martedì 31 luglio 2012

Rewind (amici da una vita #3)

Dopo quella settimana là, l'amico Al non lo vedi più. Ha sposato la ragazza bella e simpatica e superintelligente che sa cinque lingue, e adesso lavora in Francia, e hanno avuto una bambina e poi un bambino.
Anche tu, poi, hai sposato quel fidanzato là, perché dopo che sei stata a Parigi e hai raccolto con una scopetta tutti i cocci e li hai messi insieme, anche se ci manca ancora qualche pezzetto, dopo che hai deciso che anche così funziona, che si vedono tutte le crepe ma almeno ha ritrovato la forma, dopo che hai capito che ce la puoi fare anche da sola, dopo esserti ripresa al ritmo delle feste estive e dei cinema all'aperto e degli occhi languidi di qualche spasimante, lui è tornato. E tu ti sei resa conto che era l'unico che poteva aggiustarti del tutto. E avete avuto una bambina e poi un'altra e un'altra ancora.

E un giorno capita che sei in vacanza in Italia, dopo quasi un anno che abiti a Shanghai, e vai al parco giochi di via Santini, quello un po' lontano che tanto ci andiamo con il monopattino e ci sono gli alberi e si sta bene al fresco, e vedi Al, con la sua bambina dalle bionde trecce e con la erre francese, e lei è uguale a lui, e lui è uguale a com'era, e ricominciate a parlare come se fossero passati quindici giorni da quando vi siete visti l'ultima volta, e invece saranno quindici anni.
E la sua bambina che è uguale a lui, con lo stesso sorriso e gli stessi occhi furbi, ha l'età della tua e ci va d'accordo, e giocano insieme e si arrampicano e fanno le capriole e le acrobazie sul prato, e Al comincia a farle volteggiare, a insegnare come si fa a stare con la testa in giù e le gambe in su e a fare la candela e le posizioni yoga e altri giochi, e anche tu ci provi, a fare la candela, e forse ti riesce, e allora lo fate tutti insieme, e ti accorgi che la BB comincia a entrare in confidenza con Al, a salirgli in braccio, a stare in equilibrio sulle sue spalle, e pensi che alla BB manca il suo papà, tantissimo.
E poi pensi a come sono amici i tuoi genitori e i genitori di Al, e a come sia strano a volte che la vita si ripeta, e figurati se avrei mai creduto che ci saremmo rincontrati da adulti e con i figli, e un po' ti senti invecchiare e un po' no, perché se Al ha la stessa faccia di quando aveva venticinque anni tu di sicuro non puoi essere cambiata tanto.
Anche se quella posizione di yoga con la testa fra le ginocchia ti ha fatto scrocchiare tutte le ossa della colonna vertebrale.

lunedì 30 luglio 2012

Sliding doors (amici da una vita #2)

Tre mesi prima di partire per Shanghai ricevo una telefonata.
È una telefonata inaspettata, di quelle che guardi il numero e non lo riconosci, e rispondi pensando Adesso chi è che rompe le balle, e vai sul poggiolo perché non vuoi che chi ti chiama inorridisca alle grida delle tre pargole che giocano a rincorrersi, e poi quando senti chi è ti si apre il sorriso, che quasi non ci credi, perché non la vedi da una vita, anche se sai che si è sposata, ma è così tanto che non la senti che sembra impossibile che sia lì a parlare con te, da un telefono che non ha neanche il filo, e pensi che l'ultima volta che vi siete viste probabilmente i telefoni il filo ce l'avevano ancora, e invece adesso sei sul poggiolo con il cellulare all'orecchio mentre lei ti dice che ha avuto una bambina che, fatalità, ha un anno meno della tua.
(Riflettendoci, quando hai tre figlie è probabile che i figli dei tuoi amici abbiano la stessa età, un anno di più o un anno di meno di almeno una delle tue).
E lei si chiama come te, che quando siete nate andava tanto di moda quel nome lì e le vostre mamme erano amiche e vi han dato lo stesso nome, e allora era un po' un casino perché quando chiamavano una rispondeva l'altra, però era anche divertente perché con lei ogni cosa era un pretesto per ridere.

E poi decidete di vedervi, e la inviti al compleanno del Gatto Selvaggio con la sua bambina, e lei viene e ti sembra che sia sempre uguale, che ogni volta che parla cominci a ridere e non smetti più, e sa giocare con i bambini senza stancarsi, mica come me che dopo un po' mi stufo, e lei poi ci invita nella sua casa nuova di Arbizzano, e suo marito è architetto come lei, ha due occhi azzurri che sembrano di ghiaccio, i capelli arruffati e le sopracciglia folte e tu pensi che abbia un'aria un po' mefistofelica, ma poi sorride e prepara un aperitivo di quelli giusti, e loro mica lo sanno che io adoro l'aperitivo ma lo scoprono quella sera, e allora lui ne prepara un altro e tra l'aperitivo e le chiacchiere alla fine sono un po' brilla, che è meglio che non guidi la macchina e perdo lo spettacolo a teatro, ma che bella serata che abbiamo passato.
Che l'ArchitettoMefistofelico sa cucinare benissimo e prepara un piatto esotico con l'ananas e la carne, mentre le bambine saltano sul divano o colorano sul pavimento, e insomma fanno casino ma loro non se ne curano, e tu al loro posto saresti già alla terza urlata, ma invece sei lì brilla che ridi e fai progetti per le vacanze.

