venerdì 30 settembre 2011

Hot day

La linea 10 della metro, dopo l'incidente di martedì in cui sono rimaste ferite più di duecentottanta persone, ha riaperto oggi. Nel frattempo, la città è impazzita, è un enorme ingorgo di macchine in cui riescono a muoversi solo i pedoni, le biciclette e gli scooter, perché si insinuano negli spazi tra una macchina e un bus ma soprattutto perché di fatto circolano sui marciapiedi.

    L'incidente della metro ha alimentato le polemiche sulla sicurezza e scoperchiato con un breve anticipo il vaso della pazzia in cui la Cina ribolle per la festa del primo ottobre, sessantaduesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, una settimana di vacanza e di frenesia senza limiti.
    Questo io però ieri non lo sapevo.

    Non so dell'incidente quando, ferma davanti all'ingresso della metro, aspetto un treno che non arriva, né quando, masticando improperi contro il tassista che sta facendo un giro turistico della periferia, scendo nei pressi della prima fermata utile della metro dopo un'ora esatta, e nemmeno quando mi infilo a forza nella carrozza strapiena un po' perplessa circa la possibilità di guadagnare l'uscita entro le nove e un quarto dato che sono le nove e ventitrè.
    La notizia invece mi arriva mentre sto masticando un gamberetto al sesamo, pepe nero e peperoncino piccante insieme con l'Amica Francese e altre quattro filles, e mentre discutiamo del più e del meno alternando le lingue a caso attorno alla tavola in casa di Ami, anziana ma abile cuoca cinese, alla fine della lezione di cucina tenuta in lingua francese.
    Ami abita in un palazzo al terzo piano nella zona di Madang Lu, e tiene corsi di cucina shanghainese ogni giorno.
    In sala, una tv con un grande schermo, un divano, un disegno di Mao incorniciato, due quadri tradizionali e un computer, e una fila di ciabattine da infilare al posto delle scarpe. In cucina, pentole capienti annerite dall'uso, coltelli e spezie, e tutti gli ingredienti già puliti e preparati in ciotole decorate. Le ricette sembrano semplici, e Ami si muove con grazia, mostra la preparazione, le salse, le spezie, lascia fotografare, indica le quantità e risponde alle domande, e quando ha finito trasferisce i cibi nei piatti da portata e ci lascia da sole a preparare la tavola e a mangiare, mentre lei si siede in poltrona a guardare il telegiornale, comunicandoci ogni tanto aggiornamenti sull'incidente.

    Oltre ai gamberetti, comprati vivi al mercato la mattina stessa come le verdure e la carne, il menu prevede broccoletti con i funghi e ali di pollo caramellate, una delizia da leccarsi i baffi e pure le dita, e se leccarsi i baffi è un metafora, le dita invece te le devi leccare davvero, perché in Cina non usano i tovaglioli e sfido chiunque a mangiare ali di pollo con le bacchette.

    Per tornare a casa vado alla fermata della metro, nella tiepida speranza che la tratta verso ovest sia agibile, ma i poliziotti si addensano davanti a ogni ingresso e non lasciano passare. Cerco un taxi, ma non se ne ferma nessuno. Dopo dieci minuti di inutili sbracciamenti in mezzo alla strada accarezzo l'ipotesi di chiedere un passaggio a un ragazzo in motocicletta, ma l'approccio non riesce dato che non parla inglese. Comincio a preoccuparmi di non riuscire ad arrivare in tempo a prendere Gatto Selvaggio all'uscita dell'asilo, sviluppo una certa ansia che si manifesta con agitazione nervosa e sudorazione eccessiva, compilo nella mia mente l'elenco delle conseguenze nella giovane psiche della fanciulla e valuto le possibili alternative, prossime allo zero, per evitare l'elaborazione della sindrome da abbandono, quando finalmente un taxi si ferma. Il ragazzo deve aver fatto pratica a Indianapolis, perché arrivo alle tre esatte davanti all'ingresso della scuola.

    - Mamma, perché sei tutta sudata?
    - Eh, amore, c'è un bel caldo oggi, non trovi?

mercoledì 28 settembre 2011

Fantasie del Day After

Ho tre giorni di tempo.
    Alle dieci dovrebbe arrivare la nuova ayi.
    Arriva alle dieci e mezza, ma va bene, così nel frattempo è arrivata l'Amica Doris che può fare da interprete, e anche l'Amica Francese, che tiene la Gabbianella finché io e Doris parliamo con la nuova ayi.

    In effetti il motivo per cui Doris e l'Amica Francese sono qui è che impariamo a fare i dumplings, i ravioli cinesi. Ci insegna Doris. L'Amica Francese è stata coinvolta perché in questo progetto di scuola di cucina sinceramente io non me la sento proprio di fare la cuoca, e almeno così, con una persona che ama cucinare, ha fantasia ed è brava a preparare tutto potremmo riuscire meglio nell'impresa. Cosa ci sto a fare io? Beh, io sono l'unica italiana, do l'avallo. E poi potrei fare le foto. E poi ci sono altre idee.
    Ma intanto, visto che l'incontro, pianificato da qualche giorno, coincide con questo nuovo problema, ottimizzo i tempi.
   
    La signora mandata dal management avrà quarantacinque anni, piuttosto forzuta a vedersi, bruttina per la verità ma mica ci serve per forza bella. Comunque l'incontro dura poco: l'orario che chiedo non lo può fare. Pazienza.
    Avanti un'altra.
    Cinquantacinque anni, in pensione, con un sacco di tempo, l'orario le va bene, lo stipendio anche. Cosa deve fare? Tenere le bambine? Pulire la casa? Stirare? Lavare? Cucinare? No, non l'ha mai fatto. Come no, cosa fanno di solito le ayi? Però può provare, magari giovedì dalle nove a mezzogiorno? Sì, può provare. Affianca la Wang Che Hua così lei le può spiegare. Ok, a giovedì, zai jian.

    Cominciamo a lavare le verdure, tritare, mescolare con la carne macinata, poi a uno a uno facciamo i ravioli, piega così, in questo modo, oppure in quest'altro, wow, fantastico, vengono bene, va' che brave che siamo. Ok, quelli della Doris son più belli ma per noi è la prima volta, no?
    Come li vogliamo? Lessati? Al vapore? In padella? Al vapore no, non ho la pentola, facciamo metà lessati metà in padella. Il condimento? Son buoni così, oppure con la salsa di soia e un po' di olio di sesamo. Ce l'ho, wonderful.
    La Gabbianella apprezza, si fa fuori cinque ravioli.
    Buonissimi. Mentre mangiamo, fantastichiamo e facciamo progetti sulla nostra scuola di cucina, il brainstorming porta un sacco di idee, pensiamo ai problemi che potremmo avere, al possibile successo dell'iniziativa, al target, alla nuova versione di Scuola di Cultura e Cucina Italiana, ricette regionali con descrizione del contorno culturale, i vini, la tavola, dobbiamo pur fare qualcosa di diverso da tutte le scuole di cucina italiana che ci sono qui. L'Amica Francese e io ci perdiamo un po' nei dettagli, ma Doris ci riporta al punto, sempre, e ricominciamo con nuove proposte e nuove idee.
    Ci diamo appuntamento per venerdì, dobbiamo andare insieme a visitare un supermarket, controllare i prodotti disponibili, verificare i prezzi, fare un piano con un budget il più possibile definito.

    Mi sono avanzati pure dei ravioli per stasera, così la cena è pronta. Va' che quasi son contenta.

Quando torno da scuola, dopo una corsa con due zaini sulle spalle dietro a due bambine in bici, la Wang Che Hua mi dice qualcosa, bu lai, ta bu lai. Come bu lai? la nuova ayi bu lai, non viene.
Ah, non viene.
Fantastico, ha già cambiato idea.
La piega discreta che stava prendendo la giornata si è rovinata. Ogni volta che guardo la Wang Che Hua spero che non sia vero, che possa cambiare idea, che possa tornare. Ma è solo una fantasia, lo so.

martedì 27 settembre 2011

Top News

È arrivato. Il paventato biglietto della Wang Che Hua, ayi carina, delicata tuttofare, cuoca intelligente, affettuosa babysitter, silenziosa presenza. Il biglietto dove non compare né Oggi né Domani, e nemmeno altri caratteri comprensibili se si eccettuano Io, Mamma, Venire.
    Dong Ma? Capisci? No, non capisco. Però intuisco, purtroppo.
    Le ragazze che giocano a tennis qui di fronte cercano di aiutarmi ma non parlano inglese, il che rende tutto un po' complicato. Mimano qualcosa con la testa ripetendo Ma Ma. La mamma della ayi ha sbattuto la testa? Sta male? Dorme? Ah, no, forse non dorme, ho capito.
    Anche Bu Lai lo capisco, significa Non vengo. Mai più? Mai più.
    Ossignur.

    L'Amica Doris, personal interpreter, guida sicura per i labirintici percorsi della lingua cinese, arriva sulla sua bicicletta e mi conferma che la mamma ottantenne della ayi sta morendo, e le dispiace molto anche per le bambine ma deve andare a casa, stare con lei. E mentre lo dice le viene un po' da piangere.
    Anche a me dispiace, a noi. Cioè, anche alle bambine, di sicuro. Ma pensa che che potrà tornare?
    Non sa, deve andare dalla madre. E siccome non sa come andranno le cose, è meglio che mi cerchi un'altra ayi.
    Subito? Domani? No, dal primo ottobre.
    Conosce qualcuna disponibile? No, nessuno.
    Ok, niente panico. Andiamo al management a chiedere se c'è possibilità di assumere una ragazza, ma da lì devono chiamare un ufficio apposta, sapere quanto è lo stipendio, quante ore deve fare, se mangia a casa o no. Nessun problema, ecco qui. L'Amica Doris si offre di lasciare il suo numero, così se chiama qualcuno almeno può rispondere in cinese. Grazie, davvero grazie.
    Forse anche la proprietaria conosce qualcuno, proviamo a chiamare. Telefono spento. Chiamiamo l'amica della proprietaria english speaker, che non conosce nessuno ma sentirà la proprietaria e saprà dire.

