giovedì 12 dicembre 2013

Una volta ero piena di animali, adesso mi bastano le rughe

Amo gli animali.
Così, giusto per dare un'indicazione di massima.
Quando ero piccola ero sempre piena di gatti, poi ho avuto un cane (si chiamava Ciungo), e poi siccome si passavano le vacanze in campagna si vedevano un sacco di altri animali, tipo le mucche da cui andavamo a prendere il latte col bidoncino bianco smaltato, un latte grasso che si faceva bollire e veniva su una schiuma così densa che poi ci si faceva il burro, e poi dopo un paio di giorni bastava metterci un po' di limone e veniva fuori una ricottina niente male. Prova adesso, a fare la ricotta. Il latte non irrancidisce manco dopo due settimane. Comunque.
Oltre ai gatti, ai cani e alle mucche c'erano anche una infinità di altri animali, tipo passerotti, conigli, libellule, ragni grossi come polpette, cavallette e uno sterminio di altri insetti.
E quindi lo so, che quando si è piccoli è bello avere un animale, con una certa preferenza per i mammiferi di taglia inferiore al metro al garrese.
Però no. Non ce la posso fare. I cugini hanno un cane, una tartaruga, i pesci rossi e anche la cavia? Meglio così, si può accarezzare il cane o farsi rosicchiare un dito dal supertopo senza averli per casa. La zia checca ha un gatto? Benissimo, tutto uno zoo nello stesso condominio.

Io no, grazie.

Già è molto se tengo delle piante. Vorrei, eh, avere un sacco di piante. Mi piacciono. Ma evidentemente il mio balcone non ha l'esposizione giusta, e nemmanco il davanzale. In casa, poi, c'è sempre troppo caldo, o freddo, o secco, o vattelapesca. Però in autunno, presa dal fervore botanico, sono andata a Guastalla, dove c'è un mercato di piante e animali perduti, che già il nome è bellissimo, e anche il mercato è bellissimo e ci compreresti carrettate di piante, e magari anche una gallina col ciuffo, se non fosse che poi la visualizzi a becchettare sul divano e scagazzare sul tappeto persiano.
E c'ho speso degli euro, al mercato delle piante perdute, ho comprato la santoreggia, la salvia pesca, il rosmarino, il timo e la menta marocchina che teme i ristagni, giusto per fare un davanzale di odori (si dice così, e lo so che son mica piante perdute, e neanche un pochino rare, ma il budget era limitato), e poi una bella pianta che fa i fiori blu (che ho dovuto portare in casa ai primi freddi e legarla come un salame perché è un tantino spampanata) e una che fa i fiori bianchi (che è rimasta fuori a prendersi il gelo, che pare non se ne accorga, beata lei).

E lo so che non mi crederete, ma la salvia pesca è tutta fiorita, e fa dei fiori rossi carini carini che adesso sono ancora lì, la santoreggia e il timo sono belli verdi e anche il rosmarino sembra resistere con i suoi fiorellini azzurri, e ho il sospetto che siano congelati e che resteranno così fino a primavera, frozen, ma faccio finta di niente. Solo la menta marocchina è rinsecchita. Però mi dicono che è normale, che poi basta tagliare i secchi e a primavera ributta (si dice così, ributta. Non che sia una bella immagine, la verità).

Ecco, a dire il vero la pianta verde che fa i fiori blu sta perdendo un po' di foglie, e anche di semini. Sì insomma, ok, tante foglie e tanti semini. E già la cosa disturba un po', ché insomma oltre a dare da bere e un po' di concime devi pure raccattare le foglie tutte le mattine, e non è che abbia poco da fare.
Certe mattine mi sveglio già stanca.

Però al lunedì son fortunata. Al lunedì viene la Signora O, già tata delle bambine e governante ineccepibile, per aiutarmi qualche ora a rassettare il casino che si genera nel weekend in maniera esponenziale.
E lunedì mattina alle otto e sedici la Signora O, che sta ramazzando le foglie secche dal pavimento al posto mio mentre io arranco su per le scale dopo aver accompagnato (di corsa) le bambine a scuola, mi accoglie con questa frase:

- Te lo sè, èra, che te sì piena de rughe...

Ora, da questa affermazione si possono dedurre alcuni fatti basilari; per esempio:
  1. la provenienza geografica della italianissima Signora O
  2. l'inganno sotteso alla pubblicità della rinomata (i.e. costosissima) crema ringiovanente viso
  3. l'importanza di materie di studio umanistiche come la psicologia spicciola

Lì per lì resto basita. Poi mi riprendo, e mentre penso che non son mica cose da dire alle otto e sedici del lunedì mattina formulo anche io la mia domanda:
- Scusa?
- Digo, riprende la Signora O per nulla impressionata dalla mia faccia perplessa, te l'è visto che le rughe, qui, le te sta magnando tuta la pianta...
- La pianta?! (sguardo attonito, tono allibito e animo un tantino sollevato)
- Essì, guarda qua! Intanto le fòie l'è tute magnà, e poi per terra, (e qui passa inaspettatamente all'italiano, pensando probabilmente che la mia comprensione ne tragga giovamento) vedi mica che è pieno di cacchette?

Cacchette? Come cacchette? Erano mica i semini della pianta?

- Macché semi, queste qua iè le cache delle rughe. Eccola qua,
continua imperterrita la Signora O mettendomi davanti al naso un verme verde smeraldo ingrassato mangiando le foglie della mia pianta verde dai fiorellini blu.
- Ne ho trovate undici, 
sottolinea, sempre in italiano, giusto per rimarcare l'eccezionalità dell'evento; e tenendo la mano a conca, dove racchiude quel mucchietto di rughe, si dirige a passo lento verso il bagno, a metà compiaciuta e divertita.

- Ommadonna, Wonder, che schifo. Pure la cacca delle piante, ci mancava. Forse era meglio la gallina col ciuffo, o un gatto...
- Zitta, Cosci, zitta! che non ti sentano le bambine, per carità.

La Signora O non ha sentito di sicuro, impegnata com'è a tirare lo sciacquone.

sabato 23 novembre 2013

Creme, centrifughe e allergie. Ovvero come sopravvivere al quattro in greco e a qualche altro incidente

Ho un ricordo preciso di uno dei primi giorni di liceo, compreso di figure e contorni, di banchi e finestre e perfino di una penna che il prof faceva girare tra le dita.
Era un prete, uno di quelli non tanto giovani che vuole fare il giovane e fa battute per far vedere che lui li capisce, i giovani, che veniva a farci l'ora di religione. Adesso non si usa più, ci sono delle signore, delle signorine, a volte dei giovani veri, che però non sono preti o suore. Comunque.
Quel prete là, con la sua faccia grassoccia e il vestito nero e gli occhi neri mi aveva guardato, aveva inclinato la testa di lato e aveva chiesto a una Wonder appena quattordicenne eccitata e curiosa e intimorita da quella scuola severa: Hai mai preso un quattro, tu?
No, dice la Wonderina con una risata stiracchiata tra il timido e l'isterico, mostrando la dentatura tappezzata di ferretti, mai preso. E quello sghignazzando: Aspetta un paio di settimane, eh.
E infatti.
Però lì per lì non mi ero preoccupata, avevo pensato Va' che scemo questo, non lo prendo mica, il quattro. L'ansia era venuta un po' alla volta, sottile, dopo qualche giorno.

