo
- Èsa pién de corni come 'na zesta de bogoni
- d'altra parte era molto conosciuto
- Lo zucchero dov'è?
- essere tradito ripetutamente
- C'erano i fiori bianchi
- Questa zuccheriera sembra una vasca da bagno
- Vàrda ch'ite guza la cagneta
- Un sacco di preti, come da Roberto
- attento a non lasciarti imbrogliare
- C'è mica un dolcetto?
- L'è ora de fenirla de far i ovi fora dal zesto
- È quaresima, veramente
- bisogna imporre regole che limitino l'arbitrio
- Mamma, solo per il caffè
- Sì ma gnanca un dessèr? No gh'è mai il dessèr
- Un pezzetto di cioccolata?
- Sì, dai. Fèmo fioretti de altro tipo
- C'è scritto anche sul giornale, ormai i classici fioretti sono superati
- Con tuti i funerài ch'emo ciapà, ghe n'emo fati par un tòco
- Meglio rinunciare un po' alla tv, all'ipad...
- 'Sta ciocolata?
- Eccola qui
- Meglio mangiarla che scade, va'
- Mangia mangia che sei magra
- Come sarìa, la scade?
- Mamma non sono così magra
- Beh insomma, scade a maggio
- Sì va ben ma l'emo comprà la setimana pasà...
- Vuoi lo zucchero? Quanti cucchiaini?

Il caffè dai WonderParents, comprensivo di lettura del Dizionario del dialetto di Sanguinetto del Vaccari e di consigli sulla gestione delle rinunce quaresimali, costituisce un discreto diversivo, la verità.

lunedì 17 febbraio 2014

Di Favino, film, favole e festine

- Ma dico, con tutti i sabati del calendario, proprio questo sabato qui doveva essere
- Wonder, il mondo mica gira intorno alla tua agenda
- Cosci, lo sai che ti stimo. Però certe volte mi irriti
- Tipo adesso?
- Come ci sei arrivata?
- Ma vedi che non hai capito una mazza di quello che ti sto dicendo
- Perché tu sei subdola, insinui, e sai che io non sono intelligente. Mi applico, ma non ci arrivo
- Allora te lo dico con le parole della tua Amica di Arbizzano: se non vai, te sì mona.

Confortata dalle rassicurazioni della Cosci, coscienza preferita nonché unica, sabato pomeriggio la Wonder ha lasciato a casa una tavola apparecchiata con cura, con una bella tovaglia ricamata, piattini rosa, bicchieri di plastica, aranciata cocacola e chinotto, ciotole piene di patatine e olive e cipolline e popcorn, piatti di panini al prosciutto, distese di tramezzini alla nutella, due torte una delle quali con le candeline già infilate, una distesa di coriandoli e stelle filanti sul pavimento della sala e una serie di cd con le musiche di violetta e peppa pig.
Ha lasciato una cucciola biondocrine con una corona in testa, tre papà con dodici bambini dai quattro agli undici anni e tre bottiglie di vino, una di aperol e dei grissini salati, ha salutato tutti e ha pedalato sotto un cielo grigio e piagnucoloso verso un Pensiero Visibile.
Mica poteva perderselo, quell'uomo visibile lì.

Perché lui è uno degli attori più fichi del globo, diciamocelo.
E un incontro informale con quell'attore lì, chi se lo perde.