    Posso fare altro? No, niente. O forse posso farmi un caffè.

lunedì 26 settembre 2011

Doppio sogno

Nei pressi della Biblioteca di Shanghai, lungo la Fuxing Xi Lu, una strada buia ma vivace, ci sono alcuni locali interessanti, un piccolo apparecchio tv vintage che invita a accendere la musica anziché fossilizzarsi sui programmi televisivi, una vetrina con barattoli e corde appese, lavagnette dell'ikea con l'elenco delle offerte e i menù del giorno scritti con i gessi colorati.
    Da una porta aperta si entra in un club Bike&Friends, che espone una gigantografia di Coppi e Bartali nella celebre immagine del passaggio della borraccia, alcune biciclette rotte, copertoni, telai appesi e qualche candela. Oltre l'ingresso, c'è una sala addobbata allo stesso modo con un lungo tavolo pieno di cinesi, e più avanti un cortile con tavolini rotondi pieni di occidentali.

    Proprio di fianco, al n. 133, c'è un locale che si chiama Mistral. Offre produits du marché, tapas & vinos e una selezione di cibi cinesi. All'interno, un divanetto con un tavolino per chi vuole aspettare che si liberi un posto, alcuni tavoli con le candele, le tovaglie bianche e i tovaglioli scuri. Attraverso una scala stretta e nera, con la ringhiera fatta di corde tese, si accede al secondo piano, dove piccole finestre tondeggianti bordate di azzurro si affacciano sulla strada. La luce tremolante delle candele illumina poco e crea un'atmosfera molto romantica, ma la cameriera ci invita a seguirla ancora, all'esterno, dove c'è un ballatoio con tavoli di ferro battuto e vista sul cortile degli amici della bicicletta. Da lì, ci porta ancora all'interno, attraverso pochi altri gradini, oltre una porta bianca che si apre su una sala con un tavolo per una ventina di persone, rustico ma d'effetto, con sei gambe diverse l'una dall'altra, dipinto di bianco come le sedie. Sul tavolo, due vasi con gigli bianchi, sale e pepe, una bottiglietta di tabasco e due candele. Il lampadario è un grosso tronco chiaro su cui sono avvolti ad altezze diverse fili elettrici che finiscono con tubi idraulici. Un lato della stanza è pieno di finestrelle azzurre, aperte sul solito cortile dei bikers, con le candele sul davanzale, spente; il lato corto ha due porte chiuse e il terzo lato una porta con un chiavistello.

    Mentre guardiamo il menù incerti su cosa assaggiare, vista l'offerta piuttosto stravagante, la porta col chiavistello si apre e appare una ragazza vestita di nero, con una minigonna inguinale, una maglia scollata, gli stivali e in testa un cappellino a punta rosso e giallo. Forse abbiamo sbagliato locale. O forse ha sbagliato lei. Confabula con qualcuno, un uomo, che si affaccia solo per un istante, poi se ne va senza chiudere la porta. Attraverso lo spiraglio si vede un ingresso spoglio con altre porte, un uomo esce, o più probabilmente entra con una borsa blu dell'ikea piena di roba, uno zaino e un sacchetto della spesa, e io penso che in effetti le sedie qui non sono niente male, e comunque meglio di quelle che ho nella sala da pranzo, ma io ho portato solo la borsetta da sera, dove non entra nemmeno la saliera. E mentre penso, entra un ragazzo, prende due sedie e le porta via. Proprio quelle che piacevano a me.

    Dopo un tempo sufficientemente lungo arriva una cameriera vestita di nero, prende le ordinazioni e accende le candele, e sparisce nel buio. Dopo un secondo, si manifesta come un fantasma il boss cinese, sudato e trafelato, che si scusa per averci fatto aspettare fornendo una serie di inutili giustificazioni, e si allontana poi gesticolando e parlando tra sé.

    Le croquets sono deliziose, l'empanada discreta, l'octopus piccante, i gamberoni enormi, il riso un po' appiccicoso, la birra buona e leggera.

    Quando ci alziamo, poco dopo le dieci, il locale è quasi vuoto, il barista spagnolo sta asciugando i bicchieri e il boss cinese è ancora sudato e trafelato come prima, ma come prima scompare in fretta, scostando le sedie con la grossa pancia come se avesse le mani occupate. Fuori dal locale, sulla strada, non c'è quasi nessuno, le macchine passano raramente e si sente il chiacchiericcio provenire dalle finestre aperte. La ragazza con la minigonna e gli stivali ci passa davanti, e senza guardarci si infila nel club Bike&Friends.

    La serata è senza vento. Il Mistral stasera ha le oniriche sembianze di un romanzo.

domenica 25 settembre 2011

YCIS back to school carnival

Il campus della Yew Chung International School of Shanghai è ricoperto di erba verdissima, morbida e sintetica, su cui albergano stand di due metri per due col tetto bianco e le scritte nere, tutti uguali, che dispensano borse di benvenuto con dentro un panda di peluches con la divisa della scuola, un frisbee tascabile e un tubetto di dentifricio.

    Nel prato ci sono gonfiabili a forma di castello, a forma di parete da arrampicata, a forma di ring con dentro il toro che disarciona e a forma di oceano con il surf che dondola. Ci sono le piscine piene di palline, il tiro alla fune, il salto alla corda, il tiro al bersaglio, i palloni ballonzolanti. Colorano i capelli con lo spray, mettono lo smalto sulle unghie, fanno tatuaggi e disegnano la faccia, e mentre intrattengono i bambini forniscono ai genitori mucchi di dépliant sulle attività dei loro parchi giochi indoor. Ci sono banchetti di volontarie che cedono muffin in cambio di un'offerta libera, la lotteria con ricchi premi e cotillons e la pesca di beneficenza. Il direttore della scuola, Mr Mellor, con la cuffia in testa e gli occhialetti da piscina, sta sotto la bacinella del tiro a segno, e ogni volta che si bagna sistema la sedia un po' meglio, in modo che la doccia gli arrivi dritta in testa.

    Nella mensa ci sono alette di pollo al curry, riso con pollo e verdure al curry, pasta con funghi e pancetta, involtini primavera, lasagne al forno, hamburger, hot dog, patatine fritte, panini dolci e brioches, muffin al cioccolato che fanno concorrenza a quelli delle volontarie, noodles piccanti, spaghetti alle verdure, cime di rapa lesse, salsicce e zucchero filato.

    La Gabbianella se ne va da sola a giocare con le paperelle nell'acqua, la BB si fa colorare i capelli di viola e Gatto Selvaggio si fa fare due tatuaggi rock sul braccio.

    Dopo tre ore e quarantacinque siamo stremati, non abbiamo vinto niente alla lotteria, la Gabbianella è felice ma è bagnata fradicia e non abbiamo niente per cambiarla.

    Esiste qualcosa di più stancante di una festina della scuola?

venerdì 23 settembre 2011

Un tranquilla passeggiata in periferia

Camminare a piedi alle otto e mezza del mattino serve a svegliare la mente, sgranchire le gambe, contribuisce a mantenere un po' di forma fisica (poca, ma sempre meglio di niente) e consente di notare alcune cose che in bicicletta solitamente trascuri.

    Stamattina, lungo la Hami Lu, verso nord, i negozi sono tutti chiusi, se si escludono un paio di verdurai, un panificio francese e un fioraio, e la strada è quasi tranquilla. Un uomo fuori da una porta suona il flauto, è una melodia triste che mi accompagna per un lungo tratto, finché non viene inghiottita da un autobus che suona il clacson e da un camion che pulisce la strada.
    Il marciapiede è ingombro di moto, tutte in fila, lucide, talmente vicina l'una all'altra che è impossibile spostarne una senza farle cadere tutte. Quando vedo una motocicletta con il sidecar penso che sarebbe proprio la giornata giusta per una gita, capelli al vento, aria frizzante e sole caldo, e mi immagino tutta la BighiFamiglia in moto sulle strade polverose della campagna cinese, in mezzo alle risaie. Rappresentazione molto romantica, ma poco realistica. Il pensiero corre alla mia Ducati. Meglio sorvolare.
    L'officina non sembra piccola, ma un ragazzo sta pulendo con molta cura la sua Susuki (è scritto proprio così, Susuki) all'esterno, sul largo marciapiede. Forse perché all'interno un gruppo di vecchietti rumorosi e ridanciani beve il tè e fuma attorno a un tavolo apparecchiato con cura in mezzo ai copertoni e alle marmitte.
    Poco più avanti, prima del ponte, un angolo di tranquillità bucolica lungo il canale, con panchine nascoste da fitte canne di bambù, ninfee sull'acqua e pescatori col cappello di paglia.
    Proprio di fronte alla Traffic Police c'è un ingorgo di macchine, motorini, biciclette e un autobus, ma il poliziotto in piedi davanti alla porta sembra non interessarsene, e guarda con aria assente verso il vuoto.

    Svolto verso est in Xian Xia Lu, grande viale di auto e motorini e di biancheria stesa, poi a sud, sulla ShuiCheng Lu, dove i negozi sembrano più grandi e puliti, ma sono anche questi tutti chiusi. Una galleria d'arte moderna espone 17 quadri con immagini di animali e paesaggi in stile tradizionale, e 3 statue di plastica blu di un cameriere che che ride e fa l'inchino; ci sarà ben qualcos'altro, penso. Infatti nella stessa galleria, oltre la porta a vetri, la musica risuona forte. Mi avvicino alla sala in cui, anziché il vernissage di una mostra (che sarebbe pur strano a quest'ora, ma la Cina stupisce), si sta svolgendo quella che ha tutta l'aria di essere una festa, dove alla luce fioca di lampade rosse e blu donne e uomini dall'apparente età di settant'anni ballano e bevono da grandi bicchieri, mentre una cameriera vestita di lattice con degli stivali stile bondage si aggira tra le coppie, una signorina con un vestito azzurro a fiori e le scarpe dorate guarda da dietro un bancone decorato con gli addobbi di natale e una ragazza con una improbabile pettinatura cotonata, una lunga gonna nera, le zeppe zebrate e una stola di pelliccia intrattiene le vegliarde. Chissà se va avanti così da ieri sera o se è appena cominciata.

