martedì 22 dicembre 2015

Perché dicono che il sesso sia un ottimo sostituto del caffè

Mattina. Colazione. Musica dalla radio. L'ingegnere assente, deve fare team building con un turbante in testa in qualche parte del mondo. Le bambine sbafano per l'occasione panini con la crema la cioccolato. Si può dire Nutella o si fa pubblicità occulta? ma chissenefrega, siamo in Italia (siamo in Italia!), che altra crema al cioccolato potrebbe essere? (Comunque davvero con la nutella, e non al profumo di, come succede in presenza del Bighi). La Wonder sbadiglia, la tazza vuota, ché il caffè non se lo può preparare essendo che la moka se l'è portata a Shanghai e qui è rimasta senza, e mica può andare tutte le mattine a chiederla in prestito.

- Mamma! ha detto una parolaccia!
- Chi ha detto una parolaccia, Gatto?
- La radio, la canzone. 
- ...
- Ha detto esse e esse esse o!

(dleng dleng ring riiiiiing drriiiiiiin
- Smettila, Cosci, metti giù quei campanelli, ho la testa che mi rintrona e non ho bevuto il caffè, vedi tu.
- Non vorrai farle credere che sia una parolaccia? che poi cresce pensando che il sesso sia una cosa sporca, brutta, che non si fa
- Vabbè, Cosci, non è che devo spiegarle adesso... 
- Wondeeer! 
- Ok, ok, Cosci, keep calm, fammi mandare giù il boccone, che poi la fetta biscottata ha questo difetto che mi va per traverso).

- Beh, non è proprio una parolaccia...
- Se....soo seesoo
- Con due esse, Gabbianella! esse e esse esse o!
- Seee..so
- Comunque io lo so cosa vuol dire
-...
- Sono due, un uomo e una donna, che si baciano NUDI!
- Beh, sì, è una buona interpretazione. E come lo sai?
- L'ho visto in un film
- Ah. E che film era?
- Seee...so sesoo
- Comunque guarda che lo fanno quando si vogliono bene, per fare i bambini sai
- Bibi, sto parlando con la mamma
-...
- Ma si fa proprio nudi nudi?
- Eh. No, non sempre.
- Ma tipo con la canottiera?
- Tipo, sì
- E sotto le coperte?
- Certo, sotto le coperte.
- Aah, fiuuuu! allora... sotto le coperte e con la canottiera e le mutande..
- Eh no!
- Senza MUTANDE?
- Sì amore, senza mutande
- iiiiiiiiii
- Ma allora non si possono fare i bambini da vestiti?
- Direi di no, Bibi. Da vestiti vestiti no
- Cioè come sono vestita io adesso, con la calzamaglia e i pantaloncini e la maglietta?
- Lo escludo
-...
-...
- Ma mamma, se serve per fare i bambini, allora... TU E PAPÀ L'AVETE FATTO!?

(- Ossignur, Cosci, ma devo davvero parlare di queste cose prima del caffè? E posso ridere, almeno?
- No, non puoi ridere. Anzi mantieni un contegno dignitoso che poi sta cose se le ricordano per tutta la vita)

- Sì, certo, l'abbiamo fatto
- E quando avete fatto me, ce l'avevi la canottiera?
- Non mi ricor... certo, Gatto, ce l'avevo di sicuro.
- E con me? con me eri nuda?
- Bibi, amore, non mi ricordo, son passati dieci anni!
- Guarda che non lo diciamo a nessuno...

(OMMIODDIO, manca solo che vadano a raccontare alle amiche... Bighiiiii! mannaggia che sei a fare giochi di società e brainstorming manageriale... Cosci, dove sei finita?)

- E ci mancherebbe anche quello!
- Beh ma l'ultima volta che l'hai fatto te lo ricordi, dai, con la Gabbianella, son passati solo cinque anni...

(Cosci, sappilo, non dirò una parola di più)

- Mamma, posso chiederti una cosa in segreto?
- Dimmi Gabbianella
- Ma quando ti baci nudo, devi farlo in pubblico?

Ok. Sono sveglia, anche senza caffè.

giovedì 3 dicembre 2015

Inverno a Shanghai

Che a Shanghai è arrivato l'inverno te ne accorgi perché i bambini indossano delle tutine rigonfie che li fanno somigliare all'omino Michelin, salvo che hanno il buco dietro. Ma il buco non importa, quello che importa è che il pupo non prenda freddo alla pancia, alle gambe e alla testa. Le chiappe, pazienza.

Che a Shanghai è arrivato l'inverno te ne accorgi perché le donne in motorino indossano gambali imbottiti e giubbini a rovescio, cioè col davanti di dietro, perché il vento si insinua anche tra i buchini della zip.

Che è inverno, qui a Shanghai, te ne accorgi perché i giardinieri arrotolano protezioni di foglie di bambù attorno alle palme, così non gelano nelle notti di nebbia, le ragazze indossano calzettoni di lana fino al ginocchio sopra alle calze collant, gli animalisti mettono le scarpe ai cagnolini infreddoliti e l'uomo che vende palloncini davanti allo zoo ha cambiato banchetto, e adesso vende castagne arrostite in mezzo al carbone, patate bollenti e, nei giorni di sole, pannocchie abbrustolite.

Te ne accorgi, che è inverno, anche perché la gente indossa le mascherine.
Ci sono vari motivi per indossare la mascherina. Uno è che negli ambienti chiusi e pieni di gente, come la metropolitana, eviti di sputazzare sul tuo vicino quando starnutisci, il che è un indicatore di estremo rispetto. L'altro è per la ragione opposta, cioè per evitare di inalare i bacilli altrui, nella stessa situazione di contiguità con l'umanità varia che intasa i mezzi pubblici sputazzando microbi quando starnutisce, il che è indice di una certa preoccupazione personale.
Ma la mascherina serve soprattutto per lo smog. L'inquinamento è molto alto, in questo periodo dell'anno, cioè quando arriva l'inverno, tanto che gli ospedali distribuiscono (a pagamento) mascherine con filtri al carbone attivo, i depuratori vanno a ruba e il cielo è così grigio che non vedi la fine dei grattacieli. 

Certe volte, quando pedali sui marciapiedi scampanellando come un carrettiere, senti l'odore delle macchine, senti il fumo che aleggia nell'aria entrarti nelle narici come se fosse di plastica.

Certe volte. Perché oggi, per esempio, il cielo è blu e il sole scalda la pelle, e sarà anche blu per colpa di qualche particella inquinante, ma intanto non si sta così male.
Lo dico perché sennò la nonna si preoccupa, eh, che girano sul web foto di una città perennemente avvolta nel fumo della nebbia che neanche in Blade runner, per dire.

Che poi, qui a Shanghai ci sono dei rilevatori di qualità dell'aria sparsi un po' ovunque, pure nei parchi pubblici, così uno passa di là e si fa un'idea Giusto un'idea, eh, ché se sulla panchina vicino al rilevatore si piazzano in tre a mangiare stinky tofu c'è caso che i valori si sballino tutti. Comunque.

Mica sto dicendo che stiamo sulle dolomiti, per carità. Anzi, vi do giusti giusti i valori rilevati da questa applicazione sulla qualità dell'aria che si chiama Air Quality China, per chi volesse controllare.
Adesso, mentre scrivo, alle 17 e 30 del 3 dicembre, il valore di PM2.5 è di 95, quello di PM10 72, Ozon è a 24, Nitrogen Dioxide 12, Sulphur dioxide 11, Carbon Monoxide 6. Lo dico per gli esperti, eh, perché a me questi valori non dicono assolutamente nulla.

E poi ditemi se voi sapete com'è l'aria lì, nella pianura padana. Che noi tra un po' si torna, e si vorrebbe sentire il profumo di lesso con la pearà, cotechino, prosciutto e panettone.

domenica 22 novembre 2015

Muri vuoti

Un muro liscio, grigio, con un buco che si vede appena. 
E poi un altro muro, vuoto. E un altro. E un altro. E un altro. Quindici volte.
E ogni volta, a guardarli, mettono una pena infinita. 

Chi ha subito un furto lo sa, come ci si sente. Rabbia, impotenza, tristezza, violazione. Quando qualcuno ti entra in casa mentre tu non ci sei, rompendo un vetro e frugando tra le tue cose, non ti ruba solo degli oggetti. Ruba un pezzo della tua memoria, della tua vita, della tua anima.
E tu non perdi solo un oggetto, perdi un legame con quello che gli oggetti rappresentano per te. Pezzi della tua vita.