E ti viene da pensare che a volte ci sono degli scherzi della vita, che succede che abiti vicino per degli anni e non ti vedi mai neanche per sbaglio, per la strada, al ristorante, che magari è come in Sliding doors che ti sfiori e non ti incroci per un attimo, e poi capita qualcosa, gli atomi delle vostre vite si toccano e vi ritrovate all'improvviso, e però succede anche che proprio in quel momento lì hai deciso di voltare pagina e vai lontano, così lontano che cambia come il giorno e la notte.
Ironie della vita.
E poi arriva il momento di partire, e lei e suo marito l'ArchitettoMefistofelico ci regalano 92 cartoni animati da guardare quando siamo là, e li mettono tutti in un hard disk, perché quando sei in un paese straniero è meglio avere almeno dei cartoni da guardare, e noi quando siamo là li guardiamo e pensiamo a loro.

E adesso è passato un anno, e io sono ancora un po' stranita da questo ritrovamento, e un po' non mi sembra vero che eravamo piccole insieme, che siano passati tutti questi anni, e un po' mi sembra che ci conosciamo da sempre.
E poi la settimana scorsa lei mi fa una proposta. Un miraggio. Una boccata d'aria così fresca che devo mettermi la felpa di pile.

(continua)

giovedì 26 luglio 2012

Quando si può scegliere (amici da una vita #1)

Ci sono degli amici che non te li scegli tu. Ti arrivano addosso, non li puoi evitare.
Tipo che tu hai tre anni, e ti ritrovi a giocare con i figli degli amici dei tuoi, e magari anche a farci le vacanze insieme, perché i grandi quando hanno i figli piccoli uguali e vanno d'accordo fanno anche le vacanze insieme, e tu, piccoletto di tre, quattro, cinque anni, mica puoi sceglierli, i figli degli amici dei tuoi, ma poi capita che i tuoi gli amici se li tengono stretti, pochi ma buoni, sempre gli stessi, e allora con i figli degli amici dei tuoi ci diventi grande. Adolescente, tipo.

Allora magari c'è quella volta che ti toccano le due figlie stragnocche magre bionde con gli occhi azzurri che sanno nuotare da dio, e tu ti senti goffa con quella pancetta e il costume sempre tra le chiappe e a malapena sai stare a galla, e le tue sorelle pure anche se non te lo dicono.
Oppure i tre figli maschi casinisti e antipatici, che sanno sciare benissimo e tu invece sei ancora allo spazzaneve, e un po' li invidi un po' vorresti spaccargli la racchetta in testa, ché sono prepotenti e arroganti. E le tue sorelle te lo dicono, e insieme boicottate le vacanze con quei fratellini là, e qualche volta ci riuscite.
Che magari adesso da grandi chissà che simpatici.
Oppure ci sono un fratello e una sorella che ridono di gusto e parlano in veneziano come la loro mamma, e tu con quelli lì ci stai bene, perché non sono altissimi biondissimi bellissimi bravissimi a fare tutto, sono normali, come te.
E succede che gli amici dei tuoi restano sempre amici amici, però poi quando cresci davvero cominci ad avere degli amici tuoi, e dei figli degli amici dei tuoi non ti importa più una mazza. Cioè, quando li vedi sei contenta, quei fratello-sorella là (gli altri no, li cancelli proprio, e di qualcuno non ricordi nemmeno il nome), però non è che ci vai in cerca.

Poi succede che un giorno il tuo fidanzato ti molla, e tu sei disperata e sola e hai bisogno di qualcosa che ti dia una botta di vita, e allora gli amici dei tuoi ti dicono Vai dall'amico Al, a Parigi, che ti passi via.
E tu vai, anche se non sai una parola di francese, con la tua valigia pesante come il piombo, ti arrampichi per quelle scale strette e buie, e l'amico Al ti ospita nel suo appartamento da studente di tre metri per due, che quando apri il divano letto non apri più la porta, che quando apri la porta devi spostare lo stendino che fa da armadio, che per aprire la porta del bagno devi entrare nella doccia, che quando chiudi le porte della doccia non hai lo spazio per sederti sul water, ma lui ti ospita lo stesso, tranquillo come se fosse in una reggia con dieci stanze, perché lui è così, di poche parole, e prende le cose con filosofia. E ti fa dormire nel suo letto, ti lascia libera di andare dove vuoi, ti tornare quando vuoi, e quando vuoi ti porta alle feste dei suoi amici, e a mangiare un kebab, il tuo primo kebab, il più buono della tua vita, e ha una fidanzata simpatica e bella e superintelligente che sa cinque lingue.
E tu te la ricordi, quella settimana là, a distanza di tanti anni, perché vagavi da sola per Parigi, che quando sei felice è la città più romantica del mondo e quando sei triste è sempre la città più romantica del mondo, e questo non semplifica le cose, a te che hai il cuore in frantumi, e c'era un freddo cane a maggio, a Parigi, e però c'erano anche i musicisti di strada, e i giardini delle Tuileries, e le vetrine sbarluccicanti di Place Vendôme, e il Louvre e il Marais e Notre Dame e il suonatore di organetto e la gente con la baguette sotto l'ascella e i bar dell'Opéra. Un caffè schifoso, ma un'ottima créme brulé.