E ci sono giorni che te li senti addosso, che ti soffocano e ti schiacciano come una di quelle vecchie coperte pesanti che odorano di chiuso e di polvere, che ti fanno sentire inadeguata come quando cercavi di memorizzare l'ottativo (oddio, mi ricordo dell'esistenza dell'ottativo) senza capire a cosa diavolo servisse tutta quella fatica.
Che uno pensa, cancelliamolo, questo giorno. Spegniamo la luce, chiudiamo gli occhi e domani è un altro giorno (va' che citazione).
E poi succede che anche il giorno dopo non è che va molto meglio.
Tipo che ti svegli, e quegli occhi che avevi chiuso nella speranza di riaprirli su un domani migliore (poesia pura, qui) in effetti sono due fessure sormontate da palpebre grosse come mandarini e rossi altrettanto e allora ti metti gli occhiali da sole più scuri che hai anche se fuori piove e vai dal farmacista che ti dà una crema al cortisone e dice che sei allergica a qualcosa, come se questo dovesse tranquillizzarti. Allergica a cosa? A una crema, a un detergente, a un formaggio, al vino, alla cioccolata, a questa vita? Per precauzione meglio eliminare tutto, creme detergenti formaggi vini e pure cioccolata.
La vita no, quella te la tieni com'è.

Ma io lo so, che non capita solo a me.

Siamo mamme centrifugate.
Siamo talmente impegnate tra casa, lavoro (vabbè) e figli che se ci resta un po' di tempo per andare in profumeria ci sentiamo dire Signora (signora tu' nonna), meglio che prenda questa crema qua, per il contorno occhi, che è un po' più ristrutturante.
Che tu lì per lì risponderesti alla commessa Mavadaviaelcül, in maniera così francese che sembra la marca dell'Elisir de junesse di Dior.
Però invece taci, perché in fondo lo sai che ci vuole una ristrutturazione totale, di quelle con l'impalcatura, e scommetto che se vedono come son messa mi danno anche gli incentivi per le grandi opere.
Ma io lo so, che non sono sola, anche quando sono sola (et voilà, oggi sono un vulcano di citazioni).

Siamo sempre in ritardo, e non capiamo perché. Proviamo anche ad anticipare la sveglia, a preparare la colazione la sera prima, pure con la caffettiera pronta che basta accendere il gas, ma non serve a niente, siamo in ritardo lo stesso. E ridono, le persone che incontri per la strada, sempre le stesse alla stessa ora, a vederti sempre di corsa, gli operai che stan fuori dal cantiere a fumare una cicca, gli altri genitori che stanno tornando dopo aver lasciato la prole, le donne che vanno a comprare i fiori, le suore che chissà dove vanno alle otto meno due minuti di tutte le mattine. Cosa ridi.

Ci sono mamme che si scordano un figlio a scuola, e questa cosa è un po' come il quattro in greco, se non l'hai già preso stai sicura che prima o poi ti capita. E tu che fatalità te le sei ricordate tutte, le figlie, quel giorno, vedi la bambina con le treccine un po' sfatte, per mano alla maestra, che alla fine guarda la strada vuota e poi si volta, la cartella sulle spalle e la felpa in braccio, e ritorna dentro il cancello, e tu la guardi e pensi Poverina, guarda te, come si fa a lasciarla lì da sola a fare tutto, questa mamma.
Ci sono quelle che portano un figlio a basket, uno a calcio e la figlia a danza, due volte alla settimana in tre giorni diversi, e tu ancora non hai capito come fanno, ma dalle loro facce hai idea che anche loro avrebbero bisogno di quella crema là ( e qui parte il jingle della crema Mavadaviaelcül, un nome una garanzia).

Ci sono mamme che hanno tre figlie femmine e hanno il coraggio di farne un'altra, e tu certe volte le guardi con ammirazione e però poi pensi che no, che tre sono abbastanza.
Ci sono quelle che portano i bambini in piscina, stanno ad aspettare sugli spalti respirando cloro e umidità e lasciando che i capelli si increspino, poi fanno docce, asciugano capelli, riempiono borse di accappatoi bagnati, salgono in macchina e non si accorgono che hanno ancora addosso i copriscarpe color puffo.

Ci sono mamme che aiutano i figli a fare i compiti ma non si ricordano le tabelline, quelle che fanno la torta e la lasciano troppo nel forno, quelle che si scordano di pagare la mensa, quelle che preparano valigie ma non sono mai loro a partire, quelle che hanno borse grandi sempre piene di pupazzi, carte dei pokemon, merende e fazzoletti per pulire nasi e manine appiccicose, quelle che una volta avevano sempre le scarpe col tacco e adesso non si ricordano neanche dove le hanno messe, quelle che hanno bisogno di andare dal parrucchiere e quelle che per risolvere il problema si rapano a zero, quelle che appena comincia l'inverno hanno i figli sempre malati e il raffreddore perenne, quelle che quando dicono Andate a lavarvi le mani aggiungono sempre Senza allagare il bagno (e un motivo c'è), quelle che dicono Non guardate sempre la TV, fate dei giochi, delle cose creative, disegnate, e poi dopo un po' hanno una visione e aggiungono Però senza tagliare le tende (e un motivo c'è), quelle che fanno la spesa al sabato mattina e si scordano le cose che dovevano comprare, quelle che la domenica sperano che piova per avere una scusa per non uscire, buttarsi sul divano e leggere finalmente altre due pagine del libro (di carta).
Noi mamme ci si riconosce subito. Basta uno sguardo (riparte il jingle).

E quindi lo so. Lo so che siamo messe tutte più o meno allo stesso modo (anche quella mamma che fa tanto la gnocca con la minigonna la pelliccetta verde acido il capello parrucchierato e segue il detto della nonna Se bella vuoi sembrare molto devi soffrire e va in giro senza calze anche con -2).
Lo so che l'importante è la salute (lo so, figuriamoci se non lo so).
Lo so che certi giorni durano anche delle settimane, e per farti tornare il buonumore ci vorrebbe una bella benedizione, o un esorcismo, in alternativa.

Ma.
Ma poi.
Poi pensi a quel prete là e ti ti dici anche che no, fai a meno di preti falso giovani e di suore che ridono quando sei in ritardo.
E pensi a quella centrifuga, che ti ha fatto conoscere le Amiche del Platano.
E sono loro che ci sono, quando hai bisogno di aiuto, quando non hai voglia di parlare e quando invece le sommergi di parole, quando sei bersagliata da sfiga concentrata e quando vuoi condividere un sogno.
E quando ci sono le amiche la prospettiva ti cambia, perché sulle amiche ci puoi contare. Più o meno come sul quattro in greco, ma senza l'ansia.

giovedì 24 ottobre 2013

Filastrocca di porcellana

Dammi un naso in mezzo alla faccia,
Due minuti sotto la doccia,
Tre bambine che dormono piano,
Quattro posti sul divano.
Cinque le dita della manina,
Sei i biscotti della mattina,
Sette i peccati capitali,
Otto i pianeti nei cieli astrali,
Nove per otto settantadue,
Dieci la pecora, l'agnello e il bue.
Undici lezioni di pattinaggio,
Dodici matite nell'astuccio,
Tredici un numero di Fibonacci,
Quattordici i nodi attorno ai lacci,
Quindici fette di salame
per ogni anno che stiamo insieme.
Poi dammi mille e cento baci
poi ancora mille e cento e mille
per quindici anni ancora, e cento.