Castelvecchio è il nostro museo. Ce ne sono tanti altri, con opere importanti, ma Castelvecchio è il nostro museo. 
È il nostro gioiello, l’abbiamo curato e restaurato e ci abbiamo lavorato e ci abbiamo messo dentro l’anima.
Per questo tutti noi, veronesi, ci sentiamo derubati personalmente, come se fossero entrati in casa nostra. E lo so che il museo è patrimonio di tutti noi italiani, che tutti gli italiani dovrebbero sentirsi, e forse si sentono, derubati. 
Ma per i veronesi è diverso.
Ci hanno portato via alcune delle nostre cose più care, ci hanno strappato pezzi della nostra memoria storica e personale.

Ci andavo con il papà, che mi raccontava tutto dei quadri e delle statue, e io lo seguivo nelle sale vuote di gente e piene di storia, e lui mi teneva per mano e qualche volta non diceva niente, e stavamo a guardare quella Madonna dolcissima e triste, e papà mi faceva notare quell’uccello ai piedi della Madonna, è una quaglia, diceva, una di quelle buone cotte col vino. E quel ragazzino coi capelli rossi, guarda come sorride, mi diceva, mostra un disegno al suo papà, se anche tu fai un disegno per il tuo papà poi il tuo papà lo mette in studio attaccato al muro. Era piccolo, quel quadro, ma è importante, sai, diceva papà, l’ha dipinto un pittore veronese, per questo ci teniamo tanto, si chiama Caroto, Giovanni Francesco Caroto. E io ho pensato che forse era una femmina, non un maschio, quella che sorrideva al suo papà, perché aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e ho pensato anche che non l’avrei mai dimenticato, quel nome, perché quel ragazzino che sembrava una bambina aveva i capelli rossi rossi, come una carota.
E com’era bello camminare nelle sale grandi, luminose, con i muri dritti e il non-colore che ti fa sentire la grandezza di ogni statua, di ogni quadro, e poi all’improvviso un muro arancione, e un buco nel muro da cui puoi vedere fuori un pezzo del giardino e della fontana.

E sembrava inespugnabile, il nostro Castelvecchio, la fortezza scaligera con il ponte levatoio e le mura merlate e le torri di guardia e tutto quel cemento e quell’acciaio che Scarpa ci aveva messo a tenere strette le sue tele. 
Sembrava inespugnabile, e Cangrande s’era pure levato l’elmo e lo teneva poggiato sulla schiena, come un cowboy sul suo cavallo bardato, e sorrideva dall’alto, guardando come era bello, adesso, il suo castello, in tempo di pace, con dentro tutti quei dipinti che hanno attraversato la storia, e quei turisti affascinati dall'architettura, e quei bambini a far cucù tra i merli e quella tranquillità che si respira dentro e fuori, come se fosse merito dell'arte se puoi sentirti in pace.
Ma forse non siamo in tempo di pace. 
E anche da qui le posso sentire, la rabbia e la tristezza dei veronesi nel guardare quei muri vuoti, che fanno sentire un vuoto dentro, perché sono la mia stessa rabbia, la mia stessa tristezza. 


mercoledì 18 novembre 2015

Chissà se funziona

Premessa.

Mi piace leggere. Adoro leggere. Fin da bambina ho sempre letto tanto, sono sempre stata circondata dai libri e trovo sia normale spendere soldi per comprare libri. Una casa senza libri è una casa senza anima. Per un certo periodo della mia vita, in verità, non ho avuto necessità di farlo, avendone così tanti a disposizione, a casa dei Wonderparents, da poter leggere per anni, ma questo è un altro discorso. 
Mi ricordo che tempo fa, passato quel periodo là, su una popolare via pedonale, alcuni ragazzi che cercavano di vendere certi abbonamenti per l'acquisto di libri chiedevano, come primo approccio, "quanti libri compri in un anno?", domanda alla quale facevo un po' fatica rispondere, perché mi toccava fare il calcolo, e insomma veniva fuori sempre più o meno una cinquantina, arrotondando (in eccesso o in difetto). E non sono neanche tanti, per alcuni. E poi dicevo che no, non volevo il loro abbonamento perché a me piace entrare in libreria. E insomma, a essere sincera mi piace anche, dato che ne ho la possibilità, entrare in libreria e comprare, toh, quattro, cinque, sei libri, dei miei autori preferiti, o anche di quelli consigliati, di cui ho letto una recensione oppure perché mi piace la copertina, ecco. Acquisti compulsivi, la verità.
C'è da dire però che non siamo mica tutti così, in famiglia. Qualcuno legge tanto, qualcuno poco, qualcuno niente. A proposito di quel discorso sull'influenza dell'ambiente eccetera.

Fine della premessa.


Questa è la settimana del libro, a scuola. Pullulano iniziative.

Lunedì, pigiama day. Vai a scuola senza vestirti, direttamente come sei quando ti alzi dal letto portando pure il peluche o la foretta*. Pare che la cosa faciliti la lettura. Immagino che sia per riprodurre l'atmosfera della quiete serale, quando normalmente si legge prima di dormire. Vi lascio immaginare la quiete.

Martedì, fiera del libro. Vai in giro per la scuola sventolando i tuoi remimbi per comprare uno due tre libri a caso, tipo l'ultimo libro di Barbie o una riproduzione cartacea dei Pirati dei Caraibi (fascino di Jack Sparrow). Data la premessa, purtroppo non posso dire nulla.

Mercoledì, giornata del travestimento. Vai a scuola vestito come un personaggio del tuo libro preferito, e con il tuo libro preferito. Segue sfilata. (E no, non puoi riciclare il vestito di halloween).

Giovedì, fiera del libro. Aridaje.

Venerdì, consegna della busta con i soldi raccolti le settimane precedenti, durante le quali un adulto a caso (nonni, dove siete?) si è impegnato a dare una mancia per ogni minuto (minuto!) che il pupillo ha speso a leggere. Più minuti, più soldi, più premi e cotillon. Grande festa. Finalità benefica, al solito.


Sto cercando di ricordare quando hanno avuto lezione per due giorni di fila.
Ma la vera domanda è: funzionerà? O è solo questione di carattere, di inclinazione personale? E soprattutto, voglio davvero una risposta?


*per i non veneti, guanciale

lunedì 9 novembre 2015

Due ore e 26 minuti

C'era un sacco di gente, ieri, alla International Shanghai Marathon.
Un fiume di persone con la maglietta gialla, che la Nike quest'anno le ha fatte tutte uguali, mica diverse per ogni corsa come l'altra volta.
Io ci ho fatto scrivere il mio nome cinese, dietro alla maglietta. Sai mai che qualcuno volesse seguirmi, almeno sapeva chi ero. 
E si correva bene, ieri, con l'aria frizzantina di mezzo autunno e tutti che ridevano e si divertivano, ché vabbè che correre è una cosa seria, ma mica bisogna per forza essere seri.
E lungo la strada, dietro le transenne, c'erano tanti bambini che allungavano la mano ed erano felici se passando la sfioravi, come se fossimo supereroi, e poi le cheerleaders con le magliette I Love SH, i ragazzi con le parrucche e i tamburi, le vecchiette in divisa rosa con le bacchette, tutti a gridare, a incitare, a farti ok con il pollice, e insomma a correre così ti pare di fare un'impresa, anche se corri solo la mezza maratona e a correre con te ci sono pure dei vecchietti.
E che bello correre in mezzo alla strada, guardare i grattacieli da un'altra prospettiva, ritrovarsi all'improvviso in strade conosciute che hai consumato a camminarci, e poi sorridere al fotografo che ti inquadra, e non la senti, la stanchezza, fino a dieci chilometri, e ti sembra strano ma hai ancora un sacco di fiato e voglia di correre, e corri con un sorriso stampato in faccia, e ancora stai bene a sedici chilometri, poi un po' senti la fatica nelle gambe, ma mancano solo cinque chilometri alla fine, e se provo a fermarmi le gambe si ribellano, sembra che non vogliano e quindi prendo bicchieri di gatorade al volo e continuo a correre, e bere correndo non è niente facile, e questo pezzetto di radice intrisa di salsa di soia è quasi buona, a mangiarla mentre mancano due chilometri, e no, non ci pensi proprio a fermarti, a camminare un po' come stanno facendo alcuni, sei quasi alla fine, e c'è un rettilineo con tutta la gente assiepata come nelle gare che vedi in tv, e tutti gridano e fanno il tifo proprio per te, per me, e quindi corro e c'è un arco con scritto finish e un mucchio di fotografi, e alla fine arrivo e smetto di correre. 
Mi hanno dato anche una medaglia. Sono cose.