(continua)

mercoledì 25 luglio 2012

Centopeccento (la mia prima volta)

- Guarda Cosci! Un premio! Ho vinto un premio!
- Maddài? E per cosa?
- Per il mio blog! Sai quello spazio là, quello su internet, dove scrivo ogni tanto...
- Eh, Wonder, certo che lo so, me l'ha detto qualcuno... non mi ricordo chi. Ma che è 'sto blog, poi...
- Massì, quella cosa che ho cominciato così, quando son venuta in Cina, per far sapere a tutto il parentado che stavo bene, per dire quello che facevo, cosa succedeva di bello, di brutto, di così così.
- E non potevi telefonare, che con skype non paghi niente? Vedi pure le facce, no?
- Certo che telefono, ma a parte che qualche volta la mia faccia è meglio che non si veda, poi ci sono le bambine, parlano loro, oppure sto preparando la cena è sempre un momentaccio e raccontare tutto è un casino, il fuso, gli orari, e poi sai, scrivere aiuta, è terapeutico, è come fare autoanalisi.
- E tu hai vinto un premio per quella cosa lì.
- Beh, sì. Si vede che a qualcuno piaccio. Non per fare la modesta, ma ci sono persone che mi leggono dall'America, dalla Federazione Russa, ci crederesti?, dall'Africa, anche dall'Italia, certo, dalla Francia, dalla Germania, dall'Ucraina! Adesso se vuoi ti posso fare la lista completa, ma fidati, da tutto il mondo, eh.
- Son tutti amici tuoi?
- No, non direi, non proprio amici. Cioè, molti non ho idea di chi siano, in effetti. Me lo chiedo, anzi, chi mi può leggere dalla Repubblica Ceca, per esempio.
- Vuoi dire che c'è gente che ti legge che non sa chi sei? Adesso capisco! Si spiegano molte cose.
- Senti Cosci, inutile che cerchi di smontarmi. Va' che roba, centopeccento affidabile
- Ma sei sicura che l'han dato a te, Wonder?
- Dai Cosci, guarda, è stata CoffeeGirl, quella là simpatica che ridi sempre pure tu, a leggerla, c'è scritto qui...
- Mah, mi pare strano. Tu non hai mai vinto niente.
- Mica vero, Cosci, ti ricordi male. Una volta a sette anni ho vinto alla pesca di beneficenza della parrocchia, un piattino di quelli per il tè con sei cucchiaini d'argento, da caffè. Ce li ho ancora tutti. Anzi no, mi sa che ne ho perso uno.
- S'erano sbagliati, quelli della parrocchia.
- Mi sa di sì. Ma mica l'ho scelto io, il premio. Ci son rimasta anche male che m'han dato quello invece dell'orso di peluches. E poi ho vinto anche un'altra volta...
- Sì, quella me la ricordo. Hai mangiato cuneesi al rum per due giorni, che ogni volta ne aprivi uno e vincevi un altro cioccolatino. E ogni volta salivi in macchina, aprivi il cioccolatino e tornavi al bar a prenderne un altro.
- Ti pare poco? Mai sottovalutare il potere della cioccolata.
- Vabbè, adesso cosa farai, di questo premio?
- Mmmh, intanto lo metto qui, nel blog, che lo vedono tutti, se ci riesco, e poi lo potrei dare... vediamo...
- Ci stai anche a pensare?
- Era per creare un po' di suspance!
- Dai, l'hai creata. Allora?
- Allora lo do a Morelle.
- Ma scherzi? Quella di Tornasole? Va' che non le interessa mica, un premio.
- Sì, vabbè, non fa niente, a me piace e glielo dico. Toh.
- E poi?
- Poi Stefano, di pensieri strani..eri, che eravamo così vicini e non ci siamo neanche visti, peccato.
- E...?
- E a Flavia, di The brain that drained, mi sta un sacco simpatica
- Non ti dimentichi qualcuno?
- Mannò, un attimo, che mica è una graduatoria, vado a caso. Lo so, c'è anche Raffaella, di Destinazione estero, che vive a Instanbul, pensa te. E poi MimìMetallurgica, è acuta, quella donna lì, e poi scrive in treno, e l'idea mi piace. E poi...
- E poi basta, Wonder. Hai letto il regolamento no? Solo a 5 lo puoi dare.
- Ah. Solo a 5. Ne avevo degli altri, che mi piacciono.
- Dovranno aspettare che ti diano un altro premio...
- Vabbè, ragazzi, la prossima volta, eh?
- Ma che fai? Li chiami e poi li lasci lì? Digli la verità, che altrimenti stan fermi sotto il sole che sembrano i veronesi alla fermata del bus. Diglielo, che non arriva, un altro premio.
- Zitta, Cosci. Fai finta di niente. Muovi le mani così e ripeti con me... Tu non hai visto niente... Tu non hai visto niente...