martedì 15 ottobre 2013

Il lato intimistico del collage

Ieri era lunedì, e di lunedì pomeriggio, cioè l'unico pomeriggio che non viene sacrificato alle attività extrascolastiche, si fanno il collage, il bricolage, il decupage, il disegnage e insomma un po' di puttanage vario, giusto per far arrivare l'ora di cena.
Le ragazze, rinchiuse in cameretta e scrupolosamente allineate alla scrivania in ordine di altezza, lavorano alacremente con colla, perline, fogli, colori, sticker, figurine e ogni altro elemento che la Wonder non è riuscita a far sparire definitivamente durante la pulizia del dopo-weekend.
Guai a chi entra.
Dopo un paio d'ore di impegno indefesso, condito da frequenti (ignorati) battibecchi, le fanciulle dichiarano finito il lavoro e aperto il banchetto in cui vendono a prezzi esorbitanti la produzione pomeridiana, che in genere resta poi invenduta fino al lunedì successivo, quando i lavoretti vengono fatti sparire durante la succitata pulizia o in alcuni (rari) casi tenuti a perenne ricordo delle stupefacenti performance artistiche.
Dunque ieri sera, mentre la Wonder era occupata a preparare una deliziosa seppur incompresa pasta e fagioli, il banchetto veniva allestito con una serie di disegni, borsette, buste e biglietti, tutti rigorosamente di carta, che fosse stato per le ragazze avrebbero dovuto fruttare il corrispettivo di un camper della Barbie.
E dunque, costretta a comprare qualcosa pur di persuaderle a mangiare la mia deliziosa seppur incompresa pasta e fagioli, dopo lunga contrattazione (l'esperienza cinese insegna) mi faccio convincere a spendere l'esosa cifra di un euro per una busta tempestata di punti interrogativi colorati, chiusa da quattro brillantini, su cui è scritto in rosso Domande e Risposte. Sul retro un grande cuore e, a matita, fatto da B.

E dunque, aperta la busta, vedo che ci sono sì le domande, ma non le risposte.
Ecco che mi ha fregata, penso. Non ci ha messo nemmeno le risposte. E meno male che ho ribassato il prezzo.

E quindi leggo le domande, e lì per lì guardo le righe vuote, però poi mi viene da darle io, le risposte, che quasi mi par di essere appollaiata sullo sgabello solitario da Marzullo.

Cosa fai nelle ore avanzate?
Nelle ore avanzate? Non è che mi avanzino molte ore, sinceramente. Però di solito leggo, oppure scrivo, oppure mando messaggi su Whatsapp o magari elaboro qualche foto su Instagram. Talvolta penso. Penso anche se sono occupata, solo che se lo faccio nelle ore avanzate mi viene meglio, la verità.

Cosa ti metti più volentieri?
Questa la so. Da quando ho passato i @#nta, mi metto la minigonna. Giuro, mai fatto quando ero ragazza. E lo dicono tutti che a una certa età si regredisce.

Cosa guardi alla TV?
Boh, non guardo molto la TV. Ah sì, guardo il tg, Crozza prima di Ballarò, i primi dieci minuti di Montalbano, un minuto di Report, un minuto del film su canale 5, un minuto del film su italia 1, un minuto del film su raimovie, un minuto della tribuna di la7 (si vede che il telecomando ce l'ha il Bighi, eh? Io non lo reggo, quando fa zapping isterico). Poi in genere mi addormento.

Che storia ti piace di più?
Ma sai che non c'ho mai pensato. Vediamo... mi viene in mente quella del Velo dipinto di Maugham. È la storia di una donna vanitosa e un po' superficiale che poi si scopre diversa quando è costretta ad andare in Cina perché... vabbè, sei troppo piccola per capire però è una bella storia.

Fai un lavoro?
Uh. Bella domanda. Beh, insomma, non so, è un lavoro che non viene considerato un lavoro ma che invece sì, è un lavoro.

Che lavoro fai?
Ah ecco, ti pareva che si potesse dare una risposta generica...

Come è andata la tua vita?
No no, io a una domanda così non so mica rispondere. E poi dovrò aspettare di arrivare alla fine per dirti com'è andata.
E comunque son mica domande da collage, queste qui. La prossima?

Inventa una frase.
Sì, ok, già meglio. Qui me la cavo.
Inventiamo.

venerdì 11 ottobre 2013

Di libri, di liste e di tessere fedeltà

Premessa: questo post è un post di liste.
Le liste, lo so, sono pallose. Personalmente non le amo, però qualcuno mi dice che van fatte, se non altro come esercizio letterario. Quindi siete avvisati, da qui in poi son affari vostri, non si accettano reclami.

Ho un Kindle nuovo nuovo.
Me l'ha regalato l'Augusto Coniuge, in occasione del mio #@£$@esimo compleanno, scegliendo da una lista comprendente, oltre al suddetto Kindle,

una crema (quella là delle righe)
una casa sul lago
una vita da single
una borsa Gabs
un biglietto di sola andata per Shanghai
un biglietto di sola andata per New York
un abbonamento al cineforum
una Fiat 500L
un corso di ceramica raku

Ora, qualcuno di voi penserà Eccone un'altra che si è convertita all'ebook, che tristezza.
E invece no, anche se devo dire che l'attrezzo ha una certa attrattiva.
Vedi che comodo quest'aggeggio che pesa pochissimo anche se stai leggendo Anna Karenina e ci sfogli le pagine con il pollice senza nemmeno spostare il dito, e te lo metti in borsa e senza portarti dietro tutto lo scaffale della Billy puoi scegliere di finire il racconto di Maugham e poi cominciare il terzo volume di 1Q84.
Però.
Il fatto è che ancora mi piace andare in libreria a guardare le copertine e scegliere un libro perché il titolo mi intriga, oltre al fatto che c'è caso che incontri il Vicino Preferito e si legga insieme qualche riga seduti sulla colonna del leone di piazza Erbe.
Mi piace fare le orecchie alle pagine dove ho trovato una frase che mi voglio ricordare, e dopo tanto tempo riguardare quel libro e scoprire che certe frasi mi colpiscono ancora, che metterei le orecchie alle stesse pagine, e altre invece no, e allora stendo l'angolino della carta e si vede ancora la riga della piegatura, e quando chiudi il libro per un po' resta ancora il segno e tu sai che lì c'era qualcosa che era tuo e che adesso non è più così tuo, ma solo un pochino nel ricordo.

L'altra ragione per cui non mi sono ancora convertita all'ebook, non trascurabile ma tutto sommato secondaria, è che non possiedo una carta di credito, sicché non posso comprare niente dal Kindle store. Ora, non credo che questo fatto sia sfuggito all'Augusto Coniuge nel momento in cui ha scelto l'articolo. In ogni caso, per ora, cioè fino a quando non riuscirò a impostare il pagamento con la carta di credito del succitato coniuge, riesco a scaricare solo libri gratuiti.
Nella fattispecie, l'elenco comprende, per ora:

Poesie sparse di Guido Gozzano
Racconti umoristici di Igino Ugo Tarchetti
Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce
Per una cipolla di Tropea di Alessandro Defilippi
Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli
Voi siete qui di Matteo Caccia e Tiziano Bonini

Inoltre, racchiusi in un elenco apposito, ci sono i cosiddetti campioni, cioè i capitoli iniziali di alcuni libri che vorrei comprare e che mi sono messa in una lista dei desideri (sta' a vedere che adesso comincio ad appassionarmi alle liste).
Dunque, questa lista di campioni e quindi di possibili auspicabili acquisti è così composta:

