venerdì 30 novembre 2012

30220 (funny things)

Eccomi qua, all'East Asia Exhibition Hall, 800 LingLing lu, all'ombra dello stadio, con il mio cartoncino blu per ritirare il pettorale.
Sembra di stare a una fiera. E mica me l'immaginavo che era una festa. Mi danno il numero, uno anche per l'Aamico che corre con me, e una maglietta rossa niente male, una dry fit della Nike che a comprarla ti costa 640 yuan.
Insieme mi consegnano anche un foglio con le istruzioni. Tipo che devo presentarmi alla partenza tra le sei e 45 e le sei e 55, che devo correre fino al traguardo e poi levarmi dai piedi, che devo indossare vestiti colorati e un bel make up e magari anche una parrucca così la fun marathon è ancora più funny.

Vabbè, passiamo oltre. Ma questo bib, che per inciso mi sembra di carta, non è che se piove si scioglie prima della fine? Lo dico perché son due settimane che guardo le previsioni, e dicon che piove, eh, vi avverto. Comunque, come lo attacco alla maglietta, il numero? Ci metto la colla? Ché a quelli che corrono la marathon glie l'han dati, gli spilloni per attaccarlo, l'ho visto...
Sicché vago un po' finché mi fermo al punto vip della Nike, scrivo un po' dei miei dati e in cambio mi danno un sacchetto con dei bottoni per il pettorale, una ricarica telefonica da 300 yuan e un porta iphone da braccio.
- Ce l'ho mica, l'iphone, per correre uso l'ipod nano. Hai un porta ipod nano? No eh? Come dici? Me lo faccio regalare dal fidanzato? Eh, sì, dai, che idea. Intanto dammi uno di 'sti cosi anche per l'Aamico, va', che se torno che io ce l'ho e lui no finisco male. I dati del mio Aamico, dici? Mah, questi presi a caso andran bene, no?...
Ok, perfetto, ora posso andare. Passo di qua, che c'è della musica. Che fanno? Una sfilata? Va' quello con la tutina tutta ciucciata e le mutande gialle, sarà mica bello? Quanto son maaaaagri 'sti modelli, bianchi come il latte, sorridi va' che ti stan facendo una foto...
Faccio il giro di qua, meglio, non vorrei entrare nell'obiettivo di questo stuolo di fotografi che hanno l'entusiasmo di una carota al vapore.

Che c'è qui dietro? Oddio un maratoneta, da quanto sei fermo lì con la bandiera in mano? Ah, no, è di cera. Ma sant'iddio, gli han fatto pure i peli sotto le ascelle!
Qui che c'è? La maratona di Atene, fico! Magari l'anno prossimo, eh?
E qua? Auricolari per iphone a soli 1960 yuan. Grazie, non ce l'ho l'iphone. Come dici? Te lo fai regalare dal fidanzato? Glie lo dirò, sì.
Qui c'è la fila, vediamo cosa fanno. Lanciano scarpe contro un muro. Non mi pare che l'attività richieda grande destrezza. Ah, no, vedi, c'è il trucco, devi farle restare attaccate al gancio sulla parete. Vinci un paio di calzini. Vabbè, anche no.
E questi? sembrano mica normali, a dar pugni al vento. Che a guardarli da fuori anche quelli che giocano con la wii sono ben strani.
Bevande energetiche. Tè dello yunnan. Gioielli. Scarpe da collezione. Polizze assicurative. Centro massaggi.
Ok, ho visto abbastanza. Meglio se torno verso casa.

Però, a pensarci bene, questi delle polizze sono lungimiranti...
Facciamo un po' di chiarezza, eh, visto quello ch'è successo qui.
Vi do una dritta, anzi due, nel caso.
Come foto vorrei quella della carta d'identità. Lo dico perché a qualcuno non venga in mente di usare quella del passaporto, ché ci tengo, io, a far bella figura coi posteri.
E come canzone, questa, o questa, o questa. Al limite anche questa.
Ah, un'altra cosa. Mettetevi pure una parrucca, che fa più funny.

martedì 27 novembre 2012

Un'ora sola (La differenza tra qui e là)