mercoledì 21 ottobre 2015

Di ragù, di corsa e di giuste abitudini

Mi sono scottata un labbro. 
Da scema, proprio, che stavo preparando il ragù con questo macinato cinese che mi sembrava duretto, la verità, e quindi era lì a bollire da due ore, e l'ho assaggiato.
Volevo fare una sorpresa alla Gabbianella, che mi chiede sbattendo le ciglia dei suoi occhioni tondi se le preparo il pasticcio che le piace tanto, e me lo chiede da quando siamo qui e non gliel'ho mai fatto, e alla mattina che eravamo un po' in ritardo (va' che novità) mi aveva chiesto con voce gentile, mentre cercava le calze nel mucchio di biancheria lavata, Me la prepari tu la borsa per suimin, eh mamma? E io le avevo detto Certo amore, ci penso io, e mentre finivo di bere il mio caffè pensavo che ci mancano proprio dei quadri, in questa sala, e che quello di Emilio mi sarebbe piaciuto proprio e ci sarebbe stato anche bene, e mentre pensavo la voce della Gabbianella mi arriva da lontano e dice Il costume lo metto addosso, così faccio prima, eh mamma? Che lei finisce sempre le frasi con eh mamma e un accenno di punto interrogativo, come se avesse bisogno di una conferma tutte le volte, o forse perché vuole distrarmi dai miei pensieri. Così io le dico che va bene, anche se non va molto bene, se poi le scappa la pipì deve spogliarsi completamente, e glielo dico ma le mi guarda coi suoi occhioni tondi e intanto comincio a sparecchiare la colazione, metto il latte in frigo i biscotti nello scaffale in alto tazze e cucchiaini da lavare e vedi come fa in fretta a passare il tempo, non faccio neanche in tempo a lavarmeli io, i denti, vabbè lo faccio dopo, e nella confusione non riesco a trovare il porta cellulare da braccio, che mi serve quando corro perché con l'applicazione della corsa vedo quanti chilometri faccio e in quanto tempo e anche se certe volte sarebbe meglio che non lo sapessi, così potrei fingere con me stessa di andare forte, in realtà la uso sempre così ascolto anche la musica.
E corro, con il cellulare nella tasca interna dei pantaloncini, che è dietro e non è neanche tanto grande e quando una volta l'ho tirato fuori per vedere se funzionava, che non sentivo più la vocina che dice quanti chilometri stai facendo, e infatti non c'era il segnale gps, e questa è una cosa che chi corre lo sa che fa venire il nervoso; quando l'ho tirato fuori e poi imprecando l'ho rimesso in tasca, non ho trovato la tasca, e il cellulare scendeva scendeva giù per la natica finché non l'ho tirato fuori dalla chiappa. Per dire a quanto serve la fascia porta cellulare, che uno non ci crede. Comunque. 
E si sa che quando si corre si tende a svuotare la testa, voglio dire, quando uno che non corre ti chiede Ma tu a cosa pensi quando corri? (perché una domanda così può farla solo uno che non corre, la verità) in genere non è che sai rispondere, inventi un po', ascolto la musica, faccio programmi per la giornata, cerco di guardarmi intorno e memorizzare i nomi delle strade, mi dico Ma non è ancora passato un altro chilometro?, poi non mi ricordo a cosa penso, sinceramente, ho proprio l'impressione di non pensare a niente. 
E invece è impossibile non pensare a niente, è un fatto scientifico proprio, il cervello non può stare senza pensare, questa cosa dello Svuota la tua mente è una cagata pazzesca, pure di notte pensi, che se pensi delle cose belle, sogni, sennò fai anche degli incubi, alle volte.
E quindi no, non è mica vero che non penso a niente, mentre corro, specie se corro per più di un'ora, e infatti mentre sto correndo sulla Xianxia lu e il sole mi acceca e una goccia di sudore mi entra in un occhio, e un po' brucia, la verità, che ti rendi conto di quanto è salato il sudore se una goccia ti entra in un occhio, mi viene come una illuminazione, e mi rendo conto che non gliel'ho mica preparata, alla Gabbianella, la borsa di swimming. 
Sono cose.
E niente, per farmi perdonare ho pensato di preparale il pasticcio, e ho fatto il ragù con questo macinato cinese che mi sembrava duretto e l'ho lasciato cuocere per più di due ore, e siccome qui non ho trovato il dado che di solito metto nel ragù, ci ho messo il sale, e mi è venuta questa bizzarra idea di assaggiarlo, per sentire se era salato abbastanza, e questa cosa di assaggiare primo avrei dovuto arrivarci che scottava, dato che cuoceva da due ore, secondo non so come mi sia venuta in mente, ché a casa mia non si assaggia, in effetti, si cucina così e poi, come dice il Prof, si raccoglie dai commensali il giudizio, tardivo e irrilevante, sulla sapidità e sul punto di cottura. 
E si fa bene, a quanto pare.

lunedì 12 ottobre 2015

Cliché adolescenziali

La vita di compound può essere assai gradevole, la verità. Si vive come in un grande villaggio vacanze, con la piscina, i campi da tennis, i parchi giochi per grandi per piccoli e per minuscoli, ognuno ha la sua casetta ma i bambini girano liberi con i monopattini, le biciclette, gli skate e anche quelle monoruote che si muovono col peso, hai presente? Le strade all'interno sono strette e rese ancora più strette da vasi di piante che impediscono alle auto di andare troppo veloci, e inoltre l'ingresso è molto controllato, si entra solo se si abita qui o se si è invitati.

Ci sono telecamere ovunque, quindi non puoi neanche prenderti un ramo secco per fare del puttanage bricolage senza che il management lo sappia, e nemmeno fregare la pianta verde del vicino per sostituire la tua rinsecchita. Le guardie in bicicletta accompagnano i taxi in entrata per verificare che vadano dove hanno dichiarato di andare, e girano costantemente per controllare che tutto sia a posto. Se ti dimentichi i fari accesi ti chiamano a casa per avvertirti, per dire. Sicurezza piuttosto alta, quindi, anche se a tratti vagamente inquietante.
Il vantaggio di questo mondo di frutta candita, insomma, risiede proprio in questo: nella completa libertà di movimento delle petunie, che giocano all'aperto e fanno amicizia con molta semplicità, e nella libertà, diciamocelo, che questa loro libertà concede alla Wonder, che ha la possibilità di scrivere, leggere e cazzeggiare cucinare in santa pace.

E però ci sono dei però.
Per esempio, ti ritrovi bambini altrui davanti alla porta di casa, nella migliore delle ipotesi, o direttamente dentro casa anche se sei in mutande, nell'ipotesi intermedia, e in quella peggiore li becchi in cucina con in bocca la focaccia che avevi comprato per cena.
Oppure all'ora di cena devi prendere la bicicletta e andare a cercarle, perché si dimenticano di tornare a casa, nonostante abbiano il coprifuoco alle prime avvisaglie di buio (che qui si manifesta intorno alle sei).
L'eventualità più snervante, tuttavia, si dà quando sono loro a ficcarsi in casa di qualche amichetto, senza preventivamente avvertire.

- Ma dove c@€€% sono andate a ficcarsi quelle tre?
- Calma Wondy, sono qua in giro, dove vuoi che siano
- Eh, intanto qui in giro, come dici tu, non ci sono. E poi, Cosci, non sei tu che pedali come un'idiota per il compound. Sono proprio curiosa di sapere dove sono. Quando tornano a casa mi sentono...
- Saranno a casa di qualcuno
- Certo, a proposito di ospiti indesiderati. Ma poi è l'una e mezza, che diamine, la gente non mangia? Non se ne accorgono che sono tre in più? Che poi mica mangiano poco, le nane.
- Ma va' che le sfami con poco, dai. Quant'è che non fai un arrosto?
- Scherzi, Cosci? Qua è già tanto trovare un pollo con due zampe sole. Si vantano di usare l'olio geneticamente modificato, qui, è una sciccheria, non so se mi spiego. Melone pompato, uova che rimbalzano, c'è la pubblicità della carne senza ormoni, ti dice qualcosa?
- Ecco, appunto, un'altra ragione per affamarle.
- Mi stai dicendo che vanno in giro per il compound a cercare cibo? O stai solo cercando motivi per difenderle?
- Stanno giocando, la fame non la sentono finché non c'è profumo di pizza.
- Gliela faccio sentire io la fame, se non arrivano entro tre minuti...

E quindi l'incazzatura ha cominciato a crescere. E quando le tre nane sono finalmente rientrate, a seguito di telefonate sparse, è partito l'embolo, come dice l'amica AleSarda.
Così, alla fine l'ho pensato.
Non l'ho detto, ché mi pareva un cliché talmente anacronistico che poi finiva che mi mettevo a ridere, e non avevo intenzione di ridere.
Ma insomma, per la prima volta ho pensato davvero questa casa non è un albergo!, e mi è sembrato un po' presto, ché io mi pensavo che questa casa non è un albergo! si dicesse ai figli adolescenti, tipo, e anche un po' più in là.

giovedì 8 ottobre 2015

De mortuis nil nisi bonum

Volevo scrivere un post su quante applicazioni per cellulare ti servono per sopravvivere a Shanghai, o anche in Cina, in alternativa (che Shanghai non sia esattamente Cina è cosa che oramai pare assodata). Ce l'avevo bello pronto, con scritto cose a proposito di vpn, wechat, airchina, smartshanghai, uber, mappe varie, traduttori, convertitori di valuta, musica gratis, quelle per iPhone e quelle per Android e quelle che funzionano per entrambi.