La montagna incantata (Thomas Mann). Avevo iniziato a leggerlo quest'estate al lago, in un'edizione sbrindellata assai, in due volumi dalle pagine spesse e fittissime, cosa che non invita normalmente alla lettura estiva, specie perché il caldo scioglie la colla e le pagine si perdono e poi tu perdi il filo. Però insomma, se le pagine non si staccassero di continuo mi piacerebbe riprenderlo.
Fai bei sogni (Massimo Gramellini). Mi piace Gramellini, leggo sempre il suo Buongiorno sulla stampa e mi sembra che dica delle cose sensate, che il più delle volte condivido. E poi come incitamento fai bei sogni mi sembra tutto sommato adatto al momento.
Omicidi in pausa pranzo (Viola Veloce). Non so nulla dell'autrice, ma mi piaceva il titolo. Come modalità per far passare un'oretta tra l'una e le due mi sembra curiosa, e del resto talvolta pure condivisibile.
Allegro occidentale (Francesco Piccolo). Di Piccolo ho letto La separazione del maschio, che ho trovato a tratti illuminante, e alcune pagine sfogliate in libreria dei Momenti di trascurabile felicità, che è un modo geniale per rendersi conto che ogni giorno, a guardar bene, potresti trovare un motivo per essere, se non esattamente felice, almeno di buon umore.
Se mi chiami mollo tutto... però chiamami (Albert Espinosa). Ancora colpa del titolo. Come a dire, io faccio del mio meglio però anche tu datti un po' da fare...
La verità sul caso Henry Quebert (Joël Dicker). Pare che sia un caso editoriale. Poi ho scoperto che l'Alesarda ce l'ha, di carta, e quindi me lo farò prestare. Però intanto me lo tengo lì per promemoria.
Alfabeto Poli (Paolo Poli). Colpa di alcune citazioni postate da Flavia Gasperetti.
La manutenzione degli affetti (Antonio Pascale). Qui invece è colpa di Morelle.
Da un'altra carne e Voglio guardare (Diego De Silva). Come mi piace De Silva. Mi mancano solo questi due.

Ecco, per ora tutto qui.
Una prevalenza di classici con qualche autore moderno affermato e un paio di cazzabubole da disimpegno. 

Volete sapere una cosa? (tanto ve la dico lo stesso).
Non mi piacciono le tessere fedeltà. Quando vado al supermercato e mi chiedono Ce l'ha la tessera? io sono quasi soddisfatta di rispondere No, non ce l'ho la tessera. Anche se vado sempre nello stesso negozio, e alle volte potrebbe essere utile, quella tessera fedeltà, che ci fanno gli sconti. E invece son proprio fiera di dire No, non ce l'ho la tessera.
Che c'entra, direte voi.
C'entra.
Perché quelle tessere lì sono fatte apposta per registrare tutto quello che compri, così poi, anche se non vuoi, quelli del negozio ti danno dei consigli personalizzati e ti vengono a dire che quel prodotto là ti va bene di sicuro perché hai comprato quell'altro prodotto lì che ci somiglia, e se lo compri ti fanno lo sconto, anzi guarda te ne diamo uno gratis così lo provi subito, 
- Ma no grazie non mi interessa... 
- Ma è gratis, lo prenda, lo prenda!
e poi trovi il tre per due e quelli te lo vengono a dire, e alla fine ti rompono le palle con una tale tenace costanza che ti viene da fargliela tu a loro, la tessera fedeltà, per lo scassamento di cabasisi.

E io il Kindle ce l'ho da poco, ma già mi pare che l'approccio sia quello delle tessere fedeltà.
Ché infatti mi capita di ricevere una mail da Amazon di questo tenore:

Ciao Wonder,
poiché in precedenza hai acquistato ebook simili, pensiamo possa farti piacere sapere quali sono le novità e i titoli di narrativa in primo piano disponibili nel Kindle store.

Ora, a parte il fatto che se volessimo essere pignoli, per i motivi suddetti, non ho ancora acquistato un bel niente, il fatto sostanziale è che l'elenco che Amazon mi propone mette in dubbio serissimo le categorie ideali delle mie liste. C'è mica un tag da mettere ai libri, tipo quelli che si usano per la musica, così uno sa cosa si mette nell'elenco? Non so, Classici, Impegnati, Romantici, Ridicoli, Cazzabubole, Storico-pallosi, cose così?
No perché vedi, caro Amazon (sei uomo, vero?), io lo so cosa ho comprato, e lo sai pure tu, con tutta evidenza.
E, alla luce di quello che mi sono scaricata, mi proponi nell'ordine:

Palazzo Sogliano (Sveva Casati Modignani)
Di pancia di cuore... da ridere (Chiara Pelossi-Angelucci)
Marina Bellezza (Silvia Avallone)
Fermate gli sposi! (Sophie Kinsella)
Obsession (Valentina C.Brin)
Insegnami a vivere (Daniela Volontè)
Che cosa resta dell'amore (Rosita Romeo)

Perché, caro Amazon? quale degli ebook presenti nel mio Kindle ti ha suggerito questa selezione?
Sai forse qualcosa di me che io ancora non so?

Io, intanto, continuo ad andare in libreria.

mercoledì 4 settembre 2013

Settembre

Settembre. Andiamo.
Mica vorrai stare fermo, a settembre, ché c'hai avuto tre mesi di tempo per stare a pancia all'aria a fare parole crociate, sudoku e zeppe iniziali.
Adesso è ora di muoversi, rimettersi le scarpe (almeno i sandali), un po' di mascara e cominciare a pensare a come piazzare i cuccioli nei loro pomeriggi liberi.
Perché sì, questa è l'attività più gettonata per le fresche giornate settembrine.
Tutte a fare estenuanti code per iscrivere i bambini a costosissimi corsi di nuoto, a improbabili danze ritmiche, a lezione di pattinaggio artistico, di pittura olistica, di ginnastica acrobatica, disegno creativo, educazione della voce (si chiamava canto, una volta), recitazione, teatro, chitarra, violino, basket, calcio, arrampicata libera, sci. Ah, pianoforte anche.
Si fa per il loro bene, per la crescita armonica del corpo e della mente, che credete.
Tutto, pur di levarsele dai piedi il più possibile, le creature.
È per questo, per il bene delle mie creature, che mi ritrovo in coda, nel caldo umido e afoso della segreteria della piscina, a respirare l'odore del cloro e a schiacciare i tasti del mio cellulare.
Devo pur sottrarmi in qualche modo ai discorsi da mamme che percorrono la fila a senso alternato. E non ho un libro, mannaggia. Solo la brochure del corso, capirai.
Riesco a estraniarmi dal contesto con stupefacente rapidità, tornando vigile solo per controllare che nessuna furbetta cerchi di intrufolarsi davanti a me nella fila.
No, non sto giocando a Ruzzle, cosa per altro che in certi momenti mi distende assai.
Non sto nemmeno chattando, né postando su facebook la faccia attonita della signora che non sapeva (principiante!) che ci vuole il certificato medico per fare l'iscrizione. Signora grazie vada pure, un po' celere per cortesia sennò facciamo notte.
In effetti sto riguardando le foto del fine settimana, quelle fatte con il cellulare. Le elaboro un po', quel tanto che basta per far credere a chi le guarda che sono stata nel posto più bello dell'universo mondo, e le posto su Instagram.
Poi vado un po' indietro, a guardare le foto dell'estate, con qualche giorno di brutto tempo e mare tempestoso, qualche faccina di bimba, un po' di mare luminoso e blu, e poi i sentieri nel bosco e i monti azzurri e quasi trasparenti nella foschia della mattina, alberi altissimi e profumo di erba, di resina, di muschio (a proposito, grazie nonni).
Ma la coda è sempre lì che serpeggia e bisbiglia, e di foto ce ne sono ancora, così succede che vado ancora indietro, e ci sono dei grattacieli altissimi, e guarda un po' li ho fotografati proprio come gli alberi, con un po' di cielo azzurro lassù in cima, e poi un vecchio che beve il tè, due bambine che sorridono, una strada dritta verso il Bund, un uomo che cuce tra le rovine di una casa, le scarpe minuscole, i pennelli, il viso tondo di un bambino, il mercato di DongTai lu, i pupazzi blu di XinTianDi, i ravioli, NanJing Lu con un cartello enorme con su scritto I Love SH, i grattacieli di Pudong, due ragazze con l'ombrellino.
Tocca a me. Non c'è posto di sabato alle dieci, va bene alle nove?
Sì sì, va bene. Grazie. Tutte e tre alle nove, vero?
Pedalo, e mentre pedalo sul marciapiede alberato penso che ho bisogno di una voce amica, di quelle che sanno ma non chiedono, e poi pedalo più velocemente possibile, voglio sentirmi il cuore in gola, il fiatone, e voglio pensare che fra un po' è il mio compleanno, che mi farò un bel regalo, che è settembre, ed è ora di andare.