domenica 22 luglio 2012

Riflessione glottopipponica* a margine di un aperitivo

- Cosa bevi?
- Non so, direi un aperitivo.
- Per me analcolico
- Macché analcolico, dai, sbilànciati
- Io lo voglio un po' alcolico
- Il solito spritz?
- Io casomai con l'aperol
- Butèi, mi ve fo l'Ugo, 'sa disìo?
- E cos'è l'Ugo?
- L'è novo. Se ve piase, paghè, se no ve piase, pago mì.

Ugo è nuovo, allegro quanto basta, fresco e va giù ch'è un piacere. Provare per credere.
Ugo è la nuova moda dell'aperitivo.
Si fa con ghiaccio, due fettine di limone, una foglia di menta, sciroppo di sambuco, acqua frizzante e per ultimo un po' di prosecco. Non si mescola, perché il prosecco resta in superficie e quando lo bevi gli ingredienti si uniscono piano, quasi nella bocca.

Adoro l'aperitivo. Mi piace sentire il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere, mi piace quella sensazione di leggerezza che mi prende subito nella testa, mi piace sgranocchiare patatine e tarallucci mentre col bicchiere in mano guardo nascosta dietro gli occhiali neri gli esemplari di varia umanità che sfilano sulla piazza, e mi piace avere l'occasione per oziare, per non fare niente, per stare lì, a godere della luce che quasi fa male agli occhi, del blu incredibile del cielo d'Italia, dei palazzi rinascimentali, dei passerotti che zampettano sulle sedie muovendo la testolina a scatti. Mi piace anche mangiare la fetta d'arancia intrisa di succo, prendendola tra l'indice e il medio da fondo del bicchiere, e sentire tra i denti la buccia morbida.

Dell'aperitivo mi piace la compagnia. Svagata, allegra, con la battuta pronta e la risata sulle labbra. 

Ma la cosa che mi è piaciuta di più, di Ugo, è il nome.
Perché quel nome lì, secondo me, ha una bella origine (o almeno così mi piace pensare).
Viene da Saùgo, che in dialetto veneto è il sambuco. E il sambuco, dentro, è vuoto, come le cannucce. Perciò Saùgo è un termine che si usa per indicare un tipo un po' tonto, mica proprio intelligente, di quelli buoni che però si fan fregare sempre e ridono per niente. 
Ma è quello l'effetto che fa Ugo, ti lascia un po' con la testa vuota, e con la voglia di ridere.
E quindi Ugo, diminutivo di saùgo, voce gergale di sambuco, ingrediente base, a me è piaciuto un casino.


* Questo post è dedicato a Morelle, amica di web, da cui prendo in prestito la felice invenzione della glottopipponica

venerdì 20 luglio 2012

Servito, grazie (in peggio precipitano i tempi)

Io guido la macchina degli altri.
Voglio dire, ho la patente, da un considerevole numero di anni, sia per la macchina che per la moto (per il camion no anche se qualcuno mi aveva suggerito di farla che non si sa mai), ma di fatto una macchina mia non l'ho mai avuta, e la moto l'ho venduta (lasciamo perdere).
Dunque so guidare, ma mi trovo nella condizione privilegiata di essere quasi sempre dalla parte del passeggero.
Ora, lo status di passeggero ti mette nelle condizioni di godere di alcune prerogative, tipo guardare il panorama, trafficare con i trucchi (lo specchietto della macchina è perfetto per il trucco, sebbene talora risulti impietoso), togliersi le scarpe, mettere la testa fuori dal finestrino e chiudere gli occhi per sentire il vento in faccia, rovistare nel cassetto alla ricerca del cd giusto (di tuo gusto), dormire, fotografare dal finestrino come i cinesi e aspettare muovendo la testa a ritmo di musica che il guidatore abbia finito di fare rifornimento. 

Che poi a me piace guidare. Cioè, mi piace il gesto della guida. Il contorno un po' meno.