(cronaca)
Posso chiamarti Pierfrancy, sì? Tanto è un incontro intimo, no? sì ok, informale, non sottilizziamo... A proposito di quello che dici, che una volta per andare al cinema dovevi metterti via ottomila lire e dovevi scegliertelo bene, il film da vedere, perché poi se non ti piaceva ti incazzavi, e però questo serviva anche a farti capire quello che ti piaceva e quello che no, e invece adesso i ragazzi hanno tutto a disposizione e si possono scaricare gratis quello che vogliono anche se è illegale e così facendo gli va bene tutto e non sono più in grado di capire cosa gli piace perché tanto è uguale, è gratis e a caval donato non si guarda in bocca, ecco io sarei un po' in disaccordo... voglio dire, succede la stessa cosa coi libri, adesso con gli ebook scarichi anche testi gratuiti e però non è che perché sono gratuiti sono appassionanti, interessanti o anche solo gradevoli, ce ne sono anche di quelli che sono una porcata, e non è che non te ne accorgi per il solo fatto che sono gratis. Insomma uno può farsi un'opinione anche guardando un film gratis, secondo me.
E poi volevo anche dirti una cosa, cioè che talvolta è anche una scelta obbligata, vedere un film alla televisione, anche se ci perdi nella fotografia e nella regia (qualche volta), perché adesso un film lo vedi in programmazione tre giorni, ti distrai un attimo e te lo sei già perso, parlo in generale perché sai com'è, cerca di capire, con tre figlie sotto i nove anni è anche difficile organizzare una serata, vedi che anche oggi son scappata dalla festina, mi son messa pure gli stivali bassi, per fare prima, ho rinunciato al tacco dodici che ci avrei fatto una figura più da gnocca ma non ci corri granché, col tacco dodici, e vabbè che non sei tanto alto e così in foto veniamo alti uguali, però lo stacco gamba ci perde, con lo stivale.
Comunque.
E sì, lo so che sono anche io della tua generazione, e adesso l'altra generazione, quella nata col tablet in mano, è diversa, è meno educata, in quel senso lì, ho capito cosa intendi... se poi mi guardi così, con quegli occhi lì, vabbè, allora puoi dire quello che ti pare, puoi anche mettere in fila tutti i numeri di Fibonacci, tanto per fare un esempio, darmi la ricetta della coda alla vaccinara, mi puoi anche dare il numero del tuo cellulare ché tanto, guarda, non ti sto più ascoltando, credimi, il film me lo faccio da sola nella testa ed è uno di quei film che al cinema una volta sarebbero stati vietati ai quattordici, per dire.
Perché io ho una curiosità, volevo farti anche un'altra domanda, posso, Pierfrancy? Ma tu quando sei al cinema e devi baciare un'attrice, per il copione, fai finta o fai sul serio? Cioè baci davvero? Con la lingua e tutto? Perché sai se un bacio è finto secondo me si vede... Fare una prova dici? Sì, beh, va bene, facciamo pure una prova, basta che poi non si mettano le foto su facebook, ché non sai mai cosa succede, con facebook e tutti questi falsi Pierfrancesco Favino e una sola Wonder, e io ho tre bambine piccole e anche un marito, così per inciso, e a proposito, che ore sono? Oddìo, così tardi? Devo andare! Scusa, Pierfrancy, ho promesso che sarei tornata in tempo per aprire i regali e spegnere le candeline con la Gabbianella, sì sì, ovvio che le spegne da sola le candeline ma poi volevo fotografarla mentre scarta i regali, e le ho regalato un coniglio di peluche che le piaceva tanto e non vorrei perdermi la sua faccia quando lo scarta, e anche quando si spengono le luci e restano solo quattro candeline accese e lei ha questi occhietti rotondi che ridono e i capelli sciolti e biondi e quel sorriso felice, e la bocca sporca di torta al cioccolato e panna montata mentre canta lallallero lallallero, è un peccato morir, l'eternità è un battito di ciglia e balla le canzoni di peppa pig, e insomma, devo proprio andare.
Baci, eh.

martedì 28 gennaio 2014

Se la polvere potesse parlare

È già la seconda volta.
La seconda volta che un'amica mi regala un panno magico multiuso per le pulizie.
Voglio dire, due amiche diverse mi hanno regalato due panni diversi, tutti e due magici, tutti e due multiuso, tutti e due che agiscono senza detersivi, senza aloni, super pulenti super assorbenti extradelicati ideali per bagni cucine vetri specchi auto e tutte le superfici lavabili. Manca solo che facciano tutto da soli.
Si sono presentate, le due amiche, in una mattina grigia, anzi in due mattine diverse però grigie uguali, che lì per lì ho pensato Chissà se quel panno là va bene anche per le mattine. Si possono lavare le mattine? E il morale, lo spirito, l'umore sono superfici lavabili? Ci posso passare un panno magico, giusto così per togliere un sottile strato di malinconia, o finisce che li rovino e poi non s'aggiustano più?
Comunque.
Le amiche mi sventolano sotto il naso questo panno, uno azzurro cielo (si fa per dire), uno giallo canarino, e tessono il panegirico dell'uno e dell'altro.
Wonder, una meraviglia, provalo e vedrai, basta un po' di acqua calda e voilà, pulisci tutto. I vetri? Cinque minuti e hai finito. I fornelli? Splendono come argenteria. Lo specchio del bagno, sempre pieno di ditate schizzi e chiazze che certe mattine prendi spavento, pensando che sia la tua faccia e invece? Eccolollà, una passata col panno magico e la pelle lo specchio torna splendido.