    Sono solo le nove e mezza, e io non sono nemmeno a metà strada.

giovedì 22 settembre 2011

Le cinque del pomeriggio

    - mamma, mi aiuti a fare i compiti?
    - certo BB, mettiamoci qui sul tavolo. Vediamo cos'hai da fare
    - ma questo come si fa?
    - adesso se mi lasci leggere capisco
    - questo lo so come si fa ma qui non lo so
    - intanto per oggi devi fare solo questa pagina
    - allora lo so come si fa
    - ma mamma, perrché a me non mi aiuti mai?
    - Non si dice a me mi, comunque non è vero che non ti aiuto, vieni qui anche tu che facciamo insieme.  Cosa vuoi fare?
    - puesto pui con i puadrretti
    - amore le parole crociate sono un po' difficili, vedi? Devi leggere le parole qui e metterle nel posto giusto
    - qui, vedi dove va? Questa parola va qui.
    - BB fai i tuoi compiti, tu Gatto Selvaggio fai una cosa più facile va bene?
    - occhei, va bene, allorra puesto lo butto via e prendo un'altrra cosa più facile, va bene?
    - è quello che ho detto, ma non arrabbiarti però
    - è che tu aiuti sembre la BB e a me non mi aiuti mai
    - non si dice a me mi
    - mammmmammmmammma
    - sì amore anche tu, però magari se non mi stai proprio così addosso è meglio, muoio di caldo. vieni con me che facciamo un gioco sul pavimento io e te
    - mamma mi dai una gomma che Gatto Selvaggio ha sbagliato a scrivere il mio nome?
    - come ha sbagliato, le fai scrivere il tuo nome sui compiti? Devi farli tu, non darli da fare a tua sorella
    - ma io volevo, io volevo solo scrrivere il suo nome!
    - va bene, non piangere adesso, però
    - mmmaammmmammmmmammma
    - devi proprio arrampicarti sulla mia pancia, tu? dai BB, cerca di finire il compito che è anche facile
    - va bene se coloro tutto così?
    - va bene, certo, colora pure però con le matite altrimenti non si vede più cosa c'è sotto
    - mi fai la punta a questa?
    - mammmam mmmammma
    - anche a questa, a questa e a questa
    - ecco, fatto
    - mamma ti piace come ho colorrato pui?
    - brava, molto bene tesoro
    - mi serrve la forrbice che devo fare un collage
    - non usare tutta quella colla, finisci il vasetto e poi non s'asciuga più
    - guarrda ho la colla sui gomiti
    - anche un po' nei capelli, come hai fatto?
    - adesso vado a farre la cacca
    - gonggon mammmmmmaaa
    - mamma la Gabbianella sta colorando coi pennarelli
    - e va bene, lasciamo anche lei... nooooo il libro della biblioteca no, santa pace
    - va bene così, ho fatto giusto?
    - mammaa, ho finitooo!

Quando la ayi se ne va, alle cinque del pomeriggio, si scatena la battaglia. Mancano ancora almeno centoventi minuti all'ora di cena. Dopo l'art attack sul tavolo della cucina, i salti sul divano, la lotta con i cuscini e la tombola in inglese davvero non posso biasimarmi se, per riuscire a preparare la cena, accendo la tv e le lascio guardare per la diciassettesima volta Gli Incredibili.

mercoledì 21 settembre 2011

La proposta di Doris

Doris è una ragazza volitiva, determinata e vulcanica. Con lei mi sono avventurata nei mercati cinesi, nei market di Taiwan e nelle officine dei motorini, perché è convinta che la bicicletta sia pericolosa e che dovrei comprarmi uno scooter elettrico per muovermi nella zona.
    Doris frequenta molti negozi, e compra i pomodori, i funghi e le cipolle al mercato di BeiHong Lu, l'insalata, le patate e le verdure a foglia lunga in quello di HongSong Lu, le uova, l'olio per friggere e la carne nel super di JinHui Lu, il che sarà anche economico ma di certo non è molto pratico. Da quando ha deciso che deve imparare la cucina italiana si sta convincendo che anche il Cialeful, con i prezzi alti e la merce locale mediocre, è pur sempre uno dei pochi supermercati dove si trovano prodotti importati, indispensabili per fare, per esempio, le lasagne.
    Nella mia cucina ha assaggiato la pasta alle melanzane, le crepes (ok, non sono proprio un piatto italiano ma sempre più europeo dei MoonCakes, e poi con la Francia in questo periodo sono in armonia), funghi e zucchine ripiene e un piatto di lasagne che avrebbe sfamato perfino il Cuggino Ivan. Non è molto, come degustazione, per farsi un'idea della cucina italiana, specie se la cuoca è Wondercuoca per necessità e non per passione, ma l'Amica Doris ha apprezzato lo stesso, nonostante qualche appunto sull'uso dei grassi di origine animale in generale e del burro nella besciamella in particolare. Ma cara Amica Doris, le ho detto, mica ti puoi fare problemi di linea quando mangi le lasagne, o pensare al colesterolo mentre sbafi una crepe, suvvia.

Stamattina l'Amica Doris, cappello sempre in testa e ombrello sempre in tasca (cinese mica per niente, sa come va il tempo qui), si è materializzata al mio fianco al semaforo di fronte all'asilo, e con fare misterioso ha detto che doveva parlarmi, e che sarebbe venuta a trovarmi in tarda mattinata.
Alle undici e un quarto, davanti a una tazza di tè con un cubetto della mia torta al cioccolato (avanzo di ieri sera incredibilmente sopravvissuto alla colazione di stamattina) mi dice che ha parlato con suo marito, essendo stata fulminata da un'idea di cui mi vuole rendere partecipe: udite udite, scuola di cucina cinese per espatriati, di cucina italiana per cinesi. Insegnanti, nell'ordine, lei e io.

Non ridete, per piacere.

No, ok, ridete pure. Viene da ridere anche a me, in effetti.

Lì per lì però faccio la faccia perplessa, perché per insegnare a cucinare il primo requisito, direi anche l'unico, è essere capaci di cucinare, il che non rientra tra le mie principali qualità (ne ho delle altre, comunque).
Lei dice che quello che so fare riesce bene, piace e poi ci vogliono piatti semplici, e lo scopo non è tanto guadagnare, dato che non saremmo certo in grado di mantenerci con questa attività, quanto piuttosto divertirsi, fare amicizia, e magari riuscire a pagarsi il parrucchiere.
Ok, dico io, in questa prospettiva le cose cambiano un po', però comunque un altro requisito è che se devi divertirti almeno ti deve piacere passare la mattina ai fornelli, mentre io avrei altri interessi, non so, vorrei studiare il cinese, per esempio.
Benissimo, mi dice lei, se sai parlare un po' di cinese ancora meglio, aiuta a creare più intimità, a rafforzare il gruppo. E poi non lavoravo nelle relazioni pubbliche? Potrebbero essere utili anche quelle...
La ragazza è un osso duro, lo sapevo.
Vabbè, le dico, ci penserò. Purché non mi chieda di fare la torta al cioccolato senza il burro.

martedì 20 settembre 2011

L'autunno, all'improvviso (e un compleanno, previsto)

Da ieri sera la temperatura è scesa, e il vento forte scuote gli alberi e scompiglia i capelli. Uscendo, ho messo al collo la sciarpina nuova e in borsa un maglioncino, perché a Shanghai cambia tutto molto rapidamente, anche il tempo.
    In compenso, la differenza di temperatura tra fuori e dentro la metropolitana è trascurabile. Meno male, perché la meta di oggi è lo Yu Garden, a undici fermate di distanza.

    La città vecchia è proprio a ridosso del fiume, e oltre le case basse svettano i grattacieli di Pudong e del Bund. Intorno allo YuYuan c'è un vero e proprio bazaar, con negozi di ogni forma e colore. Dagli edifici a pagoda, i negozianti ti attirano con la promessa di sconti favolosi, ti inseguono con la mercanzia, ti invitano a entrare anche solo per guardare, convinti che finirai per comprare qualcosa. Quaderni, vestiti e borse di seta cinese, pennelli per pittura e calligrafia, timbri e colori, aquiloni, lanterne e portafortuna, bamboline di stoffa e di legno, quadri e papiri, teiere, ciotole, bricchi, tè e dolcetti, borse e valigie, ventagli, campane e statuette di budda, pendagli, gong, ocarine e chitarre, ciabattine e stivali decorati, pendagli, orecchini, collane e bracciali di giada, vasi di porcellana, libretti con le immagini di Mao, di vita campestre e della bandiera comunista, maschere e collane di perle, giochi di legno, marionette, cappelli, gioielli, miniature, smalti, in un dedalo di vicoli e viuzze che ti porteranno inevitabilmente al centro, al Giardino di Yu.

    Dentro, la folla di turisti si dirada, e la musica cinese scaccia il frastuono dei mercanti. Oltre le mura ondulate, che seguono la linea sinuosa dei draghi, il caos del commercio e la babele dell'estenuante trattativa si perdono, trascinati dal vento, inghiottiti dalle fauci degli enormi draghi di pietra a guardia delle porte, e gli schiamazzi si insinuano all'ingresso, inciampano in un sasso, si impigliano nei rami spioventi e finiscono nell'acqua calma del laghetto, alimentando grossi pesci bianchi e rossi, che guizzano d'un tratto per poi tornare a immergersi placidamente.
    Solo ogni tanto, alzando gli occhi, scorgi un grattacielo svettare sullo sfondo tra i rami fioriti e l'arco decorato di una veranda, e a tratti puoi vedere dalla grata di una finestra spezzoni di vita reale, fuori: una ragazza che compra la frutta, la biancheria stesa, un uomo alla finestra, un bambino che gioca con una bottiglia vuota.
    Ci puoi passare due ore, nel giardino di Yu, che quasi non te ne accorgi. Sempre che non ti venga una fame del diavolo. Che è quello che succede a me, di solito, verso le dieci e mezza della mattina.