venerdì 2 agosto 2013

A piene mani

Ah, le vacanze al mare! Che sogno, eh? Acque cristalline, cielo blu, sabbia di farina, un appartamento piccolo ma con una splendida vista, barbecù, gelati, smalto arancione, bagni solitari alla mattina presto, passeggiate serali, il vento che scompiglia i capelli e perfino un party sulla spiaggia con l'amica del cuore. Un po' di incazzature variamente sparse qua e là ma che c'entra? Quelle capitano a tutti, ovunque.
Invece non capita mica a tutti di incontrare il sosia bello di Dustin Hoffman, che lo guardi e lo riguardi e parla pure inglese e quindi un po' verrebbe il dubbio, se non fosse che questo qui è molto più giovane e sta seduto vicino a te nel cocktail bar più fico della piazza (dove ti mettono uno spritz a sette euro, faccio per dire, e al posto delle patatine ti presentano un mini fingerfood di pane carasau con una fettina altrettanto mini di salame e non lo sanno, loro, che le mie bambine sono come delle cavallette e se potessero mangerebbero anche il piattino); dunque lui, contornato da moglie bionda presumibilmente inglese e due pargoli mori come lui, a un certo punto ti guarda e ti domanda in perfetto italiano se sono tutte tue (e non si sta riferendo alle tette, visto che porti una terza con evidenti problemi di autostima e serie inclinazioni alla seconda).

Ora, sebbene in Cina l'evento tre figlie femmine sia piuttosto inconsueto e quindi l'intera Bighifamily abbia fatto l'abitudine agli sguardi di stupore divertito, qui siamo mica in Cina, e l'Italia non sarà certo un paese prolifico ma avere tre figli non è certo una rarità (e infatti posso citare almeno una cinquina di amiche tri- o quadri- e perfino -udite udite!- una quinqui-mamma che se la cavano abbastanza bene. Oddio, la quinqui-mamma non la vedo da un po', sinceramente).
Quindi la domanda, seguita in genere da una risatina di circostanza, mi lascia appesa. Ma di solito non entro nel dettaglio del mio pensiero al riguardo, tanto più che in un certo periodo della mia vita non avrei mai pensato che avrei avuto tutte quelle figlie lì, poi rispondo con un sorriso, anche quello di circostanza, e dico di sì.
Ne avrai piene le mani, mi dice allora Dustin.
Scusi? Dico io, che penso di aver capito ma son mica sicura.
Ne avrà piene le mani, si corregge lui, pensando forse che mi disturbi la confidenza del tu
Ma io non è che mi formalizzo, sai. Dammi pure del tu, caro Dustin, bel tenebroso. È che in primis non mi aspettavo che parlassi italiano, forse perché non pensi in genere che Dustin Hoffman ti parli in italiano, sempre che ti rivolga la parola; in secundis lì per lì ho pensato che quell'espressione là fosse un eufemismo, e mi veniva anche da ridere, un pochino.
Comunque Dustin, tesoro, se proprio lo vuoi sapere sì, a volte ne ho proprio le mani piene, pienissime.

Quindi.
Mentre l'estate si avvia verso il culmine, si sta chiuse in casa alla vana ricerca di un po' di fresco (siamo di quelli che non hanno l'aria condizionata ma in compenso siamo provvisti di ventilatore a tre velocità che quando va al massimo sembra di avere un elicottero in sala. Non per il vento, per il rumore), si fanno i compiti delle vacanze, si va in piscina (l'attività, non pensiate, non è affatto rilassante), o in campagna (dove si boccheggia come in città ma almeno si può stare desnudi e giocare con l'acqua senza pericolo di allagare il bagno o di annegare nella vasca da un metro e dieci).
Dunque, in assenza dell'augusto coniuge che si gode la temperatura tropicale di Shanghai nell'incertezza della scelta tra ravioli al vapore e baozi ai gamberi di fiume, io e le bambine abbiamo la certezza di una settimana in montagna con la NonnaMimmi e il nonno GP.

Ora, io non è che le definirei propriamente vacanze. Più che altro vado al fresco.
(Il fatto che l'espressione richiami la detenzione forzata è puramente casuale).
Il punto è che l'adiacenza in contemporanea di figlie (in veste di nipoti) e genitori (in veste di nonni) è una condizione potenzialmente esplosiva, tanto più che il nonno GP ha già annunciato ufficialmente l'intenzione di adoperarsi per l'attuazione del processo educativo delle nipoti, ridotte allo stato selvaggio dal lassismo genitoriale del cosiddetto lungo periodo cinese (credo si aspetti quanto meno che al termine del percorso le tre usino la forchetta per mangiare gli spaghetti e stiano sedute per tutta la durata del pranzo).
In seguito a (ma, si badi, non a causa di) tale comunicato, la settimana è stata ridotta a sei giorni/cinque notti. E comunque sei giorni/cinque notti sono abbondantemente sufficienti per riempire le mani, anzi assai probabile che ci riempio anche le tasche e traboccano pure quelle.
Non so voi, ma io sto pensando di affidarmi a Coppi per farmi convertire la condanna in lavori socialmente utili.

giovedì 27 giugno 2013

Luna storta, luna segreta

Ci sono giornate che cominciano male. Con una tristezza nervosa depositata lì, sulla bocca dello stomaco, che si imprime sulla tua faccia anche se non vuoi, anche se non te ne accorgi, e che fa dire a chi ti incontra Cosa c'è che non va?
E tu non lo sai, cosa c'è che non va. O forse lo sai ma non lo vuoi dire. Ché le giornate storte capitano un po' a tutti, e quando capitano uno vorrebbe starsene da solo senza gente che chiede cosa c'è che non va, oppure con un'amica che ti guarda per traverso e poi parla d'altro, delle vacanze in Sardegna, delle scarpe nuove, dello smalto arancione o dell'ultimo libro di De Silva, ché tanto lo sa che non le diresti niente.

E comunque resta lì, quella tristezza nervosa, anche se vorresti scacciarla, e ci provi, e imbottisci valigie di costumi e vestitini, mandi le bambine a giocare in giardino per stare un po' da sola o cerchi di riesumare vecchie sensazioni mangiando un intero pacchetto di patatine al pepe. Invano. Perché sei ostinata anche nella tristezza, la verità.