E niente, il cellulare è morto. Una breve agonia, tre vibrazioni in tutto, e poi il buio dello schermo, nessun respiro, nessun segnale. Una specie di nemesi, qualcuno sarebbe tentato di pensare. Vabbè.

Ora, che sia possibile sopravvivere a Shanghai senza avere sul cellulare la mappa della metropolitana è piuttosto prevedibile, visto che puoi andare nella suddetta metro e prenderti una mappa cartacea che ha il vantaggio di essere anche più grande, o guardare quella appesa al muro, la verità. 

È anche possibile andare a correre alla mattina senza sapere se l'inquinamento è sopra i 200 punti, tanto è più probabile che schiatti investita da un tir piuttosto che intossicata dalle polveri sottili.

Se non sai quanto sono 156 remimbi, il massimo che ti possa succedere è che ti vendano un lettore Bluetooth al doppio del suo prezzo reale, per quanto si potrebbe anche far ricorso alle tabelline, che tanto le devi ripassare comunque se vuoi aiutare le nane in matematica. E poi se non hai chiaro quanto possa valere un dollaro di Hong-Kong la cosa non è che ti rovina la giornata.

Se non hai Uber, pazienza, aspetterai un taxi libero sulla strada, e se ci vorrà mezz'ora perché tutti i taxi liberi sono prenotati da qualcuno che usa Uber, potrai sempre finire il capitolo del libro che hai in borsa.

QQMusic, ecco, questa è un po' più difficile da perdere. Se non hai qqmusic, non potrai scaricare la tua musica preferita, è vero. Però diciamocelo, questa app è un po' english oriented, non ci trovi neanche A modo tuo di Elisa, per dire. Come si fa.

Non sai dove ti trovi? Leggi i nomi delle strade, cammina, perditi, tanto hai tempo, e se non sai come tornare a casa ferma un taxi, ché al limite dovrai aspettare mezz'ora potrai leggere l'ultimo capitolo etc.

Vuoi un ghiacciolo alla fragola e non sai come si dice? Vai al frigo e indica quello rosa, alla peggio ti ciuccerai un ghiacciolo ai fagioli rossi, che sarà mai. Gesticola, inventa, indica col dito, fai un disegno, usa la fantasia e vedrai che qualcuna delle parole che avevi studiato ti ritorna magicamente alla memoria. Non contare su quest'ultimo punto, magari.

Ricomincia a usare la macchina fotografica, ché di sicuro le foto ti vengono anche meglio che con lo smartphone, anche se pesa una tonnellata e non ci sta nella pochette, mettitela al collo e fai la turista, c'è qualche vantaggio anche nel mostrarsi meno abituati alla città di quanto tu non sia realmente. Non puoi postare le foto su Facebook, è vero, ma forse in fin dei conti non ti sorprenderà sapere che ai tuoi amici di Facebook non gliene frega una cippa delle tue scarpe da corsa asics gel kaiano 21 nuove di zecca, e se anche sparisci per qualche settimana da tutti i social, è triste da dire ma nessuno se ne accorgerà.

Niente wechat? Vedila così, non ci sono più gruppi di scatenate che ti invitano a lezione di Zumba, yoga, bootcamp o pilates, né mamme che chiedono quali sono i compiti di literacy, né inviti a festine o play date o, peggio, i temutissimi sleepover. 

Perché il fatto è che ci siamo abituati ad avere tutto comodo, a portata di click. Ci pare normale non sapere come si dice cavo elettrico in cinese e vedercelo apparire magicamente scritto sul display.
È comodo cercare un negozio, un ristorante, un museo e sentirci guidare da una voce che ci fa svoltare a destra o a sinistra e ci dice anche quanto tempo impiegheremo per arrivarci.

Però questo strumento è anche subdolo. Ci isola, con la scusa di connetterci con il mondo.
Non facciamo neanche più lo sforzo di parlare, mandiamo un messaggio, che quello non costa niente, con queste applicazioni che funzionano via internet. Faccette, icone, adesivi per cercare di esprimere tutte le sfumature di una frase che se la sentissi, a voce, non avresti dubbi. Se poi ci si guardasse negli occhi mentre si parla, a volte non avresti neanche più bisogno di dirle, le cose.
A volte, forse, non hai il coraggio di parlare, perché sono difficili da dire, certe cose, a voce. È molto più faticoso, se devi guardare in faccia le persone, e se devi sostenere lo sguardo di chi hai di fronte. E certo, viene comodo scrivere: dietro uno schermo dove nessuno vede cosa provi puoi dissimulare qualsiasi sentimento, puoi fingere molto più facilmente, puoi anche far finta di non aver visto il messaggio, non rispondere, nasconderti, sparire. Costa di più, a volte, parlarsi dal vivo. Restare in piedi, non voltare la faccia, non vergognarsi di quello che si prova, sopportare la reazione di chi ci guarda anche se non ci piace e lasciarci guardare.

Però ormai non possiamo più farne a meno.
Dovrò comprarmi un cellulare nuovo.


giovedì 17 settembre 2015

Elogio dell'abitudine, ovvero Della contraddittorietà di certe riflessioni mattutine

Cara Oriana, mi sei venuta in mente stamattina mentre mi lavavo i capelli sotto la doccia. Sì lo so che sei morta, pochi giorni fa in effetti, sì lo so nove anni fa ma hai capito cosa intendo, e non è che ci sia stato tanto rumore sull'anniversario, almeno da qui, in giro per il mondo ci sono un sacco di casini, avrai sentito, la Siria, le migrazioni, Shengen, la Pennetta, la non-teoria gender (e ci manca la tua voce, su questi argomenti), miss Italia, insomma sai, un trafiletto magari te l'hanno anche dedicato ma poca roba.
E dire che sei ancora l'icona del giornalismo italiano nel mondo, e non solo, voglio dire, qualsiasi donna vorrebbe assomigliarti almeno un po', perfino Elisa di Rivombrosa, pensa te.

E mentre ero sotto la doccia, a insaponarmi i capelli con questo shampoo cinese, mi è venuta in mente una cosa che avevi detto a proposito dell'abitudine, e sono andata a cercarmela. Dopo, intendo, finita la doccia.
(Ho avuto un pensiero sulla vita grama dei tempi senza Google, ma transeat).

«L'abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subir ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L'abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s'è adeguata, ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci».

Ammazza se scrivi bene, Oriana. Uno resta incantato, a leggere le tue parole.
E sono d'accordo. L'abitudine è una bestia subdola, è un maledetto parassita. 

Solo che a pensarci bene, questa cosa dell'abitudine alle volte, secondo me, ci salva.
Mi spiego. Non tutti hanno la forza di reagire all'abitudine, qualcuno addirittura ci si trova bene, come certi animali cresciuti in cattività che poi non riescono a tornare liberi, lasciati soli si sentono persi, senza riferimenti, senza casa.
Ci vuole tanto coraggio per liberarsi dell'abitudine, o per non cascarci dentro, e lo so che tu ne hai parecchio ma porta pazienza, qua si parla di persone normali che fanno una vita normale, mica reporter di guerra, che poi voglio dire uno adesso può diventare famoso per una foto di un bambino su una spiaggia, quando la reporter la facevi tu era un po' diverso, e comunque la maggior parte di noi non ha mai visto la guerra, la giornata è fatta di figli marito scuola merenda compiti lavoro cena lavatrici, ma ci vuole coraggio anche per tenere insieme una casa, una famiglia, alle volte.
E quel coraggio che scorre sotto le tue parole, che tu rimproveri agli altri di non avere, e che forse talvolta è mancato anche a te, in certi casi, potrebbe anche essere definito egoismo, alle volte.
Voglio dire, certe volte, non sempre ma certe volte, è più facile rinunciare all'abitudine come se fosse un cappello che ci nasconde la faccia, un fardello che ci schiaccia, via il cappello, senti che bell'aria fresca, via questo peso, va' come mi sento leggera, ma quella che tu chiami abitudine a volte è solo noia, che uccide, certo, ma non tanto quanto l'abitudine, forse.