Tipo quando c'è uno lì davanti che ti fa perdere il verde. Tu gli stai attaccato... vaivaivaidaivai... noooo! Cosa freni? Rosso.
Tipo che poi chissà perché mi metto sempre nella fila più lenta. Non sai il nervoso.
Poi ecco, non vado matta neanche per l'aspetto prenditi cura della tua auto. Cosa vuol dire? A parte che è un tipico lavoro da uomini (sono per la separazione dei ruoli), ci sono loro, i benzinai, i garagisti, lì apposta, se proprio hai il marito in Cina. Io ti do dei soldi, e la macchina ha sempre il pieno, le gomme gonfie, il vetro pulito e l'acqua nello spruzzino del tergicristallo, i fari a posto e possibilmente anche un navigatore con la voce di Luca Ward che posso spegnere quando spara cazzate.

Però almeno la benzina ce la devi mettere.
E io a mettere la benzina mi stufo proprio.
Allora succede che quelle due volte all'anno che prendo la macchina di qualcuno, e la macchina resta senza benzina, vado dal benzinaio, quello dove c'è scritto Servito, e gli dico Mi faccia venti euro. Venti euro è una cifretta, no? Che uno magari si aspetta anche una pulitina al vetro, lì dove c'è quella cagazzata di uccello, ma ormai in tempi di crisi meglio non chiederlo neanche, o rischi che ci sputazzino sopra e puliscano con il gomito.
Comunque.

Oggi porto le bambine dai nonni. La macchina me la presta la ZiaSandra
- Tieni le chiavi, e anche venti euro. Fossi in te farei benzina, non so se ci arrivi, fino al porto.
Dai Wonder, c'è un benzinaio proprio qui, che ci vuole? È la pompa di due ragazzi simpatici, ci andavi sempre a fare il pieno del motorino quando restavi a secco e ti toccava spingerlo perché era rotta la spia della riserva, e anche a gonfiare le gomme della bici, ormai ti conoscono. Eccoci qui. Va' che è tutto cambiato, han fatto un negozio nuovo. Bambine state buone un attimo che facciamo benzina, lì no che c'è il self service. Fai da te, ma figurati, io lo odio il fai da te, l'è più il dar che l'aver, con quello che risparmio.
Mi metto lì e spengo il motore. Abbasso il finestrino. Ci sono i due ragazzi e anche un uomo che trafficano nella zona autorimessa. Uno mi vede. Eccolo che arriva. Ah, no, va di là. Mo' viene qualcuno o no? Intanto prendo il portafoglio. Faccio i venti, anzi guarda, Sandra, ti ci aggiungo anche dieci euro di rimborso spese, così cambio i cinquanta.
Arriva qualcuno? Ohooo! Iuuuuuhuuuu! Ma possibile? Ma sarò mica nella zona fai da te? Fammi vedere... Iper self? Non bastava il self service? Caxxo è Iper self? Devi andare in Quwait a trivellare?
Pagare alla colonna prima di fare rifornimento. Ossignur benedett. Spetta che scendo. Qui uno sta via un annetto e gli cambiano tutto sotto il naso. Dov'è 'sta colonna? Sarà mica che la devo cercare come quando parcheggi in centro, che c'è il parcometro così lontano che era meglio se ci venivi a piedi, in centro. Eccola là. Ocio che con questo caldo mi si sciolgono le bambine, poi mi si accusa di abbandono di minore, prima che torno dalla colonna. Ecco devo mettere i soldi giusti. Sandra, ti sei persa il rimborso spese. Qual è la pompa? Sarà questa, sì? Che palle. Mi si impuzzano le mani. Ci arriva, quel coso? Sì, meno male, almeno quello.
Andiamo va', allontaniamoci da questa bolgia autonomista.
Non ci sono più i benzinai di una volta.

mercoledì 18 luglio 2012

Tentazioni shabby chic

Bello essere qui, proprio nei giorni dei saldi.
Che giusto l'altro giorno sfogliavo questa rivista di moda, piena di modelle con vestiti improbabili e spesso importabili, e mi dicevo che insomma, certe volte la moda la devi proprio interpretare, non è che la capisci subito subito. Ti ci devi mettere con impegno, a studiare certe mise, a identificare nel marasma di proposte qualche capetto che puoi riuscire a metterti anche tu povera mortale squattrinata.
Perché diciamocelo, ci son giorni che anche Kate Moss si veste così male che con quegli straccetti addosso non andrei neanche a buttare la monnezza.
Shabby Chic, si chiama. Non san più cosa inventarsi, proprio, per giustificare certe apparizioni da dimenticare.
Però siamo in Italia, suvvia, la patria della moda, degli stilisti, tutti ci invidiano il gusto che c'abbiamo solo noi.

E allora nell'entusiasmo da rebat, sales, rebajas, svendite di fine stagione, ci lasciamo influenzare dai consigli della commessa, che perfino lei sembra così esperta di come si porta quel top lì. Bello, il top, un po' lungo, di un delicato color cipria che con l'abbronzatura sta benissimo.
Che io pensavo di metterlo con dei pantaloni neri stretti e un sandalo col tacco, e invece lei mi guarda e mi dice che quella maglia là si porta sul jeans delavé, tagliato al ginocchio e arrotolato, magari quello del tuo fidanzato, che sta largo, con un bel cinturone di cuoio e dei sandali bassi.
Ah, penso. Nuovo, questo look, intrigante. E la maglia mi sta bene.
Mica me li compro, i jeans delavé del fidanzato. Li rubo al Bighi, che tanto i jeans rotti non li mette più. La cintura ce l'ho. Magari non è proprio il cinturone di cuoio che mi sono immaginata quando la commessa mi ha descritto il tutto, ma mi piace.
E guarda te, ho pure le infradito carine, son dello stesso colore della maglia, va' che caso.
Bene, allora la compro.