    Dato che oggi ricorre il mio fausto genetliaco, ho deciso di concedermi un lusso, e bere una tazza di tè nella tea house più famosa di Shanghai, a due passi dal giardino.
    Attraversando il ponte delle nove svolte, grazie al quale riesci a liberarti dagli spiriti maligni che ti inseguono e che si muovono in linea retta (questo trucco me lo potevano insegnare anche prima), arrivi alla sala da tè HuXinTing, dove puoi salire al secondo piano e goderti la vista della folla disordinata e chiassosa sorseggiando un tè alla rosa da minuscole tazzine di porcellana. Al posto dei biscottini, in altrettanto minuscoli piattini, dei quadretti di tofu, delle olive piccanti e dolciastre dall'aspetto orribile e dal sapore uguale, delle caramelle gommose ripiene che non mi sembra si intonino granché e comunque non mi piacciono e delle uova di quaglia bollite e marmorizzate, che a dispetto dell'aspetto sono decisamente gustose.

    Quando torno a casa, però, preparo la mia famosa torta al cioccolato, delizia per il palato, gioia per grandi e piccini. Mancano solo le candeline. Però potrei usare le lanterne, che sono solo quattro, ma belle grosse, e a spegnerle mi aiuta il vento.

domenica 18 settembre 2011

Narcolessia (in) metropolitana, ovvero della sacralità del sonno

La metropolitana di Shanghai è un mondo sotterraneo che riserva alcune sorprese, specie per chi proviene da una piccola città dove qualsiasi tentativo di scavare nel sottosuolo porta alla luce reperti archeologici, che anziché risvegliare l'interesse culturale e venire sfruttati per evidenti ragioni turistiche vengono sistematicamente ricoperti per altrettanto evidenti ma meno comprensibili ragioni economiche.

    Questa città invece subisce trasformazioni quasi quotidiane, e se da un giorno all'altro ti spostano le corsie del supermercato o dalla sera alla mattina inseriscono una ringhiera protettiva lungo una strada di tre chilometri potete immaginare cosa può succedere nell'arco di un mese a un intero quartiere.
    Anche nel labirintico sinoipogeo si verificano trasformazioni repentine, e nel corso degli ultimi due anni sono state costruite due linee nuove, la nove e la dieci.

    Ci sono sicuramente degli svantaggi nell'utilizzo della metropolitana. Per esempio, è lenta, non tanto in sé, quanto perché a volte sei costretto a cambiare due o tre volte, e per un tragitto che in taxi fai in venti minuti ci vuole un'ora. Secondariamente, è aperta solo fino alle dieci di sera, quindi se vai fuori a cena devi comunque considerare l'alternativa taxi. Infine è affollata, soprattutto lungo certi percorsi e in certi orari, e spesso fai fatica a trovare posto, anche se avere in braccio una bambolina con gli occhi verdi e i riccioli biondi aiuta parecchio. Potrei affittarla.
    A fronte di questi pochi difetti, tuttavia, il mezzo presenta indubbi vantaggi. Per esempio:
    - è economica. Con quattro reminbi al massimo (50 centesimi circa) puoi raggiungere praticamente tutti i posti interessanti della città. Inoltre, i bambini sotto il metro e venti non pagano;
    - è sempre attiva, mentre nei giorni di pioggia trovare un taxi è quasi impossibile;
    - è sotterranea, ad esclusione di alcuni trascurabili tratti, così non diventi sordo nel traffico e non rischi neanche di vomitare;
    - è pulita, sicura e aperta dalle sei e mezza di mattina fino alle dieci di sera, che normalmente è un orario più che dignitoso considerato che fuori a cena non è che ci vai tanto spesso;
    - difficilmente rischieresti di dimenticarti nel vagone il passeggino, anche se in compenso potresti lasciare giù una figlia;
    - è colorata a seconda della linea, cioè viola la linea dieci, blu la linea nove, azzurra la otto, e poi no, i colori non sono in scala ma tutto quanto è della tinta giusta, le colonne, le poltroncine per l'attesa, la segnaletica per terra, le indicazioni sui vetri, così non ti perdi;
    - è decorata con immagini poetiche, tipo orchidee, ninfee, fiori di pesco, a parte la fermata dello zoo dove ci sono le sagome nere degli animali che si muovono su sfondo di piante gialle verdi rosse blu, perché anche l'occhio vuole la sua parte e nella frenesia del trasferimento devi riposare la mente;
    - ti permette di fare delle cose. La maggior parte dei pendolari gioca con il cellulare, o telefona, ma alcuni leggono (molto pochi, veramente), qualcuna lavora a maglia, e molti dormono, perché oltre alla mente devi riposare anche il corpo.

    Nel paese delle trasformazioni repentine infatti non tutti lavorano come matti. Ci sono alcune categorie che dormono. Quello che stupisce è che lo facciano in qualsiasi posto, in qualsiasi momento del giorno e in qualsiasi posizione. Non è per niente raro vedere ragazzi dormire sulla moto con la testa sul sellino e le gambe sul manubrio, ma anche uomini sui carretti in posizioni che concederesti solo ai bambini, oppure sulle sedie in mezzo al marciapiede, sulle panchine del parco, sui divani e nei letti dell'Ikea, distesi dentro i loro negozi o appoggiati sul banco informazioni. Dorme la ragazza del front office dell'agenzia immobiliare, dorme la guardia davanti al palazzo del comune, dorme il controllore dei bagagli all'ingresso della metropolitana, dorme lo spazzino seduto sul marciapiede, dorme la signora sotto la pensilina del tram, dormono il venditore in mezzo alla sua frutta e la sarta sul mucchio di tessuti. Il mondo intorno fa rumore, si agita, schiamazza, ma loro non sentono niente. E nessuno osa scomodarli, nemmeno se intralciano il traffico.

    Potrei considerare anche io questa prospettiva. Per quattro reminbi, posso sedermi in un vagone della metropolitana e dormire indisturbata per almeno un'ora e mezza, cullata dalla voce soporifera che annuncia le fermate e dal dondolio metallico del treno. Chissà se qualcuno mi sveglierebbe a fine corsa.

sabato 17 settembre 2011

Parrucchiere per l'anima

La BB ha il raffreddore. Non è una grande notizia, se non fosse che quando ha il raffreddore le viene l'asma, non respira più, deve fare l'aerosol, e nonostante la prospettiva di non andare a scuola la sua naturale malinconia è particolarmente accentuata.
    Nonostante l'imprevisto, decido di andare lostesso dal parrucchiere, perché è la mia testa che me lo chiede, e dopo tre volte che non rispondo s'incazza. Lascio la BB sul divano insieme alla Gabbianella e alla ayi, deposito il Gatto Selvaggio all'asilo (oggi Mrs Alexis-Gloria ha un vestito nero a palloncino. Qualcuno dovrebbe darle consigli di abbigliamento), lascio la bici fuori dallo zoo e prendo la metropolitana.

    Arrivo alle nove e mezza, scoprendo che i negozi prima delle dieci non se lo sognano di aprire, e spesso le undici è un orario più gradito. Inganno l'attesa gironzolando per Taikang Lu, quartiere di artisti e ristoratori molto caratteristico, con vicoli stretti e negozi e locali carini (e cari), solitamente affollato ma di mattina presto (?) quasi deserto. Entro in un negozio dove una ragazza sistema sugli scaffali scialli, foulard, sciarpe e altro abbigliamento per il collo, e la commessa (che si chiama Amber, abbiamo fatto amicizia), mi mostra mille modi per annodare una stola di cashmere da un milione di dollari, mi regala una bottiglietta d'acqua, mi fa provare mille pashmine, e anche se non ne avevo nessuna intenzione alla fine compro una sciarpa di cotone da regalare e una da tenere in borsa (l'aria condizionata è come l'aids, se la conosci la eviti, ma se non puoi evitarla almeno ti puoi adeguatamente difendere). Sono molto soddisfatta, e anche il pacchetto che mi metto al braccio ha il suo fascino cinese.

    Quando arrivo dal parrucchiere nel salone non ci sono clienti, ma in compenso gli addetti abbondano, e sono tutti (o sembrano) giovanissimi: un ragazzo vestito di nero si asciuga il ciuffo, tre sono seduti su un divanetto, una ragazza dietro il bancone, una mi accoglie all'ingresso. Dopo breve trattativa decidiamo il prezzo e inizia il trattamento, che comprende: colore, shampoo, massaggio, balsamo, pulizia delle orecchie (grazie, ogni tanto le lavo anche da sola ma grazie), e styling. Capisco che non ci sia grande afflusso di clientela, tuttavia mi stupisce che siano in tre attorno alla mia testa, e sono sicura che almeno uno dei ragazzi che si affaccendano sulla mia criniera potrebbe essere egregiamente sostituito da una pinza per capelli. Ma tant'è, avranno lo stesso costo.

    Il colore è molto bello, anche se me l'hanno messo due volte perché la prima hanno sbagliato. Il ragazzo che fa la piega ci mette l'anima, anche se è vestito come Michael Jackson e non ti stupiresti di vederlo al karaoke, il ragazzo-pinza finge interesse, il terzo guarda, il boss controlla da lontano attraverso la grossa montatura senza lenti.

    Quando esco, circa due ore più tardi, il ragazzo vestito di nero continua ad asciugarsi il ciuffo e io ho decisamente un altro aspetto, anche se mi sentirei ancora meglio se al posto delle infradito avessi dei sandali tacco dodici.
    Devo tenere a mente che il parrucchiere a volte può avere le stesse proprietà terapeutiche della Nutella, e in più non ingrassa.

venerdì 16 settembre 2011

Pronto soccorso

Gli ospedali di Shanghai, POP docet, sono dislocati un po' ovunque ma solo alcuni hanno personale che parla inglese. In una città di quasi venti milioni di abitanti, quattro strutture hanno il pronto soccorso e sono aperte 24 ore, le altre fanno orario d'ufficio. Poiché normalmente chi va in ospedale lo fa per ragioni di urgenza, e in genere gli occidentali non sanno parlare il cinese, sarebbe utile che i due attributi (inglese e pronto soccorso) si verificassero contemporaneamente.