Certo, quando parli di abitudine tu intendi l'abitudine dei popoli alla sottomissione, all'oppressione, alla censura, è così? l'abitudine all'inferiorità, alla mediocrità, alla mancanza di cultura. La tua vita fa pensare che tu intenda questo, quando parli di abitudine alle catene, alle ingiustizie, alle sofferenze.
E vabbè, hai ragione, da qui, da questo Paese dove l'oppressione la senti nell'aria, la censura la sperimenti tutti i giorni, la sofferenza la vedi e le ingiustizie le percepisci in maniera netta dalle notizie che scivolano via dalla censura ma anche nel vedere la Ferrari gialla che si fa strada e strombazza al carretto che trascina montagne di cartoni su cui sta seduta una donna triste, da qui, dico, quello che scrivi sembra tanto più vero, più universale, e anche meno astratto, la verità.

Ma nelle tue parole si può leggere anche di un'abitudine più quotidiana, più terra terra, via.
Quella che fa dire cose tipo Ormai ci ho fatto l'abitudine, come a dire che non ti importa più molto, di quella cosa lì, tipo andare a pranzo dai suoceri tutte le domeniche, o restare da sola la sera mentre lui va a giocare a calcetto, o mangiare la sbobba della mensa aziendale. 
E in realtà non è vero che non ti importa più, solo hai imparato a conviverci, a non arrabbiarti tutte le volte, a non farti venire i nervi. Magari approfitti del pranzo dai suoceri per lasciare i bambini e fare un giro in centro; e mentre lui ha la partita tu guardi un film che lui odierebbe che nel titolo contiene Autunno o Amore o un quartiere qualsiasi di New York oppure tutte e tre le parole insieme; e in mensa ti porti la doggy bag con l'avanzo dei maccheroni di ieri sera. 
È un sistema di sopravvivenza, l'abitudine.

Voglio dire, anche nelle situazioni di cambiamento, in cui ti metti in gioco, in qualche modo, in cui cerchi di vedere le cose da altri punti di vista, spostandoti un po' più a destra, o più a sinistra, o magari più in alto o più in basso, a volte, quello che ti senti dire per la maggior parte delle volte è Ci devi fare l'abitudine, e pare una cosa positiva, detta così.

E infatti, mentre consoli la Gabbianella che ha un momento di sconforto perché ancora non ha fatto amicizie dato che non parla inglese, e non vuole andare a scuola e sembra così disperata, mentre la tieni stretta e cerchi di rassicurarla, pensi che deve ancora abituarsi al nuovo ambiente, e che appena avrà preso confidenza con tutte le cose nuove, l'inglese il maestro che sembra Denzel Washington il cibo il cinese i nuovi compagni, appena si sarà abituata andrà tutto bene.

Oppure senti dire, o dici, Non mi ci abituerò mai, e la cosa non sembra avere un'accezione così positiva, in fondo, voglio dire non ha quasi mai il tono di sfida (Non mi ci abituerò mai!), piuttosto il più delle volte sembra rassegnazione (Non mi ci abituerò mai...), come se fosse una sostanziale incapacità di adattamento, e la capacità di adattarsi è quello che fa sopravvivere la specie. Magari non evolve granché, la specie, è vero, ma è quello che ci ha fatto uscire dalle caverne, camminare diritti, guardare il cielo. 
Lascia perdere facebook, quello è una deviazione.
E non è l'adattamento una specie di abitudine? Non ci hanno martellato con questa necessità di adeguarsi al cambiamento, il topo e il formaggio e quelle altre menate da manager? O lo spirito di adattamento si riferisce solo alla capacità di inventarsi un menù quando hai il frigo vuoto?

E quindi mi insaponavo i capelli, e maledicevo, sì, l'odiosa abitudine, questa capacità di adattamento che ci accomuna alle bestie, in fondo, perché anche loro si abituano, mannaggia a loro, anche allo shampoo, sti cazzi di pidocchi, diventano immuni, e lo shampoo lo devi cambiare, ogni tanto, altrimenti non funziona più, stasera rifaccio il trattamento a tutte e tre, ma non mi faccio prendere dal nervoso, ah no! È così tanto tempo che ci convivo, maledetti parassiti, e non riesco a liberarmene.
E sì, Oriana, mi ci sono abituata, e ormai non mi ci arrabbio più.

martedì 15 settembre 2015

Pensieri di corsa

Musica ok, gps ok, seleziona sport, ok, vado. Cosa devo fare oggi? ah sì, portare le camicie a stirare, almeno quello lo faccio fare dai. Chissà se ci sono ancora fuori le anatre sventrate appese a testa in giù, basta che stiano comunque lontane dalle camicie, because we can if you believe in we we caaaaan, va' che anche Bon jovi l'han silurato, cos'è quello un topo? ah no uno scoiattolo, meno male, vabbè che di topi ce n'è a mucchi, cos'è che avevo letto quella volta, ci sono più topi che abitanti a Shanghai, quattro volte tanto, chissà se mi ricordo giusto

vorrei appendere un quadro tipo quelli che fa Emilio, quei ritratti di musicisti famosi, chissà se ne ha ancora e me ne vende uno, ocio al motorino, mi sposto sul marciapiede va' che è meglio, ti trovo dentro ogni ricordo, pista pista piiista mucchio di canne di bambù incustodite cosa potrei farci? dimmelo dimmelo dimmi dimmelo per dimenticare ci sarà un posto dove l'aria non parla di te

ho in mente delle cose ma qui il tempo passa, chi troppo pensa nulla fa, ammazza però non mi sputare sui piedi hai voglia che ti compro le verdure tutte stese sul marciapiede schifoso, cazzo qua si scivola quasi ci lascio la chiappa meglio se torno giù sulla strada, questi carretti mi fan passare sì? I crash my car into the bridge I dont care I love it certo che attraversare col rosso è rischiosetto ma che faccio sennò aspetto il verde, mi si sballa la performance, vabbè che sto gps ha smesso di funzionare da mo' meno male che più o meno si sa che son otto chilometri I push my car into the bridge I wish I let it bang e questa si chiama long jin lu è proprio lunga saranno tre chilometri solo questa

guarda un po' il fiore di gubei lu pare diverso visto da sotto, certo che è kitsch forte quella roba lì, yellow diamonds in the light and we're standing side by side as your shadow crosses mine what it takes to come alive occhio l'ombrello questi stan sempre sotto l'ombrello sole e pioggia fa niente we found love in a hopeless place saran passati sei chilometri sì? mannaggia sto gps, voglio un garmin, tutti i runner seri hanno un garmin, regaaaalo ecco compleanno che idea vorrei anche le cuffie senza fili, queste mi cadono dalle orecchie mannaggia ogni volta mi tocca sistemarle e poi funziona una sola

I could stick around and get along with you, hello it doesn't really mean that I'm into you, hello you're alright but I'm here, darling, to enjoy the party nananana to enjoy the party nanana ah ciao com'è che ti chiami non mi ricordo afef forse ah stai andando piano che sei all'allenamento lungo, ma lungo cosa vuol dire? ah venti certo e quindi vai piano quanto? ok vai vai non voglio rallentarti ciao eh ma perché questi che corrono non hanno un fisico spaziale, che magari una si sentirebbe più invogliata, un tantino, però guarda come va, altro che piano, io vado piano no lui, insanity da Ironman, io adesso mi preparo per la mezza, sai mai che finisco tra gli eletti che possono partecipare a questa shanghai marathon, 54 minuti, benino dai, yes it's all alright I guess it's all alright I have nothing left inside of my chest but it's all alright...

giovedì 10 settembre 2015

Incontri estremi

Per chi non avesse idea della viabilità dei sobborghi shangaiesi, sappiate che in genere le strade sono a quattro corsie per senso di marcia, più una riservata a bici e carretti e motorini alcune volte separata dal resto della carreggiata da un piccolo marciapiede ricoperto di piante.
Queste strade, in genere sovrastate da sopraelevate di uguali dimensioni (ma senza la corsia per i carretti), incrociano strade più piccole che poi incrociano stradine più piccole che incrociano vicoletti stretti dove a stento passano due veicoli, vale a dire una bici e un motorino, per via dell'ingombro di merce delle botteghe e carretti parcheggiati e gente seduta fuori da una catapecchia che guardandoci dentro ci vedi un lavandino e un tavolo e un televisore e magari anche un vecchio che mangia da una ciotola annerita, ma che fai molta fatica a definire casa.
Comunque.
Le regole della strada sono un po' vaghe, cioè a dire seguono solo in parte quell'invenzione curiosa con le lucine rosso verde giallo, che risultano essere tutt'al più una indicazione di massima.
Il fatto poi che per svoltare a sinistra uno debba andare nella corsia centrale costituisce un altro dei tanti misteri della Cina, tipo Come fanno a stare impilate le montagne di sedie di vimini sul carretto senza cadere? Che fine fanno i dissidenti del regime? Perché il mocio si mette ad asciugare sulla testa delle belve all'ingresso dei templi? Come fa il governo a far piovere su Pechino quando vuole? Quanto dev'essere lunga l'unghia del mignolo di un tassista?
Domande che non ci dormi.