Esco tutta contenta, e mi immagino già a tagliare i jeans del Bighi e a provare questo look da modeeella, col jeans che cade un po' sui fianchi e il cinturone e il top cipria, che son sicura che la commessa non se l'è mica inventato lì per lì, l'avrà visto su una di quelle riviste che chissà perché a Shanghai non compro. Forse sarà che sono in cinese? Beh, ma le modelle mica parlano, e non ho mai letto un articolo a corredo delle foto da sfilata.
Comunque.
Trovo i jeans del fidanzato, li taglio, va' che bene che son venuti.
Me li metto, dai, vediamo che effetto fa.

Allora, caro Bighi, qui i casi sono due.
O ti metti a fare una dieta ingrassante, che non sta per niente bene che abbiamo la stessa taglia, o mi tocca comprarmi i jeans del fidanzato.
Che questi, di star larghi come dovrebbero, non ci pensan neanche.

O magari rinuncio allo shabby chic, metto la maglia cipria con i pantaloni stretti (ah, no, scusate, si dice skinny) e i saldali col tacco, e mi dimentico questa cosa del jeans delavé largo del fidanzato. 
Anche se per certe cose la mia memoria è indelebile.

lunedì 16 luglio 2012

Punti di vista

Capita che una mattina ti svegli.
Ricomincio.
Capita che una mattina una bambina ti sveglia, e tu un po' intronata di sonno ti alzi, vai in cucina per preparare la colazione e guardi fuori dalla finestra aperta, che adesso con il caldo lascio alcune finestre spalancate, che sto all'ultimo piano e passa un po' d'aria e non ho paura che entri qualcuno, e dalla finestra aperta vedo sul tetto della casa di fronte tre operai che mettono le tegole nuove, e sono in pantaloncini e petto nudo, e uno ha la schiena tatuata, un altro i capelli lunghi legati a coda di cavallo, uno è tutto pelato, e allora mi incuriosisco e resto a guardarli, un po'. E poi si girano, e sono tre operai con la pancia. Tutti e tre. Ma una pancia grossa, non le maniglie dell'ammoore.
Che uno pensa che gli operai abbiano un bel fisico tonico, abbronzato, che poi per muoversi sui tetti devi essere anche agile, scattante, secondo me. E mi viene in mente quella pubblicità della cocacola, che c'era un ragazzo che si beveva una lattina e tutte lo guardavano dalla finestra, e penso che insomma, sì, magari non proprio come quello, però nemmeno come Homer Simpson.
E resto un po' incantata, lì alla finestra, con la mia sottoveste rovescia (un giorno è dritta, l'altro è rovescia, perché quando me la tolgo poi non la raddrizzo, e quando me la metto, alla sera, resta così, con le cuciture di fuori).

Poi lo dico a mia sorella, quella cosa lì degli operai, un po' ridendo di questa sfiga che con tutti gli operai fighi che ci sono proprio quelli ciccioni ci dovevano capitare, sul tetto di fronte a cinquanta metri, che abitiamo sullo stesso pianerottolo e abbiamo lo stesso spettacolo davanti, e penso a quella solidarietà tutta femminile che fa ridere delle cose più sceme e fa sentire sorelle anche quando si è amiche e amiche quando si è sorelle, e unisce e mette allegria, e ti fa sentire sopra il mondo, superiore a tutte le miserie, a tutte le difficoltà, per un attimo, anche piccolo, un istante, ti stacca dalla terra, da quello che c'è intorno, e in quel momento non ti importa più di niente, senti solo quell'affinità che vi lega e stai bene, e ridi.

E lei mi guarda, con l'occhio un po' storto e un sorriso appena accennato e mi fa
- Pensa a loro, poveretti, che si aspettavano una bella gnocca e invece vedono te, dentro alla finestra.
Come sa essere stronza tranchant, la ZiaSandra, nessuno.

venerdì 13 luglio 2012

Tragedie minime

La campagna, nella sua qualificazione bucolica, è assai rilassante.
Non prevede infatti vacche da mungere, capre o conigli o galline razzolanti né altri animali da fattoria, bensì piante ombrose, prati, uccellini, al più qualche zanzara, aria fresca, fiori no che non è stagione ma magari qualche prugna o qualche mela selvatica aspra e verde anche quando non è più acerba, fichi precoci, pranzo sotto il tiglio con pasta tonno e ricotta, sdraio, libro, spruzzi d'acqua, bambine che si rincorrono felici, piscinetta, rumore del vento, qualche strillo ogni tanto sedato da provvidenziale coca cola e pomodorini saporiti.