    Lo United Family Hospital and Clinic, in Xian Xia Lu, oltre a rispondere ai fondamentali requisiti è anche vicino a casa nostra. È una struttura nuova, declinata nelle sfumature del bianco e del blu sia esternamente che internamente, con aria condizionata altissima fatta apposta per farti venire un blocco alla schiena che lì ti possono curare subito, ma solo se hai la carta di credito. L'ingresso delle emergenze è sulla sinistra, oltre una porta a vetri automatica. Ampio, silenzioso, un divano con delle riviste e il boccione dell'acqua, un gran numero di addetti alla reception tutti vestiti di blu e una signorina con un tailleur attillato che sorride e chiede cosa desideri. Mica con urgenza, comunque. Magari dipenderà dal fatto che io e l'Amica Francese non sembriamo particolarmente doloranti, per quanto l'Amica Francese sia lì per togliere il gesso al braccio e i dieci punti all'occhio che le hanno messo una settimana fa, quand'è scivolata dal marciapiede, ha sbattuto la testa contro un pilastro di cemento ed è riuscita da sola a combinarsi come se l'avesse investita un tram.

    Ok, non sono la persona più indicata per l'assistenza medica, ma qui è un caso a parte, l'accompagno solo come sostegno psicologico e, non ridete, linguistico, perché ci sono venticinque persone nel mondo che sanno l'inglese peggio di me, e incredibile dictu una di queste mi sta davanti piuttosto acciaccata.

    La signorina col tailleur attillato invita l'Amica Francese a entrare in una saletta, e me ad accomodarmi sul divano, suggerendomi in alternativa di considerare l'ipotesi di andare a bermi qualcosa al bar, perché l'operazione richiederà un po' di tempo. Per maggiori informazioni dovrei chiedere a un medico ma lei pensa che ci vorrà un'ora circa. Un'ora per togliere i punti? Faranno una cosa fatta bene, suppongo. Comunque grazie, ho il mio libro, le dico, mi siedo qua che sto bene, anche se mi ci vorrebbe un cappotto, si può avere almeno una copertina? Uno scialletto? Una liseuse? La signorina finge di non sentire.

    Trenta minuti e quarantadue pagine dopo l'Amica Francese è fuori, libera dall'ingombro del gesso e dai punti ma con l'occhio ancora giallo e viola con sfumature blu che un truccatore professionista farebbe fatica a copiare. La invidio un po', il mio trucco non è così sofisticato e comunque non regge più di un'ora, almeno all'esterno. Qui dentro invece è cristallizzato. Alla cassa vogliono solo 30 rmb, il che è curioso considerato che il pronto soccorso ne è costato quattordicimila.

    Andiamo verso il Gubei Store, dove facciamo un giro tra i negozi di vestiti senza trovare niente di nostro gusto, identifichiamo un paio di servizi utili (fotografo e lavanderia) e troviamo un panificio tedesco che sforna torte a forma di topo, di automobile o di hello kitty, e brioches profumate al sesamo e cannella, ottime per risollevare il morale.

    Ne prendiamo una a testa, anche se in effetti, considerata la sensibilità del periodo, dovrei farne una nutrita scorta, giusto per disporre del mio personale, economico e istantaneo pronto soccorso emotivo.

mercoledì 14 settembre 2011

Shanghai BoWuGuan, ovvero Giornata culturale con intermezzo

Cielo limpido, sole caldo, alle sette e mezza sto già sudando.

    Alle otto e quarantadue sono operativa, in metropolitana e in contatto telefonico con l'Amica Francese per una mattinata di cultura. Dopo nove fermate della linea dieci e due della linea otto sono a destinazione. Ora di arrivo: 9,38. Appuntamento in People's Square, alias Renmin Guang Chang, all'uscita 3 della metro. È importante il numero dell'uscita, dato che nella piazza ce ne sono venti.

    Il Museo di Shanghai è un contenitore per il cibo, con tanto di maniglie, costruito in mezzo al parco Renmin, il parco al centro della città e cocevia delle più trafficate strade della moda e del turismo. Il museo è gratuito, perché alla cultura deve poter accedere chiunque. Fuori dal museo, la piazza è militaresca, con giardini ben tenuti, siepi tagliate, stradine pulitissime e un caldo africano. Dentro al ding, su quattro piani, anziché le vivande trovi esemplari di statue, terracotte, porcellane, papiri e dipinti dell'antica Cina, oggetti che attraversano tutte le dinastie, dal neolitico in poi. Le guardie sono due in ogni sala, in camicia bianca e pantaloni blu, cappello in testa e stemma sul petto, dritte in piedi perché le guardie stanno così, rigide e impettite. Temperatura polare, così le guardie non sudano ma il turista medio in canotta e bermuda rischia il congelamento, e si ferma per poco, anche perché non c'è nemmeno una cadrega, e la sala da tè è piuttosto piccola, affollata e non molto fornita.

    E infatti anche noi dopo due ore siamo ibernate, stanche e affamate, e decidiamo che di teste di budda, statuine di terracotta, piatti, vasellame e papiri con le calligrafie ne abbiamo visti abbastanza, e quello che avanza dell'unico museo della Cina che valga la pena di visitare (National Geografic China Guide dixit) ce lo vediamo un'altra volta. Tanto è gratis, e il tempo non ci manca.

    Dopo tre minuti sulla piazza lastricata abbiamo recuperato la nostra temperatura abituale, e dopo dieci stiamo già sudando un'altra volta. Nel parco, però, le piante hanno grandi rami frondosi che quasi toccano terra, e le panchine invitano effettivamente a dormire, come fa un vecchietto su una o una vecchietta sull'altra. Non fosse che sono tutte occupate ci farei un pensierino. Sul laghetto le piante di ninfea galleggiano enormi e immobili, come i pescatori sulla riva, che sembrano finti. Oltre il ponticello, ci fermiamo nel Barbarossa Lounge, una costruzione marocchina con tanto di tenda maghrebina sul tetto, che si affaccia proprio sul laghetto. Con 138 yuan mangiamo insalatina verde con cetrioli, zuppa del giorno (di mais e patate), deliziosi ravioli di carne immersi in una brodaglietta con striscioline di frittata, insalata di pollo con uvetta sedano rucola e maionese. Pranzo luculliano diviso in due in un'atmosfera rilassata con vista sui pescatori, sempre immobili, e sulle scacchiere di gioco dei vecchietti, che qui anziché andare al ricovero si trovano al parco, dove possono gridare, sputazzare, guardare gli altri vecchietti che giocano in silenzio e dormire in santa pace.

    Nella mezz'ora che ci avanza camminiamo lungo la Fuzhou Lu, antica via della cultura e delle lucciole, strano connubio. Delle lucciole non c'è più traccia, della cultura rimangono un teatro (in ristrutturazione), una grande libreria cinese (Shanghai Shu Cheng) e un Foreign Language Bookstore, ma noi ignoriamo queste ed entriamo invece in un bugigattolo polveroso, attratte dai cartelli scritti a mano e ipnotizzate da una litania incomprensibile trasmessa da un megafono sulla porta. Dentro, ammucchiati alla rinfusa, impilati o sistemati negli scaffali, i libri sono venduti a peso: opuscoli sulle armi da fuoco dalle inedite copertine con coniglietti e bamboline, quaderni da colorare, libri di architettura, un minuscolo compendio di storia del mondo dal Big Bang a Hitler, fotografie erotiche, guide di cucina.

    Compro un manuale di origami, utile nella prospettiva di lunghe giornate invernali da passare in casa, e delle cartoline con i disegni di famosi artisti cinesi, perché è vero che gli insetti sono disgustosi ma questi son dipinti con una tale grazia che quasi quasi ti vien voglia di comprarti un bacherozzo da tenere sul comodino.

lunedì 12 settembre 2011

Festa della Luna con gran finale, secondo tempo

Il pomeriggio trascorre lento nel relax tra letture, cartoni alla tv e partite di princess memory nella giornata che nella mia testa avevo dedicato a una gita turistica, fallita miseramente di fronte a insormontabili difficoltà quali eccessiva stanchezza e scarso interesse della quasi totalità della BighiFamiglia. Dopo aver bevuto il caffè con la FrenchFamily, scartata l'idea di una visita all'acquario, di una merenda al parco Fuxing e di una passeggiata al Bund, tutti luoghi decisamente troppo affollati, decidiamo per un aperitivo seguito da pizza al Grand GateWay, zona centrale dove ci sono alcuni ristoranti occidentali e un paio di buone pizzerie.

    La prima sosta obbligata, tuttavia, è il Cialeful: la Gabbianella non ha più neanche un pannolino.
    Le metto un paio di mutande, e mentre il Bighi e la FrenchFamily chiamano il taxi io mi attardo per controllare se ho preso tutto: ciuccio, c'è; biberon, c'è; crackers, ci sono, bottiglietta d'acqua, c'è, maglioncino un due tre, ci sono; cosa manca cosa manca... pannolino ovvio, salviette, anche quelle. Il taxi è arrivato, prendo le chiavi, ho chiuso tutto? Sì, a posto, arrivo.

    Le bambine sono nel taxi con l'Amica Francese, io ho la borsa, il partafoglio c'è? sì, il sacchetto di sopravvivenza, la Gabbianella in braccio, salgo anch'io. Ci vediamo là eh? La rappresentanza maschile del gruppo prende un altro taxi.

    Minuti contati. Arriviamo al Cialeful, xièxie, pago il taxi, bambine qui attaccate che attraversiamo, carrello, cerca la zona bimbi, l'han spostata accidenti, dove li han messi i pannolini? Eccoli lì, prendo le salviette, anche un litro di latte dato che ci sono che non ne abbiamo più. Bambine ci siete? Statemi dietro per piacere.
    Ossignur ha fatto la pipì, bambine fate finta di niente, girateci intorno, ecco BB non pestarci proprio dentro, essì che la cambio ma prima devo pagare i pannolini. Ok, anche un sacchetto grazie, xièxie, ci siamo? Ecco il Bighi, guardate c'è il papà.

    - Fatto tutto?

    - Sì fatto, andiamo?

    - Andiamo. E il passeggino dov'è?

    - Come dov'è il passeggino? Ce lo devo avere io?

    - Te l'ho messo nel taxi

    - Come, nel mio taxi?

    - Sì, nel baule

    - Ma non me l'hai detto, però

    - Pensavo l'avessi visto

    - Ma come facevo a vederlo se ero dentro casa?

    - Vuoi dire che è rimasto nel taxi?