Ma sto divagando.
In genere, la precedenza è di chi se la prende, la gente strombazza senza requie contro i vari ingombri, cioè gli altri veicoli, i quali altri veicoli continuano a fare quello che stavano facendo con invidiabile calma zen.
Va da sé che girare in bicicletta costituisce un'attività da discretamente pericolosa a estrema, di quelle che puoi chiederci la sposorizzazione alla Sector per intendersi, giacché rischi l'infarto a ogni colpo di clacson a due centimetri dal tuo parafango e la stiratura dei capelli a ogni passaggio di camion. Eh, lo so, dovrei munirmi di cuffiette e cantare a squarciagola I'm on top of the world, che tanto qui non ti si fila nessuno, e star contenta della messa in piega gratuita.

E vabbè, poi tra i rischi connessi c'è anche quello di perdersi. Che sarà mai.
Che a me sta anche bene perdermi, in generale, tanto più che in bici fai poca fatica a macinare chilometri, puoi fare delle prove, andare per questa strada qua che mi sembra vada nella direzione giusta, diciamo verso sud? Ah no, poi svolta. Ammazza che svolta, torna al punto di prima? Ah no, è un altro punto, e infatti questo ponte non l'avevo notato. 

Guarda lì, un uomo con una tartaruga appesa a una canna, che ci fa? Ci pesca? Cioè puccia la bestiola nel fiumiciattolo e la tira su con il pesce nella bocca? Mica è un cormorano, pora bestia. Magari la tiene per bellezza. O come portafortuna, certo.

E guarda questi come puliscono la macchina... Una Lamborghini? Sarà mica fake? Epperò, va' che bell'arancione ciocco, come il vaso da fiori che volevo comprarmi, e d'altra parte se hai una Lamborghini mica la scegli blu. Però, una Lamborghini arancione fa sempre la sua porca figura, diciamocelo, ma in mezzo ai carretti e alle anatre appese pare strana, la verità.

E questo con la maglia tirata su e la pancia di fuori che è, un nico? Abitudini del sud del mondo, pare. Neanche fosse Paul Bettany, c'ha na panza peggio di Maradona dopo il pranzo di natale.

E quella? Quella sagoma mi è familiare... manoncipossocredere, la Cucinotta.
Ecco dov'era finita, stampata sul cartone della gelateria a pubblicizzare i quattro gusti del gelato cinese dietetico, che sono fagiolo rosso, alga, cetriolo e cardamomo, ci scommetto. Pure a grandezza naturale. Quasi naturale, ché questi se vedono le tette della Graziona grandi così ci fanno un infarto. L'hanno ridotta a dimensione cinese. 

Meglio se vado a casa, va'. La strada la trovo, prima o poi.

mercoledì 26 agosto 2015

E tu chiamalo fitness

L'atteggiamento degli espatriati nei confronti degli altri espatriati, come ho già avuto modo di sottolineare, è di iniziale completa amichevole apertura.
Poi, con il passare del tempo, fai le tue selezioni personali e alcuni non li vedi più. Ma intanto.
 
In generale, c'è una specie di solidarietà che aleggia, un incrocio di sguardi complici di fronte alle curiosità cinesi, una facilità altrove sconcertante di invitarsi a pranzi, pomeriggi di gioco, tè e altre varie attività per nullafacenti.
Voglio dire, se incontri al parco una filippina con la bambina che ha l'età della tua, mica l'inviti a casa per la merenda. Qui sì.

Comunque, tra le varie attività per nullafacenti, il fitness occupa uno spazio decisamente importante. 
No, non me n'ero mai accorta prima, per il semplice motivo che dove vivevo prima non c'era vita di compound, i vicini, a parte Doris e il Maxdad, erano quasi tutti cinesi arricchiti e ognuno si faceva un po' i fatti suoi. 

Qui invece è molto diverso. In questo mondo di frutta candita, secondo la felice definizione dell'amica Umami, dove i prati sono sempre verdi e l'erba non più alta di tre centimetri, i cespugli tutti rotondi e gli alberi tutti dritti, potresti vivere agevolmente senza mai uscire (che tristezza) e trovare attività ogni giorno diverse per impegnare la tua mente poco fantasiosa e il tuo fisico rammollito.
Che uno pensa, sì, che figata, vado anche io alla mattina presto a correre in palestra, ci vado giusto dopo aver portato le bambine al pulmino, prima delle otto, ci sarà nessuno a quell'ora.
Che sbagliavo non è neanche da dire, ovviamente.
Ma il punto non è tanto il fatto che c'è pieno di gente che suda sul tapis roulant, che fa pesi, vogate, ciclette e panca alle sette e quaranta del mattino.
Il punto è che qui lo fanno seriamente. Voglio dire, la gente qui corre le maratone, va a comprarsi la bici in Canada che costa meno, si fa un'ora di allenamento in vasca prima dell'ufficio, va in Australia per la gara X e in Vietnam per la gara Y.

Vabbè, non mi farò prendere dalla smania olimpica, credo.
Ma intanto lunedì sono andata a correre.

Ve l'ho detto che pioveva? Assì, ve l'ho detto.
Tutta colpa di questo tifone che ne ha fatte di ogni colore, si chiama Goni, che a sentirlo così parrebbe anche innocuo.
Comunque, la notizia è che lunedì sono andata a correre (in palestra, che vi credete, mica ho le branchie). Anzi no, non è mica questa la notizia. Vi spiego. Per tornare a casa ho dovuto affrontare il fiume in piena che scorreva per le strade del compound, e nonostante i miei sforzi per passare da un rallentatore all'altro onde evitare di pucciare i piedi fino alle caviglie, ho dovuto con un certo disappunto arrendermi alla furia degli elementi e ho improvvidamente immerso le mie Mizuno (con i miei piedi dentro) nel suddetto fiume, che per inciso ho scoperto essere un affluente del lago davanti a casa.

La faccio breve. Le mie Mizuno sono morte. Defunte, scollate, kaputt.
Lì per lì ho pensato che potevo anche rimettermele, giusto per fare una corsetta di mezz'ora, e vedere se reggevano ancora, sai mai. Mica posso correre con le zeppe.
E insomma sono lì che racconto questa cosa a Michal, israeliana con look sportivo, mentre saluto con la manina le cucciole sul bus, e lei, occhi nocciola e capelli uguali, come se fosse la cosa più normale del mondo mi dice che ha un paio di scarpe quasi nuove, cioè non rovinate o altro, solo usate un po' ma sembrano nuove, che lei deve buttare perché sai, dopo 500 km è meglio sostituirle, ma mi dispiace tantissimo buttarle perché vanno ancora bene, però se corri così poco sono ok, qualche settimana ancora possono durare, il tempo che ti arrivi il container (glielo dico che nel container non ho altre scarpe da corsa? Naaa, non glielo dico), il numero dovrebbe starti perché io le prendo sempre più grandi, perché poi ti si gonfiano i piedi quando corri per 30/40 km, poi io ne ho tante, mi fa, e non vorrei prendere qualche colpo e infortunarmi, sai, mi sto preparando per l'Ironman a dicembre in Australia...
Ecco.
Così, per darvi un'idea complessiva.

Mi sono sorpresa a dire che era una idea grandiosa, che grazie se mi vanno bene le prendo senz'altro, vedi alle volte il caso. 
Quindi, ho un paio di scarpe nuove. Nike. Di quelle da running, per davvero. Blu e rosa con i lacci giallo fosforescente. 
Le amiche Mizuno le ho salutate con breve ma sentita cerimonia.
Ma pensavo, quando mai in Italia avrei accettato un paio di scarpe usate ma tenute bene da una conosciuta al bar il giorno prima?
Sono cose.

lunedì 24 agosto 2015

L'ottantunesimo giorno (madonna come piove)

Piove.
No, non avete capito. 
Piove così tanto che ho avuto l'upgrade, ho la vista lago sul davanti e la piscina nel backyard. Un team di esperti si sta occupando della cosa, perché pare che io non abbia le necessarie autorizzazioni.
Comunque.

Oggi è il primo giorno di scuola. Ho come un dejavù, ma transeat. 
Per portare le bambine alla fermata del pulmino, di fronte alla club house, a circa 80 metri di distanza, abbiamo tre possibilità:
a) percorrere a nuoto la strada
b) chiedere a prestito l'ombrello di Mary Poppins
c) prendere la macchina
Abbiamo solo 4 cuffie e mi ci vuole anche del tempo per gonfiare i braccioli, quindi a nuoto non si può. Quella bagascia di Mary Poppins dice di non avercelo, l'ombrello, che l'ha lasciato a casa che sennò si bagnava tutto. La terza opzione viene quindi scelta all'unanimità, così la buik coraggiosamente recuperata dal Bighi ci sbrodola davanti all'ingresso, dove per fortuna c'è una tettoia che accoglie nugoli di bambini con le divise di varie scuole. 