Ieri sono andata in HuaiHai Lu, bella strada piena di negozi di lusso e mall e gente, una strada effervescente che di sera ha un sacco di luci e lucine, che però ci sono tutto l'anno mica solo a Natale, e di giorno gli schermi che proiettano questa pubblicità della Shanghai Marathon dove ci sono dei ragazzi-cartoon che corrono, e uno c'ha la testa come la pearl tower, uno ce l'ha a forma di raviolo, uno diventa la financial tower, e insomma dovrebbe essere la Shanghai che corre, credo.
È una strada lunghissima, con un sacco di vetrine bellissime. Un sacco di bancomat, anche, che a volte son utili.
È che sono scesa dalla metro con un paio di fermate di anticipo, mica tante. Ho camminato un'ora, e io di solito non cammino mica lenta, e sono passata di fianco a bei ristoranti, tipo Le Cuivre, dove mangi in piatti lunghi e stretti e bevi vino francese sotto lampade rotonde di legno intrecciato, poi vicino alla JiaoTong University e alla biblioteca, e fuori dalla biblioteca c'è la riproduzione del Pensatore di Rodin e un sacco di scale perché è una biblioteca monumentale e dentro ci sono anche dei bar e una vetrata piena di piante a cascata e una specie di fontana con un libro fatto a scala che forse sarà la scala della conoscenza, chissà. Poi lungo la strada ho trovato delle cabine del telefono rosse, e dentro ci sono dei telefoni gialli, ed è strano perché tutti i cinesi hanno i telefonini, anche due a testa, e quelle cabine non le usa più nessuno mi sa, e poi locali, e ambasciate con le guardie in divisa impettite come statue, una scultura enorme di una chiocciola con sopra un elefante, chissà che vuol dire, se ce l'ha un significato, e un taxi di Londra però giallo con un finto Tower Bridge con le insegne della Twinings, e insomma ho camminato un'ora, un'ora dico, prima di arrivare al Nike Store, che poi è lo sponsor della Shanghai Marathon, dove mi sono comprata una maglia da running. Ché insomma per quella corsa là ci vuole qualcosa di nuovo, no?
Lo so che non corro la Marathon, e neanche la Half Marathon. 
Diciamo una StraShanghai, a star larghi. 
Però mi volevo gratificare, ecco. E se anche è costata una follia, quella maglia lì, va bene lo stesso, che a volte le follie vanno in coppia.

E comunque poi ho pensato Va' che roba, che qui puoi camminare un'ora lungo la stessa strada, e neanche farla tutta, ché poi si era fatto tardi e io non son andata più in là del Nike Store, son tornata indietro, ma la strada non era mica ancora finita.

E invece , pensavo, in un'ora vado fino a Montorio. Oppure al Porto. Capace che se cammino in fretta arrivo anche fino a San Massimo.
Sono cose.

lunedì 26 novembre 2012

Il gusto proibito del bambù

- Ma, Gatto, avevi da preparare i compiti di topic! Qui c'è scritto che domani devi portare l'habitat del tuo animal...
- Sì
- Ah, ecco, sì. L'hai fatto?
- Cosa?
- L'habitat amore, hai fatto l'habitat per il tuo... che avevi scelto, il panda se non sbaglio.
- Noo.
- Mi pareva, infatti. E vogliamo farlo o vai senza compito?
- No! facciamolo!
- Allora dai, dobbiamo metterci qui subito. Vediamo... Io lo farei di carta, tipo origami, che ne dici?
- No no no! Di carta non mi piace.
- Non ti piace. Allora lo facciamo col pongo?
- Ma non lo voglio col pongo!
- E con qualcosa lo dobbiamo pur fare!
- La maestra ha detto che lo possiamo fare col lego.
- Ma noi il lego non ce l'abbiamo. A parte che sarebbe difficile fare un intero habitat... vabbè comunque non ce l'abbiamo, il lego, il problema non si pone.
- Allora come facciamo?
- Stai calma Gatto. Adesso ci penso. Per esempio, ce l'hai ancora il peluches della scuola?
- Quello con la maglietta e il cappello?
- Sì. Gli togliamo il cappello e anche la maglietta, che i panda ce l'han mica, in natura, e usiamo quel panda lì.
- Ok. Abbiamo finito? Posso mettere un fiocco rosa al panda? Così è più bello
- Amore, no. Il panda non ha magliette e nemmeno fiocchi, in natura. E poi dobbiamo fare l'habitat, ricordi? Dove vive il panda?
- Nel... bambù.
- Nelle foreste di bambù, sì. Dobbiamo fare la foresta di bambù. Hai qualche idea?
- …