Questo è il trailer della giornata a Sant'Ambros, trasmesso nella mente della Wonder più o meno alle dieci della mattina. (Nel film non sono contemplati incidenti domestici, tagli, botte, ferimenti più o meno gravi né conseguenti svenimenti della Wonder, anche perché non sono previsti ospiti da importunare con tali facezie).

La realtà risponde in maniera quasi uguale alla fantasia, se si escludono alcuni piccoli dettagli. E d'altra parte bisogna riconoscere che la Wonder è anche un po' recidiva, data la frequenza con cui si manifestano tali piccoli dettagli nelle giornate in campagna.

I prati son secchi incendiati, pungono come un campo di grano appena mietuto, gli uccellini tacciono e in compenso le cicale rumoreggiano, l'aria è un fiato caldo tranne quando porta la nuvola, che allora dà un po' di tregua, le prugne sono secche, i fichi non li trovo, mentre mangiamo ci cadono nei piatti e nei bicchieri i fiori del tiglio, ho dimenticato l'acqua, leggo pagina 54 con una bambina che mi si arrampica sulla pancia, una che gioca con mio cellulare e una che chiama dall'altalena, dondolo con alternanza militare le due altalene e l'amaca, rifiuto con una vaga sensazione di reclusione un invito per un aperitivo, mi prodigo nel vano tentativo di far dormire la Gabbianella mentre le altre due si cibano di prugne rinsecchite, leggo di nuovo pagina 54 con l'ansia di sentire il rumore sordo dell'altalena sulla testa di una delle tre cucciole, mi rilasso e arrivo a pagina 56, guardo con una certa irritazione una macchina avanzare poi realizzo che si tratta dei nonni e torno a rilassarmi, consolo la Gabbianella disperata per l'abbandono repentino della NonnaMimmi e mi domando se le apparizioni della Madonna di Medjugorje siano state ugualmente brevi e abbiano lasciato i veggenti nella stessa disperazione, sfodero l'arma segreta della merenda sotto forma di pangoccioli e cucco di frutta, aggiungo dei pomodorini avanzati e mi accingo a godere finalmente delle ore rimaste.
Ed è allora che si compie la tragedia.

- Mamma, oè mio ciuciu?
- Il tuo ciuccio? Non lo so, dov'è. Dove l'hai messo?
Già mi cresce un po' di ansia.
- No ho, oè ciuciu mio?
- Come non lo sai? Ce l'avevi in bocca un attimo fa. Gatto! BB! Avete visto il ciuccio della Gabbianella, quello col cordino giallo?
Sguinzaglio le due a cercare in casa, le motivo tipo caccia al tesoro, la BB canta Vieni fuori ciuccio, ti troverò, dove sarai, ciuccio, ti troverò, il Gatto ripete sconsolata Non c'è traccia del ciuccio, non so dove sia il ciuccio e nell'angoscia dello smarrimento la Wonder ha appena il tempo di registrare il congiuntivo, mentre ripassa a mente il Si quaeris e maledice la sua memoria corta che le impedisce di andare oltre il Miracula, mors, error, calamitas e il membra resque perditas, e per forza che non si trova, mica è colpa del Si quaeris, mannaggia a me che non l'ho mai imparato come si deve. Me lo devo registrare sul telefono, melodevo.

A nulla vale il cordino nuovo attaccato al ciuccio di riserva. La Gabbianella mi guarda con aria smarrita e gli occhi pieni di lacrime.
- Cheto no è ciuciu mio. No oio cheto ciuciu. Io no nanna. Oè mio ciuciu? Cheto no è ciuciu mio...

Sarà una lunga notte.

martedì 10 luglio 2012

Terapia d'urto per crisi d'astinenza

È partito ieri.
Dopo due settimane di vacanza totalmente immerso nella famiglia e letteralmente sommerso dalle sue donne, felice di averle addosso di giorno e di notte, nel mare e nel vento, nella sabbia e nel sole, dopo averle viziate con gelati e braccialetti e vestiti e anelli e averle riempite della sua presenza, il Bighi, occhi blu e pelle abbronzata, le ha riportate a casa, addormentate in macchina, guidando nella notte chiara di luna e di stelle.
Le ha coccolate ancora un po', per riempirsi del loro profumo, dei loro capelli, dei loro occhi chiari, e poi è partito, salutando con la mano fino a sparire sulla strada assolata.

E loro sono rimaste qui, un po' stordite, un po' frastornate, risucchiate dalle novità di una casa da riscoprire, divise tra nonni e zii e cugini e amiche e colpite da una sensazione nuova, di assenza, di incompletezza.

La BB, primogenita riflessiva e malinconica, guarda assorta oltre la finestra.
- Sai cosa vorrei, mamma?
- Eh, sì che lo so, me lo chiedi da venti giorni. Vuoi il monopattino. Ti prometto che lo compriamo. Una promessa è una promessa.
- Sì, vorrei quello. Però intendevo dire che vorrei il papà.