    - Ma se non mi dici che devo prendere il passeggino nel baule come faccio a sapere che ce l'ho io? E poi mi lasci con tre bambine, un borsa di sopravvivenza e il rischio pipì che poi adesso non è neanche più un rischio e anche il passeggino da prendere nel baule? Ma almeno me l'avessi detto, porco cane.

    M'è salito un nervoso, ma un nervoso di quelli potenti. E dopo che mi è calato il nervoso, mi è venuta tristezza, una tristezza pesante come un macigno sulla schiena. E faccio finta di niente, ma sta sempre lì, appostata, che appena mi volto mi schiaccia un po', in mezzo alle spalle.

domenica 11 settembre 2011

Festa della Luna con gran finale

La stanno aspettando da un mese.

    Da un mese sulle strade, nei caffè, nei mercati e nei ristoranti si vendono dolcetti tondi come la luna, fatti di pasta di riso e ripieni di fagioli rossi, uova, acciughe o pasta di soia, perché i cinesi amano i dolci salati.
    Si vendono appena fatti, ancora caldi, nei baracchini ai bordi del marciapiede, o nei negozi, confezionati, avvolti uno per uno nella plastica trasparente, o nella versione di lusso dentro piccole scatole rosse decorate, perché ne mangi uno soltanto, a volte nemmeno tutto intero.
    La Festa di Mezz'Autunno si celebra a fine estate, in settembre, per la precisione il quindicesimo giorno dell'ottava luna, perché i cinesi sono troppo avanti, anche con le stagioni.

    Da un mese adulti e bambini si preparano per danze, canti, fuochi d'artificio e spettacoli acrobatici che quest'anno dureranno tre giorni, perché la ZhongQiuJie cade il 12 settembre, lunedì. Scuole chiuse e uffici chiusi, ma negozi, mercati e attrazioni aperte, perché la Cina non chiude mai.

    Le bambine sono vestite come delle spose, con abiti ricamati dalle maniche lunghissime, scarpe con suola di legno di sei centimetri, spille e perle tra i capelli, copricapi decorati, labbra rosse e occhi bistrati con le ciglia finte. Danzano con movimenti lenti cantando monotone melodie, qualche volta aprono il ventaglio e nascondono il viso, senza sorridere, e si inchinano dolcemente unendo le mani per salutare. Quando si allontanano, lo fanno con piccoli passi veloci e scompaiono tra la folla. Le vedi più tardi, ancora truccate ma senza le pesanti decorazioni tra i capelli, con le scarpe da ginnastica e i calzoncini corti, che dipingono con lunghi pennelli sedute al tavolo da disegno, costruiscono dolci finti con la pasta di sale e giocano a infilare i bastoncini nelle bottiglie vuote.

    Il danzatore è vestito di nero e oro, con stivali rossi decorati e un mantello rosso con un drago dorato al centro. Apre e chiude un ventaglio, rosso, e si muove velocissimo con passi lunghi e piroette al suono di una musica veloce e ritmata, il volto nascosto da una maschera blu e bianca. In testa ha un copricapo nero bordato d'oro che scende dietro fin sulla schiena, mentre la fronte e le orecchie sono coperte da una decorazione azzurra con un enorme diadema al centro e perle intorno. La danza è circolare, ma non sembra seguire una coreografia, e il danzatore coinvolge il pubblico mostrando ogni volta una maschera diversa, che cambia improvvisamente senza nemmeno toccarla.

    Quando si avvicina a me abbasso la macchina fotografica, lui mi prende la mano, mi guarda negli occhi, poi volta la testa di lato e quando torna a guardarmi ha cambiato maschera. Alla fine dello spettacolo, mostra il suo vero volto, ma poi se ne va, e sembra volare via avvolto nel suo mantello rosso.

    Alla sera, i fuochi d'artificio fanno tremare i vetri del ristorante e illuminano i grattacieli, e siamo tutti lì, a guardare rapiti col naso all'insù l'esplosione di colori.
    E io mi perdo il finale perché al Gatto Selvaggio scappa la pipì.

venerdì 9 settembre 2011

Incredibile POP tour

La POP, Parents Organisation Puxi dove le mamme inesperte trovano teoricamente sostegno psicologico e aiuto pratico al loro arrivo a Shanghai, ha organizzato una gita per mostrare alcuni luoghi interessanti del quartiere, al costo di 20 rmb. Siccome pur non guadagnando più un centesimo una spesa di due euro me la posso permettere, ho pensato che sarebbe stato interessante, anche perché di solito in queste occasioni si incontrano davvero persone con le tue stesse esigenze e con i tuoi stessi problemi.

    Appuntamento alle nove davanti alla scuola della BB, rientro previsto per le due (va' che brava che ho cambiato l'orario alla ayi), pullmino piccolo, autista prudente (con tutte quelle donne a bordo era in netta minoranza e avrebbe rischiato grosso) e accompagnatrice cinese molto pratica e sorridente.

    Dopo il controllo delle presenti ci viene consegnato un foglio con l'elenco dei posti che visiteremo.


    Ora, io non sono pratica di gite di gruppo, e a dire la verità mi sono iscritta solo perché ha insistito C., mamma vicentina di una bambina con cui la BB ha giocato un paio di volte. Non sono nemmeno tanto propensa a fare amicizia con persone a caso, a dare in giro il mio numero di telefono e a raccontare tutto della mia vita solo perché abbiamo in comune la scuola delle figlie. Comunque in effetti sembra che questa pratica sia molto diffusa tra le mamme expat (cioè espatriate. No, lo dico solo perché magari qualcuno pensa che expat abbia qualcosa a che vedere con l'annullamento della patria potestà, con l'aver avuto in passato qualche patologia grave o con il fatto di aver partecipato in gioventù a programmi dimagranti che hanno trasformato il culo a patata in culetto a mandarino. Questa ultima opzione, se vogliamo dirla tutta, la si potrebbe eliminare senza dubbio alcuno guardando i culi delle partecipanti. Escluso il mio, ovvio: e ho detto tutto).

    In effetti avevo la mattina libera e mi sono anche portata la macchina fotografica, sai mai che vedi qualcosa di memorabile.

    Guardo con curiosità il foglio che ci viene consegnato, passato di mano in mano e di sedile in sedile in comode copie ciclostilate, credo che si usi così nelle gite di gruppo. Alla prima lettura mi casca il mento, ma non ho il coraggio di dire niente, e quando penso di lanciarmi giù dal finestrino il bus è già partito.


    Ecco l'elenco dei siti in programma:

    1) Parkson Shopping Center – just drive by.

    Cioè, ti portano a vedere com'è fatto da fuori un centro commerciale. Ammazza che interessante.

    2) Hong Qiao Flower Market – stop for 30 min.

    Carino, ma accidenti ci son stata giusto ieri, è proprio attaccato a casa mia e ci posso andare quando mi pare senza farmici portare dall'autista e dal nugolo di mamme inglisc spichers. Vabbè, mi ci faccio un giretto lostesso, adocchio anche un paio di regalini da portare a casa per Natale.

    3) Parkway Health Hospital – just drive by.

    Oddio, speriamo di non averne bisogno, comunque va sempre bene sapere dov'è un ospedale.

    4) United Family Hospital – just drive by.

    Un altro. Ok, grazie, però comunque non saprei come arrivarci, non ho la macchina e suppongo che il tassista abbia memorizzato la mappa di Shanghai un po' meglio di me, e poi da fuori si vede che è l'ospedale, c'è scritto grande così, non lo puoi scambiare per un ristorante thai.

    5) Pines Supermarket – stop for 30 min.

    Al supermercato? Che ci facciamo al supermercato? La spesa, certo, ma di gruppo? Fanno gli sconti comitive? Vabbè, mi compro una banana che comincio ad avere fame, e anche una bottiglietta d'acqua che me la son scordata. Abbiamo finito? Andiamo?

    6) City shop – just drive by.

    E meno male, la spesa l'abbiamo già fatta, un altro supermercato non ci serve.

    7) Hong Mei lu, pedestrian street – just drive by.

    Ma l'unico posto dove si poteva camminare un po' e guardarsi intorno me lo fai vedere dal finestrino del bus? Proprio una cinesata.

    8) Brilliance Mall, Decathlon – stop for 2 h.

    Due oree? Due ore in un centro commerciale? Che ci faccio due ore in un centro commerciale che come maggiore attrattiva ha il negozio di decatlon, una fantomatica pista di pattinaggio su ghiaccio sul tetto che suppongo funzioni solo a gennaio e una zona ricreativa per bambini che in realtà è una sala giochi buia e frastornante di musiche disco e luci da giostre, con un bruco gigante che fa finta di essere un treno e entra nella mela-galleria con rumore assordante e un angolo dove ti trasformano la figlia in principessa con trucco, manicure e parrucca e ti ci fanno pure la foto?

    Non ce la posso fare. Non credo proprio.

    Guardo sconsolata le ultime due tappe della gita, nella vaga ma ahimé vana speranza che con un colpo di coda si possa riscattare la mattinata.

    9) St Michael Hospital – just drive by.

    10) Taste Supermarket – stop for 30 min.

    No, no no, grazie. Prendo la metro, eh, vi dispiace? Mi son ricordata che avevo una cosa da fare, a casa. La prossima gita? Ehm... Grazie, sì, magari ci sentiamo, eh?

giovedì 8 settembre 2011

Parole in libertà

    - babai
    - siddam
    - sori
    - veRinais
    - babai
    - red
    - laion
    - elefant
    - gionglaosce
    - onciaolu
    - babai
    - aiscRim
    - mai neim is argenta
    - sandei mandei ciusdei uendi toRdi fRaidei saduRdei
    - tassiplis
    - uan ciu tri for fai sis seven eit nai tem
    - babai babai
    - legò
    - nihao
    - gangangangang gangang babai
    - siesiè
    - paRpol
    - uosciorhends
    - no Fenchiu
    - stedaplis
    - gan gggg gang
    - banena
    - veRi nais
    - no quello l'hai già detto
    - ah, alloRa... dico... ai, lo sai cosa vuol diRe ai?
    - babai bai bai gangan g

Se qualcuno ci vedesse da fuori, in un normale pomeriggio dopo la scuola, penserebbe che quelle tre bambine, di cui due in mutande e una ahimè ancora in pannolino ma per fortuna ancora col pannolino addosso, che giocano sul pavimento, siano impegnate con le costruzioni. In realtà trattasi di gara all'ultimo sangue a chi dice più parole in inglese, o in cinese che tanto è lostesso.