- Non avevo dubbi. Cosci, dammi una mano tu
- Io un'idea ce l'avrei, però...
- Dai spara, che qui siamo in difficoltà con la tempistica
- Ci vuole una scatola, e poi indovina, il bambù. Siamo in Cina, sarà mica difficile trovare il bambù.
- Che vorresti dire?
- Eddài Wonder, esci, vai qui dietro che c'è il boschetto di bambù, ne tagli un paio e hai la tua foresta
- Cosci, ti faccio notare che sono le cinque del pomeriggio, c'è un buio della madonna e sta diluviando. E non so se ti è mai capitato, ma non è mica tanto facile tagliare una canna di bambù, basta mica il coltellino svizzero.
- E allora lascia la tua bambina senza topic project, che ti devo dire.
- Quando parli in inglese sei ridicola.
- E da che pulpito. Comunque la sostanza non cambia, Wonder. E guarda che il tempo passa, ti conviene non pensarci troppo.
- Non ho nemmeno gli stivali da pioggia, mannaggia...

La Wonder, munita di ombrello, impermeabile e coltello da macellaio che sbuca dalla tasca, si muove furtiva verso il boschetto di bambù, accompagnata da un Gatto perplesso che cerca di mascherare una lieve inquietudine.
Se una delle guardie la trova a prendere a sciabolate la boscaglia avrà il suo bel daffare a spiegare perché. Senza contare cosa dovrebbe inventarsi se qualcuno la vedesse uscire dal boschetto con un paio di canne di bambù lunghe due metri sulla spalla. Confida nella pioggia, nel buio e nell'aria di tramortita indifferenza che sa mettersi in faccia quando fa qualcosa di proibito.

Il che accade piuttosto di rado, non crediate. Tipo quella volta che ha rubato una mela dall'albero, la più buona della sua vita, che se la ricorda ancora.

mercoledì 21 novembre 2012

Piattini di riso e pianto

Ecco, è successo.
E prima o poi doveva capitare, lo sapevo.
Ché quando parti hai voglia di vedere tutti gli amici, e salutarli, e dirgli che ti ricorderai di loro, e che quando verranno in Italia, e che quando tu andrai in Francia, in Giappone, in America, a Taiwan, quando tornerai a Shanghai...
E allora prendi il telefono e inizi a scorrere la rubrica, e vedi dei nomi, mica sono tanti, quei nomi lì, che nella tua scheda cinese ci sono solo gli amici nuovi, e non sono mica tanti gli amici nuovi.
Veramente ci sono anche dei nomi che non ti ricordi bene a quale faccia appartengano, ma quelli sono pochissimi.
E poi mentre scorri la rubrica pensi adesso chiamo l'Amica Francese, e state al telefono un'ora e promettete di vedervi, prima di partire. E anche Doris, che adesso ha una pancia che sembra una balenottera con gli occhiali rossi, che da quando è incinta non vi vedete più tanto perché è sempre stanca, ma quando vi vedete vi abbracciate, pancia permettendo.