Puntualissimo, alle 7.43, arriva il pulman delle bambine, faccio appena in tempo a sciorinarle dentro e a raccomandare di sedersi davanti, sennò rischiano di vomitare la colazione, che sono già partite. 
Resto ferma a guardarle andar via, da lontano, salutando con la mano, un saluto in generale sperando che si accorgano che sono ancora lì, perché in realtà non le vedo, le mie cucciole, sprofondate nei sedili dietro gli ombrelli di altri genitori.
Le guardie stanno immobili, sotto i berretti neri e le cerate nere, con la pioggia a rigare la faccia.

Ecco, sono andate.

Libera dopo 80 giorni (che a pensarci, qualcuno ci ha fatto delle imprese, in quel tempo lì).
E piove che dio la manda.

martedì 18 agosto 2015

All'anima del sale

La spesa al Cialefu* è sempre un'esperienza: di profumi, di colori, di incontri. 
Talvolta anche occasione per dialoghi interiori con la Cosci, coscienza preferita nonché unica.

Mi aggiro nelle corsie, tra mucchi di riso e funghi secchi, spezie e anatre appese, bocce con i pesci mezzi vivi e sacchetti di cibo pronto, trascinandomi dietro un carrello già pieno e tre nane curiose, per quanto stremate, alla (vana) ricerca del sale.
Questa cosa che ogni due per tre ti girano la posizione dei prodotti qualche esperto me la deve spiegare, che strategia di marketing è? Che mica compro di più, solo mi incazzo a non trovare la roba dov'era.
(Metti che a distanza di due anni e mezzo me lo potevo aspettare, che il sale non era più lì. Comunque).

Mi aggiro, dicevo, con l'aria vagamente persa cercando di penetrare nella logica del logistic manager cinese per capire dove possono averlo messo, questo sale, quando una signora mi avvicina.

- Stai cercando qualcosa, posso aiutarti?
- Oh, grazie che gentile. In effetti, non riesco a trovare il sale.
- Sei nuova vero? E qui è così grande...

- Cosa stai lì a spiegarle che non sei proprio nuova, Wonder, che ti frega, seguila che fai prima
- Sì vabbè, c'hai ragione anche te, Cosci, per una volta...

- Il sale è negli importati. Sai dov'è il reparto dei prodotti importati?
- Sì, lo so ma...
- Ti accompagno vieni. Che belle bambine, stai qui vicino?
- Sì, abbastanza.
- Perché c'è un posto in Wulumuqi lu, che in effetti non è molto vicino a qua, dove c'è una signora che vende di tutto, cibo italiano che è il mio favorito, ma poi carne, fresca e surgelata, e frutta e verdura, e formaggi e se c'è qualcosa che non trovi lo chiedi e lei lo procura e te lo manda a casa, ed è economica, sai? e bla bla bla...

- Mannaggia Cosci, quanto parla questa?
- Non dirlo a me, Wonder, mi sono già persa, non l'ascolto più o meno da "wulumuqi lu"
 
- ... e bla bla bla. Ecco qui il sale, vedi?

- Wonder, cosa stai a spiegarle che questo sale italiano importato è caro impestato, ringraziala e tanti saluti
- Eh ma Cosci, 4 euro per 250 grammi, li fai fuori con una settimana di pasta, io voglio il sale cinese, che mi frega se c'è solo quello fino...
- E ma allora te le vuoi, proprio.

- Grazie sai, molto gentile, ma... sai mica dov'è quello cinese? Di sale, dico.
- Quello cinese non so. Io mi chiamo Nancy, molto piacere, sei francese?
- No no, sono italiana. Piacere mio, io sono Wonder e queste le mie bambine...
- Ma che belle bambine! Come si dice beautiful in italiano? Bella? Ecco la mia prima parola in italiano. Anche io sai sto qui vicino, al Perfect Garden. Venite a trovarci una volta sì?

- Wonder, non ti sembra anche a te un tantino precipitosa?
- Cosci, che ti devo dire, tra espatriati funziona così, mica ci si fanno tanti scrupoli, tutti amici, qua, “una fazza una razza”, se capisci la citazione.

- Ehm, certo, sì, ci facciamo un pensierino eh?
- Venite, dai. Noi ci raduniamo tutti i sabati pomeriggio e anche la domenica mattina nella chiesa di Hengshan lu, vicino a Wulumuqi lu, tu prendi la metro 10 scendi alla biblioteca in Huaihai lu poi vai avanti all'incrocio, e ci troviamo in chiesa, mio marito è il pastore, sei anni fa ha sposato una coppia che stava proprio lì dove siete voi, pensa che coincidenza.
- Maddài? Che incredibile coincidenza, sei anni fa...

- Pensa, alle volte, veramente non sembra neanche un caso, eh Cosci?
- Chiesa, Wonder? Quale chiesa?
- Ma che ne so, Cosci, sarà metodista, luterana, vai a sapere.
- Una di quelle che fa proseliti al supermercato, in giro a raccogliere le anime perse, le è bastata un'occhiata, va' che esperta. A proposito, Wonder, dove sono le ragazze?

- Ah, ehm, ok, Hengshan lu, me lo ricorderò. Grazie Nancy, scusa eh, devo scappare. Ciao, eh, ci si vede...

Manca solo che, per trovare un'anima, mi perdo le bambine. E il sale! il sale...


*dicesi Cialefu supermercato noto in occidente col nome di Carrefour

domenica 16 agosto 2015

Assunzione all'Ikea

No, vorrei vedere voi arrivare in una casa piena solo di mobili.
Provate a stare con i vestiti ammonticchiati nell'armadio perché non ci sono appendini, a spalmare la marmellata col dito, a bere l'acqua dal boccione.
Provate a nutrire tre nane senza usare il fornello per tre giorni. Dopo un po' vi manca la fantasia, sicuro. Senza contare che la verdura, qui, si fa tutta cotta, insalata compresa.

Il fatto è che l'Ikea, a Shanghai, è un po' un parco divertimenti. La gente ci va per prendere il fresco, per far giocare i bambini nel reparto peluches, per dormire nei letti provando svariati materassi e per amoreggiare sui divani (dove per amoreggiare si intende che si tengono per mano e si guardano languidamente sognando una stanza tutta per loro, con il letto GRESSVIK e i cuscini MALISEN e le lenzuola HÅLLROT). 
E poi ci vanno per mangiare. La coda al ristorante inizia alle 10,30 e termina alle 16,00, poi c'è ancora gente, eh, però non così tanta, voglio dire, cercando bene un posto per sederti lo trovi.

E dunque anche noi il 15 agosto, che qui non è mica festa, è solo un sabato caldo di agosto, siamo andati all'Ikea. 
- Non è il momento delle puttanate, ha dichiarato con voce ferma il Bighi vedendomi guardare anch'io languidamente l'oggettistica del reparto esterni.
Sicché, a malincuore, ho abbandonato il cartonage, le lanterne istoriate e le candele al profumo di pera e lavanda e ho dedicato tutta la mia attenzione al servizio di piatti, ai tappeti per il bagno e alla scelta del pentolame.
La concentrazione tuttavia ha iniziato a vacillare intorno alla sesta ora di permanenza nel reparto coltelleria, ed è drammaticamente capitolata al momento della scelta delle posate. 16 pezzi non sono sufficienti per cinque persone, se la distribuzione è 4 x forchette coltelli cucchiai cucchiaini. 
Umami, me la presti una forchetta? Solo finché non torno all'Ikea.

venerdì 14 agosto 2015

Notizie dell'altro mondo

Mi sveglio al canto delle cicale.
Oddio, chiamarlo canto è un azzardato eufemismo. In realtà sembra piuttosto uno scroscio di pioggia che si abbatte a ondate sulle stradine del compound. Sono quasi certa che le bestiole, lunghe dai cinque ai dieci centimetri, siano molto felici del nostro arrivo e ci accolgano con una hola vocale da un albero all'altro, e che alcune siano contente da morire, letteralmente.

Bevo il mio caffè solitario (evviva il jet-lag che fa dormire le nane) e leggo le notizie.

La più grave è ancora l'esplosione del deposito di materiali tossici di Tianjin, 700 feriti e cinquanta morti, tra i quali 17 vigili del fuoco. Uno di loro aveva solo 18 anni, uno, di 25 anni, si era sposato due settimane fa e aspettava un bambino. Un altro pompiere, di 19 anni, è stato trovato vivo stamattina, ma almeno 18 sono ancora dispersi. Molti di loro erano giovanissimi, forse troppo giovani e inesperti per affrontare un disastro di tali proporzioni, anche se le foto ufficiali li ritraggono seri e compassati nelle loro uniformi verdi su uno sfondo rosso come il fuoco che li ha uccisi. Ma forse non è stata inesperienza, forse è stato spirito di sacrificio, dedizione totale, senso del dovere. Ditemelo voi cosa spinge un ragazzo dentro le fiamme di un palazzo, dentro una nuvola tossica, per salvare dal crollo di un edificio una bambina di sei anni anche a costo di morire.