E poi capita una cosa. E succede sempre così, che basta poco per farti cambiare umore, così poco che uno quasi non ci crede, come se fosse davvero colpa della luna, che la vedi nel cielo bigio prima ancora che cali il sole e poi scompare, e poi torna a farsi vedere quando il buio si fa più intenso, e sparisce ancora dietro le nuvole e ricompare più in là, dove non pensavi, magari più grande, gialla, che quasi non la riconosci.
Così insomma capita che devi fare una cosa. Una cosa qualsiasi, che in realtà non ha importanza, come cosa in sé, voglio dire relativamente al fatto che ti mette nelle condizioni di doverla fare.
Perché per farla, quella cosa, devi prendere il motorino. Mica il tuo, no, ché il tuo non ce l'hai più da un po'
Comunque.
E dunque accendi il motorino, e già il rumore ti mette nostalgia. Poi infili il casco, e c'è passato un secolo da quando non lo mettevi che un po' ti viene da ridere, e ridi di nascosto, un pochino. E sai già che terrai su la visiera, che un po' ti dà fastidio e poi vuoi sentire l'aria in faccia, sempre stato così, e sai già che alla prima buca la visiera sbatterà contro il parabrezza, perché lo guidi così, il motorino, un po' spostata in avanti, seduta sul bordo, con il piede destro appoggiato e il sinistro all'indietro, il tallone sollevato.
E quando acceleri e corri sulla strada dritta stai tornando indietro, con la mente, e senti dentro una felicità quasi stupefatta, e ti senti crescere dentro un sorriso che luccica negli occhi.
E anche se devi fare in fretta, a fare quella cosa che devi fare, vuoi gustartelo del tutto, quel giro in motorino, e allora ti fermi al giallo del semaforo, e quando si affianca un enduro tu lo guardi e pensi Siamo uguali, e il ragazzo sull'enduro non lo sa ma tu senti la sua stessa libertà, anche se non hai quella Ducati là con l'adesivo di Margot ma uno scooter argentato con il parabrezza che sbatte contro il casco. E speri anche che al Teatro Romano ci sia uno spettacolo, così la strada sarebbe chiusa e tu saresti costretta a fare il giro lungo, su per le Torricelle, con tutte le curve e la salita fin su e poi la discesa, e poi al ritorno passeresti per il centro, per fare prima. Invece non c'è nessuno spettacolo, e allora vai dritto, e un po' ti dispiace e un po' no, e quando arrivi al Cesiolo, proprio all'imbocco, senti quell'aria fresca che non ti ricordavi più, l'aria fresca che scende dalla collina nelle sere d'estate, e rallenti.
Poi quando fai la strada a ritroso e segui il corso del fiume ti sembra quasi di non averla fatta da una vita, quella strada lì, e invece ci sei passata alla mattina, a piedi, ma in motorino è diversa, sembra quasi che il fiume ti spinga giù, ti faccia correre di più, e poi ancora un semaforo rosso e un ragazzo su uno scooter più grosso, e io lo so che non c'è storia ma un po' ci faccio a gara, e piego un po' alla curva del cimitero, non tanto che non sono mica brava, a piegare, però un pochino sì, giusto per ritrovare un'emozione che pensavo svanita, e mi sento libera, libera di una libertà segreta, perché quel ragazzo lì col tatuaggio sul braccio non lo sa, non ha idea di come mi senta, nessuno lo sa, e questa cosa, di essere l'unica a sapere della mia libertà, mi dà una vaga ebbrezza, simile alla felicità, un po' come quando da ragazza mi ero tolta reggiseno e mutandine e li avevo ficcati in borsa, perché c'era così caldo che non sopportavo di avere quelle cose addosso, ed ero rimasta nuda sotto il vestito e mi ero sentita libera e trasgressiva, di quella libertà tanto più trasgressiva perché nessuno ne sapeva niente.
E così, mentre faccio finta di cambiare le marce e accelero un po', e sposto la testa fuori dal parabrezza quel tanto che basta per avere l'aria in faccia, come quando sei in moto, per caso guardo in su, nel cielo ancora chiaro, pensando di vedere la luna, ché l'avevo vista, prima, sono sicura, e invece adesso chissà dov'è.

venerdì 21 giugno 2013

Sbavature di prima estate

- Mamma, fammi vedere qui...
- Sì lo so, ho i capelli bianchi. 
- E allora devi andare dalla parrucchiera. 

- Mamma... Sai che hai dei peletti qui. Li devi toiere, velo?
- Eh.

- Panciona panciona! Ma aspetti un bambino? 
- Macheddici!? Ossignur
- Eh, hai la pancia...

- Mamma
- Sì...?
- Con quel vestito... non so... si vede l'inizio delle tettine. Ecco, te lo sistemo. Così. 

Con tre figlie femmine non puoi concederti sbavature.
E l'estate è appena cominciata. Oggi.

giovedì 13 giugno 2013

Di trasformazioni, sparizioni e di altri misteri quotidiani

Da un po' di tempo la Gabbianella, tutte le sere, mi dice la stessa frase. 
Si mette il pigiamino, si infila sotto le lenzuola, beve un po' dal suo bicchiere e aspetta che le dia il bacio della buona notte, con i suoi occhietti tondi allegri spalancati nella penombra.
E poi, assicurandosi di avere il ciuccio in una mano e la moto nell'altra (o la macchinina, la mucca, il telefonino di plastica, l'aereo di carta, o qualsiasi altro gioco in giornata abbia eletto come suo preferito) sussurra a mezza voce È stata una bella giornata, vero mamma?

Ora, se si escludono giornate particolari tipo ieri (festa della Nina in giardino con ben tre piscine), durante le quali la Gabbianella arriva da me trafelata interrompendo il gioco per dirmi che si sta diventendo monto (dice proprio così: Mi sto diventendo monto!), la giornata della Gabbianella è piuttosto ordinaria: sveglia alle sette, colazione, crisi di pianto per vestito, treccine denti pipì, crisi di pianto per le scarpe, passeggiata fino alla fermata del pulmino, scuola, rientro da scuola, merenda, parco giochi se c'è il sole/collage o costruzioni se piove, crisi per vedere PeppaPig mentre le sorelle vogliono vedere Violetta, cena, denti pipì piagiamino. Finita la storia.

Eppure lei, tutte le sere, mi dice È stata una bella giornata, vero?
Che poi non è una vera domanda, in realtà è un'affermazione, seppure con richiesta finale di conferma. E quell'affermazione lì ti fa un po' pensare.

Che magari la tua, di giornata, t'è sembrata una palla, una giornata appesa, con poca voglia di fare in generale e poca voglia di rassettare in particolare, ma poi ti conosci e sai che i letti sfatti ti mettono tristezza e i piatti da lavare fanno disordine, e non puoi semplicemente chiudere la porta per non vedere, come per inciso stai facendo da quattro mesi con quello che era il tuo atelier, la stanza con bagno tutta per te, quello che doveva essere il tuo regalo, un rifugio per ricordarti che anche se hai tre figlie puoi avere un posto per te non solo psicologico, perché se hai un posto fisico solo per te poi trovi anche quell'altro spazio, dentro, mentre adesso quella stanza è diventata un magazzino, s'è trasformata in deposito, lavanderia, stireria, scarpiera, e non riesci più nemmeno a entrarci da tante cose che ci sono perché è diventato un posto dove metti le cose che non vuoi vedere in giro, solo un momento finché non troviamo lo spazio, e poi restano lì perché lo spazio non si trova, non è mica un calzino spaiato, lo spazio, che prima o poi salta fuori, lo spazio o c'è o non c'è, e per fare entrare delle cose devi eliminare delle altre cose, ecco. La stanza tutta per te, per esempio.
E comunque della tua giornata, dopo che hai portato le bambine al campo scuola e te ne sei tornata a piedi, dopo che hai rassettato, dopo che sei andata a prendere le pagelle e le cose in lavanderia, dopo che hai fatto la spesa, raccattato tutte le scarpe (comprese le tue), mangiato gli avanzi un'insalata mista, fatto una lavatrice e magari stirato una camicia (una sola, che fa caldo), insomma non è che ne resti molta, di giornata, prima delle tre e mezza. Nemmeno un po', la verità. Puff! Sparita.