È aperto il concorso per scoprire il significato dei vari termini, in palio un ciocoleit aiscrim muncheic.

mercoledì 7 settembre 2011

I colori del pollice

La casa comincia ad assumere una fisionomia meno impersonale. Dopo aver eliminato alcune orrende cinesate tipo i bouquet di fiori finti con annessi vasetti di paglia su supporto di ferro battuto coi riccioli dall'ingresso, il quadro con l'elefante di pizzo dal muro della sala da pranzo e i cuscini in alcantara dalle sedie della cucina, con l'Amica Francese ho fatto un salto all'ikea, tornando con due tortiere (già inaugurate), tre piantine, due cuscini per il letto, due cuscini per il divano (uno verde e uno rosso), due cuscini da rivestire, un appenditutto per il bagno, dei contenitori di vetro per le spezie, delle ciotole di plastica colorata per le bimbe, una bottiglia di vetro (può sempre servire), un copriletto, un bricchetto di ferro smaltato trovato nel reparto piante ma adattissimo per il latte della colazione, un barattolo per lo zucchero, una pirofila per la pasta al forno, filo per cucire, un metro e venti di stoffa colorata.
    E meno male che ero a corto di liquidi.

    L'Amica Francese mi ha gentilmente regalato ben tre aghi della sua personale riserva, e anche se purtroppo non sono riuscita a trovare un ditale, per cui ci ho rimesso il medio e parte del pollice della mano destra, ho cucito due splendidi copricuscini colorati che ho riempito con i cuscini, che piacerebbero molto alla Zia Checca e che in realtà non sono molto il mio stile, ma devo dire che non stanno niente male sul divano in vera finta pelle color … color ... che colore sarà? Una via di mezzo tra il marroncino e il grigio, una tristezza cosmica insomma.

    Poi ho aggiunto una pianta, che è stato il mio capolavoro di contrattazione.
    È andata così. Ieri sono andata al flower market, pensando di trovare una pianta di quelle facili facili da tenere dato che il mio pollice più che verde ha un colore simile a quello del divano, e solo di recente ha assunto una colorazione rossiccia a causa del sanguinoso lavoro di cucito. Vedo un vaso che mi piace, ma lo voglio di un altro colore, scelgo la pianta, la ragazza mi dice che costa 590, io dico che torno l'indomani perché voglio vedere il vaso prima di comprarlo.
    Vedo anche un oggettino che mi piace, ma il venditore non cala il prezzo e glielo lascio lì.
    Stamattina torno al mercato, vedo la mia pianta pronta nel vaso, dico che va bene e lei fa il prezzo, 590 rmb come ieri, e me la porta a casa gratis. Non posso, dico io, non ho i soldi, e lei cala un po', dice 530. Non ho i soldi, le dico, proprio più di 300 non ci arrivo. Allora rilancia per 490, poi 450, io le faccio vedere il portafoglio dove alloggiano, appositamente decurtati in precedenza, 316 rmb, però, le dico, questi 10 mi servono per una cosa, un regalo (vabbè, un euro è un po' poco per un regalo, ma ci ha creduto), mi avanzano 306, vedi? 300 va bene? Stremata, la ragazza capitola, ma vuole anche i 6 rmb. Ok, sforo un po' il budget, ma è accettabile.
    Per inciso, anche l'oggettino del giorno prima me lo porto a casa a prezzo ribassato.
    Questa volta son proprio soddisfatta. Sto imparando bene.

    Ora, oltre ai nuovi cuscini, in soggiorno ho un vaso di ceramica rosso scuro (cioè bordeaux, va' come imparo in fretta le lingue) di 65 centimetri con dentro una bella zamia grande altrettanto, che, la Zia Sandra lo sa, ha bisogno di così poca acqua che mi dimenticherò di darle anche quella.
    Confido negli spruzzi che le arriveranno ogni volta che la ayi laverà il poggiolo con la pompa senza chiudere la porta-finestra.

lunedì 5 settembre 2011

domenica 4 settembre 2011

Happy Birthday

Per il compleanno di Lele e Vincenzo, due italiani rispettivamente con fidanzata cinese e moglie francese, siamo stati invitati a mangiare in un ristorante non distante da casa nostra (solo mezz'ora di taxi, cioè).

    Per evitare di passare la serata a sottrarle dalle mani cibo di piatti altrui, asciugare le sbrodolate sulla tavola e passeggiare tra i tavoli nel vano tentativo di calmarla dopo averle sottratto uno spiedino di metallo da trenta centimetri con cui avrebbe potuto facilmente cavare un occhio al commensale del tavolo vicino, senza troppi rimorsi abbiamo lasciato la Gabbianella con la ayi, e adeguatamente istruito la BB e Gatto Selvaggio per la serata.


    Il ristorante, al 680 della ZhaojiaBang Lu, è chiamato The Silk Road, e nonostante sia l'atmosfera che l'abbigliamento dei camerieri inducano a pensare di trovarsi in un locale turco, in realtà mi hanno spiegato che il ristorante propone cibo tipico di una regione nord-occidentale della Cina, lo Xinjiang.

    Lampadari a forma di stella di metallo bucherellato, piatti e vasellame apparentemente antichi, tavoli rotondi con tovaglie rosse, stanze separate da portali di legno arabeggianti, e uno schermo piatto appeso alla parete dove vengono proiettati video sulla vita e i costumi di abitanti di montagne non meglio identificate, con greggi di ovini al pascolo, massaie a fare il pane non lievitato (e vorrei vedere, qui il lievito è introvabile) e panorami desertici.

    Il cibo che cominciano a portare è piccante, ma buono: ci sono bocconcini di melanzane, spaghettini con le verdure, pezzi di pane non lievitato, dei triangoli al sesamo ripieni di agnello (buonissimi), il tutto in piatti comuni, ché qui non si usa avere la porzione ciascuno per sé: ci sono dei grandi piatti da cui ognuno si serve a volontà. E non c'è pericolo di restare senza. L'ospitalità cinese esige una enorme quantità di cibo, molta ma molta più di quella che i commensali potrebbero mangiare, e anzi bisogna che le pietanze rimangano sul tavolo altrimenti li offendi, perché se finisci tutto è come dire che non hanno ordinato abbastanza (il NonnoGP potrebbe soffrire molto nel vedere così barbaramente castrata la sua profonda soddisfazione nello spazzolare tutto).

    Dopo le prime portate arrivano altre pietanze: riso con uova sode e bocconcini di agnello, verdure cotte non identificate, funghi trifolati (quelli che crescono sugli alberi, per intenderci: li trovi anche al platano del Cesiolo ma normalmente invito la BB e Gatto Selvaggio a starci lontane. Qui li mangiano. Vabbe', c'è di peggio). Tutto non ci sta sul tavolo, si fanno delle piramidi con i piatti pieni che quasi raggiungono il record ancora imbattuto di quelle che fa il Bighi con i piatti da lavare. Ma non è finita: ci sono anche cosciotti di montone allo spiedo, yogurt bianco, spiedini di agnello, salse colorate (gialle rosse verdi, quasi patriottiche), spezzatino piccante di agnello con le patate, il tutto condito da musiche a metà tra le melodie tradizionali cinesi e l'Orchestra di Raul Casadei. L'apice della serata viene raggiunto quando il Lele, nella sala adibita alle esibizioni di due ballerini professionisti, si cimenta nella danza del tacchino, che consiste nel ballare con le braccia conserte, a gambe piegate lanciandone alternativamente una in avanti in un movimento che mi pare simile a quello di un famoso ballo russo, però in più muovendo la testa come il noto gallinaceo.

    Pare che la sua fidanzata cinese, all'apparenza estremamente amabile, lo faccia camminare così tutte le mattine dalla cucina al soggiorno, così si tiene in forma.

    La BB e Gatto Selvaggio sono molto divertite, si esibiscono nella performace canora di Happy Birthday ma solo perché confuse nella folla stonata, si abbuffano di torta al cioccolato e si addormentano nel taxi con in testa un cappellino fucsia con paillettes e perline, gentile omaggio della casa.

    Io invece, alla faccia della doggybag, esco carica di contenitori di plastica con una minima parte delle pietanze avanzate, tutte rigorosamente halal, con cui possiamo sfamare la BighiFamiglia per una settimana.

sabato 3 settembre 2011

HongQiao Flower Market

Insospettabile Cina. C'è sempre qualcosa dietro, che non vedi e non senti, mentre davanti è tutto tranquillo.

    Così, al n. 718 della HongJing Lu, passando oltre due grandi colonne ioniche (o doriche, non ricordo mai la differenza, sicuramente non corinzie, più probabilmente composite, o in altri termini assemblate a caso, il che significa copiate un po' come viene) e superando quello che sembra uno spoglio ingresso verso il niente, arrivi a un capannone basso nel cui interno sono ammassati innumerevoli negozi di fiori e piante, oltre che di vasellame, articoli da giardinaggio, arredamento per esterni e anche per interni, decorazioni, statue (da quella di Mao a quella di Mozart, passando per budda, elefanti, cammelli e guerrieri di terracotta, fatti di pietra però).

    Alcuni negozi sono decisamente di gusto occidentale, e i prezzi sono adeguati, ovviamente, essendo un mercato molto frequentato dai turisti. Però dentro alcuni, anche se non rischi certo di perderti data la grandezza del locale, potresti passare un'ora a guardare tutto, perché gli oggetti sono talmente tanti, uno sopra l'altro, appesi, nascosti, che ogni sguardo è una scoperta.
    Ci sono fontane fatte con le canne di bambù e le ciotole di terracotta, voliere per uccelli e voliere trasformate in lampade, vasi di vetro e servizi di bicchieri, palle di fiori finti su cesti di paglia intrecciata, ventagli fatti con le piume di struzzo, portatovaglioli di smalto e decorazioni con le conchiglie, un budda disteso tutto dorato e una testa di budda dai riccioli d'oro, scatole di legno dipinto, vasi con i pesci rossi e fermalibri di ceramica, un cavallo bianco a grandezza naturale e un cigno con le piume, portafoto da appendere e da appoggiare, paraventi intagliati, vetrinette laccate e lampadari con le gocce di cristallo, panche finto-antiche e vero-nuove, seggioline decorate, candelieri alti un metro e mezzo, cuscini di seta su poltroncine di vimini, composizioni con legno e pendenti di stoffa che qui vanno molto, pannelli di stoffe, treppiedi, sgabelli, e fiori, recisi, in vaso, in mazzi, nelle piantine, in strutture simili alle corone da morto che però qui sono di festa, appesi, appoggiati, immersi nell'acqua dentro ciotole rotonde con e senza pesci rossi, monocolore, variopinti, veri e finti.