E mentre sei lì che scorri tutti i nomi arriva un messaggio, e sono Li Jie e Tamao che ti invitano a pranzo. E allora vi trovate nella lussuosa hall dell'hotel Millennium, e tu arrivi con le borse della spesa con la verdura e la toilet paper, e non è mica molto fashion andare in giro con la toilet paper ma qui in Cina non ci fa caso nessuno, nemmeno nella hall lussuosa dell'hotel Millennium.
E al secondo piano c'è un ristorante cinese dove mangiate ravioli e maiale dolce e anatra arrosto e pollo e manzo al peperoncino e noci zuccherate al sesamo, perché ordina Li Jie e tu hai voglia di provare tutto quello che sai che non mangerai più, perciò assaggi anche un pezzetto di piccione che ha proprio l'aspetto di un piccione, becco compreso, e anche le zampe di gallina, mollicce, con quelle ossa minuscole che si rompono in bocca e pare facciano così bene alla pelle, e il tofu spugnoso con i funghi e le arachidi, e la tapioca piccante, e usi le bacchette e scopri che sei diventata piuttosto agile, e non perdi più il cibo in mezzo alla tavola, e bevi il tè al gelsomino e ridi nel sentire che Tamao non andrà a Londra con suo marito perché fa troppo freddo e soprattutto perché ha il saggio di Hula Hoop, può mica perderselo anche se è principiante e la metteranno in fondo, là dietro un po' nascosta, e poi scopri che Li Jie ha una camera tutta rosa anche se ha trentacinque anni perché il feng shui dice che le donne senza marito devono circondarsi di quel colore lì, che è il colore dei fiori di pesco che con il loro profumo attraggono i mariti, e diciamo proprio così, i mariti, e ridiamo.
E poi Li Jie ordina un sacco di dolci, tutti quelli del menù così li posso provare prima di andare via, dice lei, e noi diciamo che è troppa roba e lei dice che se non mangiamo noi mangia lei, e poi dice anche che dovrebbe dimagrire per trovare i mariti e allora ridiamo ancora, e arrivano delle vaschette con una zuppetta di fagioli rossi dolci, una zuppetta di riso cotto nell'alcol di riso, una zuppetta con delle palline gelatinose arancioni, delle specie di tortine con delle palline gelatinose blu, dei quadrati di iced jelly con della frutta secca e degli involtini di crema alla banana.
E poi mi regalano due piattini cinesi, uno con i disegni azzurri di Tamao e uno di Li Jie con gli stessi disegni però in rosa, per via del feng shui, e mi dicono che così mi ricordo di loro, e allora realizzo che probabilmente non le rivedrò più, e aggiungo probabilmente ma solo per sentirmi meglio perché in realtà so che non le vedrò più, nonostante le promesse, nonostante i voli low cost, nonostante questa minchiata della globalizzazione, perché la Cina è lontana e anche il Giappone, e mi viene da piangere e penso che non mi servono i piattini per ricordarmi di loro, e ci abbracciamo e anche a Tamao viene un po' da piangere, e le do io un fazzoletto perché non se l'aspettava mica, di piangere un po', Li Jie invece sta seria, non ride nemmeno, e le cinesi quando sono tristi ridono di un riso finto e imbarazzato, invece lei non ride, mi guarda solo con gli occhi neri e mi dice Dimmelo se hai bisogno di qualcosa, io sono qui.
E così poi prendo la mia bicicletta e le guardo andare via e girarsi e salutare con la mano, e pedalo verso casa con la mia toilet paper e la verdura e i piattini cinesi, e mentre pedalo mi arriva un messaggio, I'll miss u, dice, e a me viene un groppo e poi sento le lacrime che scendono, e non è che mi cola il naso come quando piango tanto ma le lacrime sì, e provo a fermarle ma niente, si scioglie anche il mascara e non piove nemmeno che avrei la scusa per la faccia tutta bagnata, e penso va' che scema, e provo anche io a ridere di quel riso finto ma non funziona, e però poi penso anche che fa lo stesso, ché se non importa a nessuno di una ragazza con la verdura e la toilet paper nella lussuosa hall dell'albergo Millennium a chi mai potrà importare di una ragazza che pedala con dei piattini cinesi e la faccia bagnata di lacrime.

lunedì 12 novembre 2012

Filosofia delle idee, QI e diversivi domenicali

Dicono che cambiare idea sia sintomo di intelligenza.
Tu per esempio hai una convinzione radicata, che hai maturato nel corso di anni di esperienze, e sei sicura che sia giusto, quello che pensi, proprio perché si tratta di un'idea empirica, di una condizione praticamente scientifica, un ragionamento che deriva dalla sperimentazione quotidiana, ecco. Che poi può capitare che arrivi ad avere certe idee anche senza averne un'esperienza pratica, non dico mica di no. Anzi. Si chiama deduzione, ecco, e ha un po' a che fare con l'intuito, e si sa che a noi donne l'intuito ci piace un casino.
Comunque.
Tu sei una persona tutta d'un pezzo, credi nelle tue idee e il compromesso ti sembra una debolezza, una finzione, che alla fine magari mette d'accordo tutti ma non accontenta nessuno. E se anche poi ti ci adatti, al compromesso, resti intimamente, profondamente convinta che la tua idea sia quella giusta, e ti senti in colpa con te stessa per aver abdicato, quando capita.

Però dunque arrivi a un punto in cui qualcuno ti convince a cambiare idea. Tu, per quanto sia affezionata a quell'idea là e cerchi di difenderla in ogni modo, alla fine ti accorgi che ha qualche pecca, che c'è un buco qua che fa acqua, un tarlo là che la corrode, e che le tue esperienze, quelle che ti avevano consentito di elaborare la tua idea con una certa sicurezza, in fondo sono parziali, sono relative, ecco, e quindi, in definitiva, potrebbero essere sbagliate.