Però, riflettendoci, da quando c'è il sole, cioè da quando non piove più tutti i giorni tutto il giorno, le giornate non sono poi così male.
Perché ti capita di avere voglia di fare una camminata fin su a Castel San Pietro, a vedere la città dall'alto, e la puoi fare, e scoprire che l'aria è così tersa che vedi fino in fondo all'aeroporto.
Oppure ti viene voglia di fare una corsa, e la fai, fino alla diga, a guardare il fiume calmo a destra e impetuoso a sinistra, e togli la musica per sentire il fragore dell'acqua nelle orecchie e chiudi gli occhi per immaginare di essere un sasso e sentire l'acqua addosso.
Oppure prendi un libro e una mela e vai giù in giardino a leggere, ti togli le scarpe e cammini nell'erba fresca, poi ti siedi sulla panchina e leggi finché non hai finito quel libro da 99 centesimi che hai trovato al supermercato, i Tascabili Economici Newton, che una volta avevano quello slogan, 100 pagine 1000 lire e trovavi tutti i classici e anche quelli che non avresti mai letto se non li avessi trovati a mille lire, tipo L'umorismo, Un mangiatore d'oppio, Jettatura o I racconti degli Arabeschi, per dirne qualcuno, e poi avevano smesso di farli, e adesso a rivederli al supermercato a 0,99 euro ti ha messo una strana nostalgia e allora hai comprato Cuore di cane e l'hai letto a piedi nudi in giardino mangiando una mela.

E allora, anche se il tuo atelier è diventato uno sgabuzzino con bagno e la montagna di cose da stirare sta raggiungendo il soffitto, anche se per entrarci devi scavalcare mille mila scarpe nonostante tu ne abbia già eliminate altre mille mila (molte delle quali tue, la verità), anche se stai ad aspettare che l'asciugatrice finisca per piegare la biancheria e sei sempre in crisi di idee quando devi preparare la cena; anche se avresti preferito un aperitivo con le amiche anziché un pomeriggio al campo giochi con conseguente serata di docce e asciugatura capelli e crisi di pianto su una pasta fredda con pomodorini e ricotta; insomma, nonostante la giornata, alla fine dai un bacio alle tue bambine e, prima di socchiudere la porta, guardi la Gabbianella e i suoi occhietti tondi e le dici che sì, è stata proprio una bella giornata. 
Bellissima, amore mio.
E il fatto misterioso è che, in quel preciso momento, lo pensi davvero.

venerdì 7 giugno 2013

Intoppi

Sono in ritardo. Al solito.
Ché invece di andare a correre subito subito come avevo pensato, mi è venuto la sindrome pulitoria e ho fatto una lavatrice e sistemato i letti e lavato i bicchieri e spazzato per terra e per poco non mi metto a lavare i vetri, che non ci si vede fuori e poi penso ci sia la nebbia e invece sono i vetri.
No, dai. I vetri no. Vado a correre, che con tutte queste feste (feste! Vabbè, lasciamo andare) ho mangiato un sacco di patatine e torte e bignè alla crema.

Driiiinn.... Driiiiinnn

- Pronto?
- Buongiorno, Comune di V*, parlo con la Signora Wonder?
- Sì, sono io (di pirsona pirsonalmente, direbbe Catarella. Mi metto quasi sull'attenti)
- Scusi se la disturbo
- Si figuri (stavo solo per andare a correre, ma posso aspettare due minuti. Non di più che poi perdo lo sprint)
- Ci risulta che abbia fatto richiesta di trasporto scolastico per la Gabbianella
- Sì sì, ho fatto l'iscrizione on line. Ho sbagliato la data di nascita, vero? È che il sistema mette in automatico...
- No Signora...
- (eddài con 'sto Signora, ma se sono una ragazzina)
- è che non risulta che sia in regola con i pagamenti precedenti, quindi la sua richiesta è sospesa.
- Maddài? Come sospesa? E la Gabbianella me la lasciate a piedi, porella?
- Le dico che non è in regola
- Ma non ho ricevuto il bollettino...
- Fa niente. Ci deve mandare al più presto quarantuno euro e quaranta per la refezione scolastica.
- Ma non era il trasporto?
- Sì ma lei non è in regola con la refezione. Quarantuno euro e quaranta.
- Ah. Vabbè.
- Lo faccia subito che sistemiamo la cosa al più presto. Poi ci manda un fax.
- SignorSì, va bene. Quarantun euro e quaranta.
- Esatto. Arrivederci Signora
- (Signora tua nonna) Arriverderci.

Subito, sì, però vado a correre, prima. Che poi devo fare una torta per il compleanno della cuginetta e a mezzogiorno escono le ragazze.

Drrriiiiiinnn

- Pronto?
- La Signora Wonder?
- (Di pirsona pirsonalmente) sì
- Sono ancora io, scusi se la disturbo
- Mi dica (mannaggia il tempo che passa)
- Risulta che non ha pagato nemmeno il trasporto, in effetti.
- Ah.
- Deve versare anche 138,60 euro, però in un altro bollettino, quello per il trasporto.
- Va bene. Due bollettini.
- Un bollettino da quarantuno euro e quaranta e uno da centotrentotto e sessanta. Capito tutto?
- Capito, certo.
- Arrivederci, allora
- Buon giorno, sì.

Adesso vado, che mi resta poco tempo.

Driiiinn, driiiiiiiiiiiiiinnn

- Pronto.
- Sono sempre io.
- (Sa che c'avrei giurato? Io pure sono io di pirsona pirsonalmente) Che succede?
- Ci siamo sbagliati, sa. Il trasporto non lo deve pagare.
- Ah. Meglio così. Grazie, eh, arrived...
- Ennò, aspetti un attimo. Quei 138 euro e 60 li deve pagare lo stesso, solo che sono anche quelli per la mensa. Allora dovrebbe fare un bollettino unico di centoottanta euro.
- Ammazza centoottanta euro. Quanto magna la Gabbianella?
- Subito!
- Subito subito? Sarà mica meglio che aspetto dieci minuti, per sicurezza?
- Non faccia la spiritosa, questa è la volta buona.
- Ok. Arrivederci, eh.
- Saluti, Signora.

Vabbè, domani. A correre ci vado domani. 
Però. Mi sorge così, spontanea, una domanda. Sarò mica davvero una Signora

mercoledì 5 giugno 2013

L'ultima settimana

Questa è l'ultima settimana di scuola.
L'ultima. Settimana. Di. Scuola.
Così per inciso, ultima settimana di scuola viene a significare che dalla prossima, di settimana, inizia un periodo piuttosto lungo di adiacenza delle pargole.
Ma andiamo oltre.
Una delle poche, pochissime cose sicure, anzi l'unica vera certezza della vita, è che dobbiamo morire. Lo so, detto così fa impressione, ma qualcuno ve lo doveva pur dire.
Ora, alla luce di questa incontrovertibile verità savonarolesca, che io muoia, alla fine di quest'ultima settimana di scuola, non avrebbe in sé nulla di straordinario, se non l'essere questa l'ultima settimana della mia vita.

Pensate ora. Se voi sapeste che questa sarà l'ultima settimana della vostra vita, fareste come Lutero, e continuereste a vivere come se niente fosse, piantando anche il vostro alberello di mele, o fareste come Vasco Rossi, e berreste ogni attimo col sole sempre in faccia, come se tutti i giorni fosse sabato sera?
Ammetto che il parallelo Lutero/Vasco è un tantino ardito. Allora scambiamo Vasco con Orazio, che fa più intellettuale.