Che uno pensa, non ci sarà mica un messaggio subliminale? Le mie amiche vogliono forse dirmi qualcosa?

Oddìo, sinceramente le pulizie non sono mai state la mia passione, non è mica un segreto.
L'altra sera a cena da amici ho notato un lampadario bellissimo, luminoso, con questi coni di vetro trasparente, e mi son detta Dov'è che l'ho già visto, quel lampadario là?
Facile, è in sala. Nella mia sala, intendo. Solo che il mio ormai ha i vetri opacizzati dalla polvere. 
Ce n'è così tanta, di polvere, che se potesse parlare racconterebbe storie per i prossimi tre anni. Provare per credere.

Ma la volete sapere la verità? Le riserve sulle mie inclinazioni alle attività domestiche non mi turbano più di tanto. Diciamo che ho altre doti, ecco. E poi ho anche una giustificazione per la polvere, la montagna di roba da stirare, la biancheria da lavare.

Mi sono concentrata su un altro fronte. Ci lavoro da un po'. Ho dovuto pulire, sgomberare, aspirare, lavare, dipingere, grattare, sfregare, respirare polvere e solventi, pitture e vernici nell'aria fredda dell'inverno.
Dietro i vetri satinati, sotto la montagna di depositi ventennali, tra libri polverosi e armadi vecchi, ho immaginato un posto tutto mio, e l'ho realizzato. Mica da sola, per fortuna: mi hanno aiutato in tanti, muniti di stracci e pennelli.
Ora siamo alla parte più divertente.
Curiosi?
Stay tuned! or ask the dust.

martedì 14 gennaio 2014

Soluzioni temporanee all'umore nero

Anno nuovo, umore nero.

E non è perché è passato un altro anno. Non c'entrano le rughe.
Non del tutto, almeno.
Non so cos'è. Anzi lo so e non lo voglio dire. 
Perdoneranno i miei... quanti sono? 120 lettori? (ammazza 120. Sono avantissimo. Messa molto meglio di quello là che ne aveva solo 25, per dire). 
Ma transeat.

Non faccio propositi. Ennò. Stavolta non voglio trovarmi alla fine dell'anno con una montagna di promesse non mantenute, di sensi di colpa per quello che avrei potuto fare e non ho fatto, di rimpianti per quello che avrebbe potuto essere e non è stato.

È che ho freddo, mannaggia. E alle volte non basta mettersi a correre in una giornata di sole per scaldarsi.
Ma corro, eh, col fiume che corre con me, silenzioso, a sentire il mio respiro nella testa e il dolore nelle gambe, a respirare la nebbia, a pensare.

Aggiungo coperte, ché quando hai freddo è bello sentire il peso del calore addosso. Solo che non ci puoi mica restare in eterno, sotto le coperte; e quando ti alzi, con quella sottoveste scollata comprata per Natale, i brividi li senti giù per la schiena fino alle punte dei piedi, anche se ci hai messo i calzettoni coi fiori.

Intreccio fili di lana e ci faccio collane, ché ho l'impressione che l'inverno durerà ancora un po'.

Accendo stufette elettriche, ma poi saltano le valvole.

Rabbrividisco.
Com'è che fa quella canzone?
People like us we don't need that much, just someone that starts the spark in our bonfire hearts.
Ecco, sarà colpa del fuoco dentro.

Allora butto legna nel camino (bello, eh, il fuoco del camino, in quelle sere piovose d'inverno che non hai proprio voglia di uscire. Ci puoi fare anche due bistecche, un paio di salsicce e tre fette di polenta, volendo. Poi chiami gli amici così magari a stare insieme ci si scalda di più).

Però c'è una cosa, per essere onesti, che è servita a togliere quella sensazione di frigido che non mi lasciava un attimo: ho chiamato il tecnico della caldaia.
Con centossessanta euro sottratti ai saldi, sono tornata a camminare scalza.