Il Gatto, neo quinquenne giocosa e furba, chiama di notte e vuole che stia un po' distesa con lei, come fa il suo papà.
- Mamma, posso un kinder?
- Amore adesso no, è notte, devi dormire. E poi ti sei già lavata i denti.
- Dai, mamma! Perché mi manca il papà. Posso?

La Gabbianella mi corre incontro, con i boccoli biondi che dondolano a ogni passo, poi si ferma e mi guarda negli occhi.
- Oè papi?
- In Cina, tesoro, ti ricordi?
- No. Oè papi? Io nanna.

Ognuno affronta la crisi d'astinenza come può.

C'è chi sogna a occhi aperti, chi assume dosi elevate di cioccolato, chi nega l'evidenza e si rifugia nel sonno.
 
La Wonder fa lavatrici, lava i piatti, pensa a come organizzare attività di svago per riempire la giornata e compra scarpe.

Mi sono informata. La fase acuta potrebbe durare alcune settimane.
Devo fare spazio nella scarpiera.

domenica 8 luglio 2012

Di animali e bambini

- Facciamo il gioco degli animali?
- Non è che volete cambiare un po', ne facciamo un altro, eh? Son tre ore che si fa il gioco degli animali
- No, voglio fare questo
- Un puzzle? Un disegno? Le parole crociate?
- Dai, mamma, pensa un animale. Oppure io penso e tu indovini.
- Noooo, tocca a me pensare!
- Va bene, pensa il Gatto.
- Un attimo, eh...
- Mamma cappa pipì!
- Ecco, allora voi state qui a pensare e io porto la Gabbianella in bagno.
- Però poi torni
- Certo, certo

- Atelli itaia, ...itaia eetta...

- Allora, hai pensato?
- Sì.
- Quante zampe ha?
- Nessuna.

- ...eemmo iipo eita eetta...

- Un serpente!
- No.
- No? Come no? Che altri animali ci sono senza zampe?

- Popon, popon, popopon...

- Dove vive?
- Nel frigo.
- Ossignur, Cosci, avrai mica lasciato in frigo qualche animale intero pronto per la grigliata di stasera, no? Che mi si impressionano, le cucciole...
- Tranquilla, Wonder, il frigo è vuoto. Ci va il Bighi dopo, a prendere la carne. Cos'ha visto nel frigo è un mistero

- Atelli itaia...

- Di che colore è?
- Un po' nero un po' marroncino.
- Ha il pelo, le squame o le piume?
- Niente.
- Niente, cioè ha la pelle?
- Non lo so.
- Cosa mangia?
- Mmmmh...
- Allora?
- Eh, non lo so
- Mi arrendo.

- Itaia amò, hì!

- La coca cola.
- Ma la cocacola non è un animale! Mamma! Non è valido! La coca cola non è un animale!

Ok, io vado a pulire la Gabbianella. Se ha finito l'inno d'Italia vuol dire che ha finito anche la cacca.

domenica 1 luglio 2012

Sconnessioni

Cammino su un sentiero accidentato. Il sole alle spalle, la pelle mi brucia di sale. Le ciabattine infradito sono leggere, sento i sassi sotto i piedi e sulle gambe la brezza che alza il pareo. La luce acceca, gli occhiali neri non bastano. Ci vorrebbe un cappello, uno di quei cappelli di paglia larghi, che coprono d'ombra un po' anche le spalle, come quello comprato qui due anni fa. Dimenticato.
Cos'altro ho dimenticato?
La minigonna. Ho fatto tutto in fretta, buttato in valigia quattro vestiti che non metterò, un costume nuovo preso in fretta e quasi senza guardarmi allo specchio, che i camerini sono impietosi e la pelle bianca non mi dona affatto, il pareo regalo del Ratto di Calcutta direttamente dalla Nuova Caledonia che mi trasporta su mari trasparenti e spiagge bianchissime di palme e conchiglie, la crema solare, quella che dovrebbe abbronzare in due giorni anche se stai all'ombra tutto il tempo, un libro tascabile della Sellerio, di quelli poco impegnativi ché tanto di leggere non avrò modo, i trucchi (precauzione inutile, ché tanto quando sono in vacanza non mi trucco mai, e anche le serate a cena fuori finisco per stare senza perché mi stufo a togliere il mascara, quando torno).
Il terreno è sconnesso. Le radici dei pini marittimi escono dalla terra secca, serpenti scuri senza testa. C'è profumo di rosmarino, di mare, di sabbia polverosa.
Certi sentieri ti portano lontano dalla civiltà, che resta isolata oltre il promontorio, nascosta dal folto della macchia mediterranea. Sento il rumore della risacca, il cinguettio insistito degli uccelli, il frinire lento di una cicala.
Caldo.

Se proprio devo stare sconnessa, meglio che sia qui.