E quindi capita alle volte che io sia indotta a cambiare idea. Però quando capita non è che rimpiango l'idea di prima. La saluto, adieu, la ricordo come una vecchia amica con cui alla fine hai scoperto di non avere così tanto in comune, e basta, di solito. Largo al nuovo.

Così succede che una domenica mattina cambi idea.
Che prima pensavi no, non se ne parla, poi sai che casino, lo so già come va a finire, son già stanca adesso che son solo le nove e mezza, ché alle nove e mezza hai già fatto la colazione il bagno asciugato i capelli la vestizione i disegni e due origami per tre bambine e adesso ti mancano ancora quattro ore prima del pomeriggio con gli amici al parco, e a loro è venuta questa smania di pulizia e si son già litigate le due scope di casa però sono state così brave a spazzare la sala e anche la cucina sotto il tavolo, e in qualche modo bisogna pur fargliele passare, quelle quattro ore, e allora magari, mentre loro fanno quello, pensi che potresti buttarti sul divano a leggere due pagine del libro appena iniziato, e poi ti viene in mente quello che diceva la Bis Nonna alla NonnaMimmi nella stessa situazione, e la Bis Nonna diceva che è meglio approfittarne, di quei desideri lì, e insomma alla fine ti convinci che va bene, adesso sono grandi abbastanza, forse, scacci via quella tua idea retrograda e le metti su due sgabelli davanti al lavello, e così una lava i piatti con la schiuma e l'altra li sciacqua e li mette ad asciugare. Però i coltelli li togliamo, eh, ché con quelli si fan male pure i grandi.

E poi, quando son passati venticinque minuti e in realtà non hai letto molto, di quel libro appena iniziato, ma in compenso sai tutto della Snoring Beauty e anche qualcosa di Fox per ogni giorno della settimana, ché non sei mica riuscita a convincerla, la Gabbianella, a leggerseli da sola quei libri là; dopo che empiricamente hai avuto modo di riflettere piuttosto a lungo sul fatto che questa ostinazione nel tenersi le proprie idee è tipica dei bambini, in tutta evidenza; poi dunque torni in cucina, e ti avvedi che in effetti, a ben guardare, cambiare idea a volte non è una mossa molto intelligente.

giovedì 8 novembre 2012

Never be afraid of change, ovvero Della relatività delle percezioni temporali (pensieri sparsi a margine di una notizia)

Quindici mesi. 
È un periodo lungo, quindici mesi. Ci puoi far nascere un bambino, e anche farlo crescere un po', per dire. Oppure imparare a ballare il tango, ecco.
Che poi invece il tempo passa così in fretta che quasi non te ne accorgi. E anche quando cambi continente, e ti ritrovi a vivere, che so, in Cina, e prima di partire hai un po' paura ma sei anche eccitata e curiosa; quando riempi scatoloni di libri, vestiti, lenzuola e scarpe, e fai spazio anche alle biciclette, ma non pensi di portare via le foto anche se poi capirai che ne avevi bisogno, di quei ricordi; quando lasci il lavoro che ti piace perché ti aspetta una vita diversa, e quel lavoro non ti può aspettare; quando ti prepari a cambiare vita, insomma, anche solo per tre anni, e ti trascini dietro i brandelli della vita di prima, a farti un po' di compagnia, non ti rendi mica conto che il tempo passa in fretta.
E invece sono già passati quindici mesi. 

E in quindici mesi scopri che la Cina è un paese immenso, e che ancora non sei capace di trasformare una carta geografica in terra vera. Scopri che i cinesi sono curiosi, come i bambini, e che se uno sconosciuto guarda nel tuo carrello quando fai la spesa, o ti chiede quanto hai pagato la tua borsa nuova, o vuole sapere quanto pesi e cosa mangi e dove stai andando è perché qui la privacy non esiste, neanche quando fai la pipì.
Capisci che per loro non ci sono filtri, e gli occhi, quegli occhi che ti fissano fino a crearti imbarazzo, che ti scrutano con l'interesse morboso dei bambini, gli occhi sono così sottili perché vogliono vedere lontano senza farsi guardare dentro.
Perché i cinesi sono bambini. Vogliono macchine costose e potenti, e ci mettono il poggiatesta di peluches. Indossano le scarpe coi tacchi a spillo, la minigonna di finta pelle e in testa un cerchietto con un fiocco rosa. Sono cocciuti ed egoisti, maleducati, prepotenti e furbi proprio come certi bambini. Fanno promesse che infrangono con sconcertante facilità, nascondono i cocci e fanno finta di niente, coprono l'immondizia con un muro di fiori, perché ciò che vedi è più importante di ciò che sei.