Il fatto è che questa settimana, l'ultima settimana di scuola e potenzialmente l'ultima della mia vita, ha una pianificazione che neanche il tour di Bruce Springsteeen, come ha detto qualcuno.
Martedì. Festa a scuola della Gabbianella. Please portare un dolce. A seguire festa di compleanno per BB, e anche per il Gatto, ma siccome ancora non possiedo il dono dell'ubiquità una festina salta. E martedì è andato.
Mercoledì (vale a dire oggi). Lezione aperta di musica a scuola, con performance dei bambini a cui i genitori sono pregati di prendere parte (non solo con la presenza. Serve anche cantare e ballare e battere le manine). Nel tardo pomeriggio fino a sera, festa di fine anno di tutta la scuola, per la quale siamo invitati a portare due torte (una della quali è già in forno) e due bibite.
Giovedì. Festa di compleanno.
Venerdì. Festa di compleanno. A seguire, cena di classe della prima A. Se vi fosse sfuggito, sottolineo che è venerdì sera.
Sabato. Due compleanni. Cena di classe della seconda A. Se vi fosse sfuggito... Mannò, son sicura che non vi è sfuggito.

Dunque. Se qualcuno mi avesse detto in anticipo che il ruolo di madre prevede questa serie di obblighi parascolastici ci avrei pensato su. 
Avrei fatto l'amore con Control, per esempio.
Perché io non dico che si debba vivere sempre come fosse l'ultimo giorno, godere ogni attimo, carpire il diem (ché poi diciamocelo, il più delle volte non ce l'hai mica il tempo di cogliere l'attimo). Però nemmeno bastonarsi i cabasisi come Tafazzi.
Fate qualcosa per me.
Salvatemi.
Dum loquimur, fugerit invida aetas. 

Uccidetemi. Subito però. Prima di quest'ultima settimana di scuola.

giovedì 30 maggio 2013

Vicinato

Vivo in un appartamento.
Non che sia una notizia di rilievo. Probabilmente la maggior parte della popolazione mondiale vive in appartamento.
Voglio dire, mi piacerebbe stare in una villetta con giardino, una di quelle liberty di via Menotti per esempio, o di via Risorgimento. Ci terrei anche un gatto, o magari un canarino, e le rose bianche rampicanti. Sul gatto non ho problemi, è autonomo. Sul canarino avrei già qualche difficoltà, quello bisogna ricordarsi di dargli da mangiare e anche da bere, a volte. Però sai che bello sentirlo gorgheggiare la mattina presto. Le rose avrebbero vita assai breve, e non avendo il dono della parola non credo resisterebbero più di sei mesi, e comunque questa loro caratteristica, cioè di non lamentarsi se stanno male, mi solleva dalla responsabilità in caso di morte, e sinceramente mi fa sentire meno in colpa. Però le vorrei lo stesso, sono molto romantiche. Andrebbero bene anche rosse, credo.

In realtà sono incerta. Non so se mi piace di più la villetta liberty di cui sopra, vicino al centro, con le imposte azzurre e la ringhiera piena di riccioli, un bovindo esagonale e la terrazza col pergolato, o una grande casa shabby chic nel verde della campagna, con i lampadari bianchi le tovaglie di lino e i candelabri d'argento sul grande camino, l'amaca all'ombra del cedro e le lanterne appese a illuminare tremule le notti estive, o magari una villa design supertecnologica, di quelle che hanno il garage con la porta automatica e il pavimento di piastrelle bianche e nere con un ingresso direttamente in casa, che quando entri le luci si accendono da sole, che non capisci dove siano gli armadi e che ti basta schiacciare un bottone per avere un aperol soda completo di fetta d'arancia.

Comunque, in realtà, cioè nella vera realtà, vivo in un appartamento.
Bello, eh. Luminoso, terzo piano. Un sacco di finestre. Da pulire, per inciso.
Che poi quando uno parla di condominio t'immagini una serie di appartamenti tutti uguali, con la cucina appena entrati sulla destra, poi il soggiorno, camera camera bagno sgabuzzino camera bagno (due bagni, ci son sempre due bagni, anche se poi uno diventa la lavanderia e gli ospiti a lavarsi le mani li mandi nell'altro, quello grande), se va bene anche un balconcino dove puoi far crescere dell'edera ricadente e una pianta di basilico (annuale, e c'hai pure la scusa se poi a un certo punto muore) e una serie di vicini con cui solitamente scambi grugniti alla mattina presto e un saluto poco meno che cordiale al pomeriggio tardi, se va bene.
Qui no. Qui gli appartamenti non si somigliano per niente e c'è una fauna condominiale piuttosto pittoresca, senza contare che, essendo un condominio molto piccolo circondato da condomini grossi, ci sono anche dei vicini che non sono propriamente condomini ma che ormai fanno parte del paesaggio, con il non trascurabile vantaggio che non ci litighi nelle assemblee.

E in effetti, da quando hanno tagliato il pino marittimo davanti a casa, sul lato ovest, dalla cucina vedo distintamente i movimenti delle vicine, ombre nere che si muovono dietro le finestre come le sagome di quel film di Fantozzi ma invece esistono davvero, le trovi in giardino che raccolgono i fiori e regalano caramelle alle bambine. Hanno nomi tipo Luisanna, Pervinca, Renata ma nell'insieme vengono chiamate affettuosamente Quelle troie delle moneghe, hanno sorrisi sdentati e garage ambitissimi che riempiono di cassette di mele, marmellate e scatole di vestiti. D'inverno probabilmente vanno in letargo, ma con la bella stagione aprono le finestre e, specie nelle serate di maggio, riempiono l'aria dei canti per la Madonna, il che in qualche caso risulta anche comodo perché quando all'improvviso non senti più l'Aave Mariiiaaaaaa capisci che è ora di preparare la cena.

Quasi contemporaneamente al pino marittimo davanti a casa hanno tagliato anche l'enorme magnolia dietro casa, sul lato est. L'operazione, per la quale ho pianto un po' come Idefix, mi ha improvvisamente aperto un mondo sugli altri vicini, quelli del condominio sul retro.
Ora, non è che io passi il tempo spiando nelle case altrui, sebbene per un certo periodo di tempo davanti a una delle otto finestre della sala abbia stazionato un telescopio che può aver indotto qualcuno a fare dei pensieri su certo voierismo di ringhiera. Ma giuro che serviva per le stelle. Comunque. Il fatto è che se apri la finestra per arieggiare la stanza alle nove della domenica mattina non puoi evitare di vedere il ragazzo del primo piano che staziona sul poggiolo scrutando il cielo come un aruspice in mutande e petto nudo. Poi insomma, se quello se ne sta lì ad aspettare un segno divino tu hai anche il tempo di fare qualche considerazione sul suo personale, come si dice.
Sullo stesso piano, a sinistra, ci abita un vecchietto. Guida una Bianchina bianca e guarda la televisione a tutte le ore. La moglie, una bionda occhiglauca che da giovane doveva essere una bellezza, aveva un nome impronunciabile di origini tedesche. Un giorno è arrivata l'ambulanza e l'ha portata via, e non l'abbiamo più vista.
Al secondo piano ci sta una coppia, lei appende sul poggiolo le giacche ad arieggiare e le lascia lì per settimane, al vento e all'acqua. Lui innaffia rigogliose campanule viola e fa girare con un dito le girandole a forma di coccinella. A Natale il balcone sembra l'insegna del circo Medrano, con mille luci colorate e lampeggianti, e resta così più o meno fino a Pasqua.
Poi c'è la ragazza isterica del terzo piano, quello che si fa la doccia con la finestra aperta, quello che va sul davanzale per tagliarsi le unghie, quello che suona benissimo il pianoforte, quella che grida ai figli di non gridare, quella che se ti incontra al cassonetto ti attacca un bottone che non finisce più, quello che fa delle festine rumorose e non ti invita mai.

Con un vicinato così, si può ben capire che in questo mini condominio ci sia un certo turnover. Qui resistono solo i migliori. O quelli che non hanno alternative.
E pensare che ancora nessuno ha tagliato il cipresso del lato sud.