    In effetti volevo andare per comprare una pianta, ma visto che mi muovo in bicicletta e ancora non so dire “fate il servizio di consegna a domicilio?”, ho solo guardato, e visto alcune piante bellissime che sono sicura a casa nostra si intonerebbero benissimo e morirebbero nel giro di dieci giorni. Quella che mi piaceva, scelta tra quelle conosciute, e che quindi so già quali cure richiedano (cioè niente, a parte l'innaffiatura settimanale), era dentro un bel vaso nero di settanta centimetri, e a parte il costo sul quale avrei dovuto contrattare mi sarebbe riuscito un po' difficile portamela a casa.

    Ho comprato quattro lanterne, sulla cui utilità immediata mi permetto di sollevare qualche dubbio dal momento che non ho ancora le candele e se anche le avessi probabilmente non arriverebbero intere fino a sera dato il caldo che fa. Ma via, danno un tocco speciale alla terrazza, per la quale ho grandi progetti. Tremate, tremate...

venerdì 2 settembre 2011

Sistemi diversificati di comunicazione

Da qualche tempo sto pensando di far cambiare orario alla nostra ayi, perché le grandi distanze cui mi costringono certi spostamenti non mi consentirebbero di tornare a casa per le dodici, ora in cui lei solitamente va a casa a mangiare.
    Memore delle sue raccomandazioni, ho scritto un biglietto, e ho anche pensato di prendermi larga e ho usato un foglio di quaderno anziché lo scontrino della spesa.
    L'impresa ha richiesto un intero pomeriggio di lavoro, durante il quale ho consultato il libro di testo usato per il corso di alfabetizzazione, il frasario (abbastanza inutile) nonché il vocabolario, che ho dovuto utilizzare sia per la parte italiano-cinese, e qui è ovvio, sia per la parte cinese-italiano, e qui il motivo è meno palese ma uno lo capisce subito quando vede la grandezza dei caratteri cinesi, tipo Arial 6 punti, per cui ogni carattere visualizzato nella sezione italiano-cinese è stato controllato nella sezione cinese-italiano.
    E meno male che ho fatto studi di filologia, e ho allenato la pazienza.

    Oltre al cambio di orario, ho dovuto dire:

    1) che dovrebbe andare lei al mercato a comprare gli ingredienti e poi con quelli cucinare a pranzo un piatto cinese per la Gabbianella, e anche per sé, meglio non piccante,

    2) che naturalmente avrei pagato io la spesa, e, dulcis in fundo,

    3) che se la chiamiamo per tenere le bambine al sabato sera le spetta un supplemento di stipendio, consistente in 100 reminbi a sera.

    Al termine del biglietto davo due possibilità: va bene, non va bene.

    Al solito, lei ha portato a casa il foglietto, e il giorno dopo è tornata con la risposta: va bene.

    Tuttavia, sembra che io abbia esagerato nel proporre un pagamento così alto per il sabato sera, e mi dicono che rovino il mercato perché sono più che sufficienti 25 reminbi dato che il sabato è giorno lavorativo (sarà, ma dieci euro per una serata di libertà mi sembravano già un affarone); poi è meglio non farla mangiare a spese nostre perché solitamente le ayi mangiano veramente tanto riso e ne servirebbe una quantità industriale, e non si può proporre altro perché non mangerebbe cibo italiano (il che risponde al vero, almeno per quanto riguarda la nostra ayi).

    La fonte di queste informazioni è Doris, la ragazza di Taiwan nostra vicina di casa, che dopo aver letto il biglietto ed essersi complimentata per l'impresa, mi ha ragguagliato circa alcune abitudini delle ayi e sulla necessità di dire esattamente cosa fare e quando, altrimenti fanno di testa loro. Siccome mi veniva da ridere al pensiero del tempo che avrebbe richiesto un simile ragguaglio, si è offerta di aiutarmi a comunicare con la nostra ayi, e oggi ha fatto da interprete (e non avrò l'autista personale ma trovatemi qualcuno che abbia la traduttrice simultanea).
   Ebbene, se si esclude il fatto che io parlavo per mezzo minuto con Doris e la sua traduzione durava un quarto d'ora, con una discussione piuttosto animata che sembrava una commedia in dialetto bergamasco con anche l'intervallo in mezzo durante il quale sono andata a bere qualcosa al bar, credo di essere riuscita, tramite Doris, a far capire alla Wang Che Hua una serie di cose, tra cui:

    1) deve cambiare orario, fare la spesa e preparare da mangiare per la Gabbianella, come da biglietto allegato;

    2) non occorre fare una lavatrice al giorno se ci sono da lavare solo due magliette e una camicia. Meglio aspettare che il cesto sia pieno;

    3) la biancheria scura andrebbe separata da quella chiara, così il Bighi non si lamenta perché le sue mutande sono diventate rosa;

    4) sarebbe gradito che lei preparasse qualcosa anche per la cena, ma solo se glielo chiedo espressamente altrimenti ci penso io.

    A dire il vero mi riesce difficile pensare che riesca a preparare qualcosa per cena entro le cinque, ma Doris ha insistito su questo punto, suggerendo anche di fare una prova per stasera. Così per cena abbiamo dan chao fan, un piatto facile che si poteva fare con gli ingredienti già comprati stamattina e che suonava bene.
    Diciamo che dal punto di vista della comunicazione è andata bene.
    Per quanto riguarda la pietanza, credo che aggiungerò qualche ingrediente, perché se metto in tavola una ciotola di riso bollito con uova, erba cipollina e salsa di soia c'è una probabilità piuttosto elevata che il Bighi me la rovesci sulla testa, e ho appena lavato i capelli.

giovedì 1 settembre 2011

Pop up, mood down

La P.O.P., valente Parents Organisation della scuola della BB che ha sede a Puxi (che corrisponde alla seconda P nella sigla), ha invitato i genitori (leggi le mamme) dei nuovi arrivati a un Morning Tea, per cui ti aspetti di andare in una casa vittoriana con le tende damascate e i mobili antichi e di scambiare due chiacchiere seduta in punta di chiappe su una scomoda poltroncina davanti a un tavolino basso con la tovaglietta di pizzo e la teiera a fiori, sorridendo col solito sorriso-paresi e sfogliando riviste di giardinaggio mentre tieni in una mano il tuo piattino con la tazza di tè fumante e con l'altra ti ficchi in bocca un minuscolo muffin al cioccolato con le ciliegie, sperando che nessuno ti veda sputare il nocciolo.

    In effetti la riunione si è svolta in una sala al quarto piano della scuola, dotata di maxischermo per le slides e microfoni e attrezzata per l'occasione con panche non dissimili da quelle in uso durante la sagra del risotto di Isola della Scala, ed è finita dopo una mezz'ora abbondante di presentazione della scuola e un'altra mezz'ora per raccogliere informazioni dagli stand allestiti lì intorno, ivi compreso un numero gratuito che si chiama LifeLineShanghai e che offre qualsiasi tipo di aiuto. Ganzo.

    A parte Ron Howard seduto davanti a me ci sono solo ragazze (cioè signore, donne, mamme insomma), tutte straniere a parte quattro, cinque con me. Bello, se ci sono ben altre quattro mamme italiane nuove, chissà quante ce ne sono di non-nuove. S., quarantacinquenne di Torino, ha due figli, è qui da due settimane e ha già un posto per insegnare francese nella scuola italiana, nonché l'appuntamento per iscriversi all'università; K., chimica di trentanove anni, viene da HongKong, ha una figlia, vive nel migliore compound di Shanghai e ha l'autista personale; C. ha due figli, è qui da due anni e ha aperto una scuola di cucina nella sua cucina; T. ha due figli, un marito americano (Ron Howard, appunto) e lavora nel reparto finanza di un'azienda che produce software mentre il marito sta a casa con i figli.

    Ok, lo sapevo che facendo questa esperienza avrei incontrato persone interessanti e con le palle, ma adesso mi sento un po' , come dire? un po' sfigata, ecco.

    Sì, lo so che vivere nel migliore compound e avere un autista non costituisce un elemento distintivo di particolari capacità personali, e che sono l'unica con tre figlie di cui una minuscola, ma che volete farci? La sensazione non cambia.

    Vabbe', torno a casa.

    Poco prima dell'ingresso della metropolitana c'è un capannello di gente (niente a che vedere con quelli che facciamo noi BighiFamiglia al Bund, comunque), un motorino per terra e tre persone al telefono che immagino stiano chiamando aiuto, perché c'è anche un uomo disteso che si tiene una gamba e che sembra molto sofferente, specialmente quando aspira il fumo della sigaretta.

    Più avanti un pullmino giallo, sembra quello di una scuola, si è incastrato nella curva schiacciando una macchina rossa parcheggiata male, la gente intorno cerca di aiutare l'autista a disincastrarsi e quando finalmente con una retromarcia ben assestata (grossi problemi di manovra, qui) l'autobus fracassa il paraurti anteriore della macchina e riesce a rimettersi in carreggiata, la gente esulta inneggiando all'impresa del mitico autista. Non credo che tra i suoi fan ci fosse anche il proprietario della macchina, ma non si sa mai, la gente qui è strana, si fa prendere dall'esaltazione di massa.

Nonostante questi diversivi non riesco a togliermi di dosso un vago senso di inadeguatezza. Mi consolo quando la Gabbianella, in uno dei suoi rari slanci di affetto, mi butta le braccia al collo e mi tiene stretta stretta. Chissà se basterà. Magari potrei provare con il LifeLineShanghai.