Ma il mondo del giornalismo è strano: le notizie drammatiche hanno spesso poco più spazio di quelle che non possono neanche definirsi notizie, quanto piuttosto curiosità, nella migliore delle ipotesi. È quello che è più bizzarro è che tali curiosità vengono lette con immutato interesse (anche da me, lo ammetto. Ma non giudicatemi male: lo faccio per voi, per darvi qualcosa di cui parlare col vicino di ombrellone).

Quindi eccovi la notizia appetitosa.
Il celebre fast food KFC sta cercando di risollevarsi dallo scandalo che l'aveva travolto il mese scorso (carne avariata impanata e fritta, ça va sans dire) con un prodottino nuovo nuovo. Quei burloni creativi del marketing hanno partorito il Rose Cheese Roasted Chicken Burger, in pratica un panino rosa bognuto vagamente somigliante a un cervello spappolato che vien via per 17 yuan (due euro e mezzo).
Vedi come funziona a volte il brainstorming.

Volete un po' di cronaca nera, giusto per ravvivare il vostro noioso pomeriggio in piscina?
Eccola qua. Pensate un po' a quei vecchietti arzilli che alle sette di mattina fanno Taiqi nel parco, mimando con le spade i movimenti dei ninja con una lentezza esasperante. Pensato? Bene. Ora trasferite il soggetto selezionato, non più giovane ma nemmeno decrepito, dentro un centro commerciale di Pechino (il Sanlitun Village Shopping Complex, per gli amanti della precisione), a vagare senza meta con la sua spada sporca del sangue. Se fosse un film, lei sarebbe stata un agente segreto che aveva sterminato la famiglia di lui che, accecato dall'ira, si sarebbe vendicato infilzandola mortalmente con una antica spada samurai. Nello stesso film, il francese che cercava di aiutare la donna verrebbe colpito, ma non intenzionalmente, e se la caverebbe con una ferita superficiale.
Ma non è mica un film.

E ora la notizia pruriginosa, che fa tanto estate.
L'immagine è una radiografia accanto a una torcia. La radiografia è quella del bacino di un uomo di Guangzhou e la torcia di 10 inch (googlatevi la conversione, voi che potete) è quella che gli è stata estratta dall'ano dopo due ore di intervento chirurgico. Come sia entrata lì è uno dei misteri di Voyager, anche se pare sia stato il risultato di un alterco. Ragazzi, siete avvertiti, occhio a litigare coi cinesi.
Comunque il medico che ha eseguito l'operazione, il dottor Sun, avrebbe dichiarato che l'oggetto sarebbe solo secondo per dimensione tra quelli estratti nella sua carriera di chirurgo. Il primo era un cetriolo nel culo di uno chef. E chi è stato qui ricorda sicuramente quanto è grande un cetriolo cinese.



giovedì 4 giugno 2015

Dimostrazioni

Sto compilando i documenti per iscrivere le bambine a scuola. Via web, così si risparmiano quei tre-quattromila metri quadri di Amazzonia.

Un'ora e mezza per ciascuna, tanto per dire. 15 pagine. Allega file, fill the space, check, double check, riprova, sei sicuro? sì sì.  Ma proprio sicuro sicuro? sìììììììì!

E poi, alla fine, c'è una finestrella che dice

prove you are human

E a pensarci bene, è anche imbarazzante. Ché in effetti pensavo fosse sufficiente compilare tutta quella sfilza di carte lì e rispondere alle domande e riempire gli spazi e allegare e annotare per dimostrare che sono mica una bestia. Comunque.

Gabbianella, controllo ancora, tutto ok. Clicco Start, e mi chiede di mettere gli oggetti di bellezza nel beauty. Facile: rossetto e cipria. Va' che giochino divertente. Game Complete.

Gatto selvaggio, anche qui ok. Clicco Start: devo mettere gli ingredienti giusti sulla pizza. Dai? Game Complete. Quasi quasi lo rifaccio. Adesso devo dare le medaglie giuste ai corridori. Occhio a non sbagliare colore. Game Complete.

BB, controllo, manca qualcosa? Niente. Clicco. Disegna la faccia: occhi bocca e baffi. Game Complete.

Ho vinto qualche cosa? Sono riuscita a dimostrare la mia umanità?
Vabbè. Però a me sembra che debba ancora cominciare, il gioco.

martedì 26 maggio 2015

I Love SH

Non ho scritto niente.
Quattro giorni a Shanghai, e niente.

Anzi no. Ho scritto quattro righe, quattro: C'è questa carta che ti danno da compilare, nome cognome passaporto visa indirizzo in Cina, e poi ti chiedono il motivo del viaggio: lavoro, turismo, visita agli amici o ai parenti, sistemazione, studio, ritorno a casa. Ecco. Per dire. Fine delle righe.

Ok, internet non funziona, ma non è per quello che non ho scritto. Avevo portato apposta questo libretto da tenere sempre in borsa, la penna dentro, quelle quattro righe già scritte e un sacco di cose da fissare nella testa, sicura che non mi sarebbero bastati quei pochi fogli, ma niente. Come se volessi godermi solo con gli occhi tutto quanto intorno senza pensare a descriverlo, a raccontarlo, a dire come mi sento, a cercare le parole.
Ho camminato su strade interminabili, avevo dimenticato il rumore assordante dei clacson e certi odori pungenti di cibo a tutte le ore che ti sorprendono da dietro un angolo, il freddo dei vagoni della metropolitana, il vento che scompiglia i pensieri.
Ricordavo invece l'emozione bambina davanti ai grattacieli illuminati che scrivono sulle pareti I Love SH in mille colori, agli schermi giganti che proiettano spot e filmati sulla città, alla ricchezza ostentata e tracotante di palazzi e vetrine.

E ritornare somiglia un po' a rivivere un amore passato.

Ti è mai capitato di innamorarti? Hai presente? Che senti quella specie di formicolio nella pancia, hai sempre voglia di ridere, la testa tra le nuvole, che uno ti parla e tu pensi a lei e rispondi a caso perché non l'hai capito cosa ti ha chiesto, pensavi ai suoi occhi, e la vedi in tutti i libri che leggi, nelle vetrine dei negozi, in certi fiori al mercato, nelle parole delle canzoni, anche nelle patatine al pepe, certe volte.

Insomma capita, no? di innamorarsi, mica lo fai apposta, mica lo scegli tu di innamorarti. (Como si se pudiera elegir en el amor, como si no fuera un rayo que te parte los huesos y te deja estaqueado en la mitad del patio*).

E così vivi una storia bellissima, che poi finisce.
E anche adesso, non l'hai mica scelto tu, che finisse. È successo.
Non la vedi più, e cerchi di togliertela dal cuore, perché non la vuoi dimenticare, vuoi solo che non ti faccia stare male, così male che potresti morire.
Che poi non muori. Nessuno muore per amore, dai. Te lo dicono, Non posso vivere senza di te, ma poi si vive. Fa un po' freddo, magari, però si vive.
Anche Giulietta, mica fa sul serio. E Romeo: e infatti alla fine sono tutti vivi e vegeti e un po' stanchi magari ma sorridono e salutano il pubblico.
Così ci provi, a fare finta di niente, anche se continui a vederla nei libri che leggi, nelle parole delle canzoni, nelle patatine al pepe, in certe fotografie che trovi per caso. Un po' alla volta ti abitui a stare senza.

E poi succede che la rivedi. Che per mesi e mesi avevi sperato che succedesse e adesso che quasi non ci pensavi più, quasi, ecco che la ritrovi. E non è che la reazione sia scontata. Voglio dire, dopo tanto tempo che effetto ti farà? Sei contento, emozionato, eccitato, ma poi pensi che sarà cambiata e magari non ti piacerà più, che sarà invecchiata o ingrassata o imbruttita e tu vorresti ricordarla com'era, e poi invece immagini che sarà ancora più bella dell'ultima volta che l'hai vista, e avrà gli occhi ridenti e allora forse ti innamorerai di nuovo, e hai un po' paura perché non hai nessuna intenzione di soffrire ancora ma sei curioso e impaziente e allo stesso tempo cauto e diffidente perché non vuoi restare deluso.
E forse è così che mi sento, come una che si era innamorata e poi è finita e poi ricomincia, ma in maniera diversa.

* Julio Cortázar, Rayuela, cap. 93.