Però impari anche, in quindici mesi, che si può trasportare una vita intera su un carretto, per le strade della città; che si può passare la giornata in un negozio di due metri per tre, e dormirci, e mangiarci, e viverci, e continuare a sorridere. Scopri che i cinesi sono coraggiosi, e possono lasciare un lavoro e uno stipendio sicuro per inseguire il sogno di girare in bicicletta e fare fotografie. Che si buttano nelle imprese più strane senza paura, perché hanno poco da perdere, e ricominciano ogni volta che quel poco lo hanno perso con la stessa facilità con cui un bambino si rialza dopo una caduta. Che non c'è un'età per cambiare le cose, e la vecchiaia è uno stato mentale. Perché il cambiamento non li spaventa, e sono preparati al sole e alla pioggia, al freddo improvviso e alla solitudine, e le sventure non li scalfiscono più.

E sono tanti, quindici mesi. Perché a volte basta un'ora, per innamorarsi (specie in primavera), ma a volte ci vuole un po' di più.

Di Shanghai non ti innamori.
È una città immensa, contraddittoria. Ha lo skyline più bello del mondo, ai cui piedi si srotola un tappeto di povertà e miseria. Le vetrine luccicano di perle e oro e borse e vestiti, i grattacieli risplendono di luci multicolori nel buio del tardo pomeriggio come un perenne, gigantesco, affascinante albero di natale, e quando si spengono, alle dieci di sera, ti stupisci di quanto possano essere tristi e grigi. Lungo i marciapiedi, sulle case, sotto le tettoie, nelle verande, su lunghi bastoni fuori dalle finestre sono appesi i panni ad asciugare. Lenzuola, mutande, pantaloni e reggiseni dondolano sullo sfondo dei grattacieli, sulle cui vetrate si riflettono le pubblicità di profumi e le insegne dei fast food. Su quei marciapiedi, proprio sotto la biancheria, la gente siede su minuscole seggiole e mangia da ciotole improvvisate sputando semi e avanzi, vende patate distese su cartoni per terra, cavoli verdi incastrati tra le grate della finestra e banane ammucchiate su una sedia di legno, e lascia che le galline becchettino intorno foglie d'insalata e chicchi di mais. Nei vicoli stretti la gente vive fuori casa, dorme sulla motocicletta, si lava nelle bacinelle con l'acqua del canale, cucina spadellando verdure nel wok, appende anatre e pesci a seccare al sole e lascia che i cani ne annusino l'odore.

Di Shanghai non ti innamori, no.
È lei che ti conquista, un po' alla volta, con la sua vitalità, la sua cultura, la sua aria internazionale, i suoi parchi pieni di coppie che danzano, i viali con le statue di bronzo, i quartieri pieni di locali, di motorini elettrici, risciò e biciclette a scatto fisso. Con le sue strade sopraelevate, il caldo torrido di certi pomeriggi d'estate e il frinire assordante delle cicale, l'inaspettato blu del cielo e il vento forte che scompiglia capelli e pensieri. Con il suo miscuglio di razze e culture che si incontrano per caso e fanno un pezzo di strada insieme. Respiri diversità, qui, oltre che una gran quantità di smog. Sperimenti le altezze vertiginose dei grattacieli e percepisci nei palazzi il lusso vero, la ricchezza senza pudore. Ti aggiri tra negozi vuoti di clienti ma pieni di commessi, dentro alberghi dai soffitti così alti che fai fatica a guardare in su.
E in quindici mesi impari a sentirla, questa città, che ti corteggia come un amante finché non fa breccia nel tuo cuore. E così impari a mangiare con le bacchette, a cucinare con tre tipi di salsa di soia e a cuocere anche l'insalata, e compri dolci ripieni di fagioli rossi e di alghe. Impari a parlare una lingua difficile e magari anche a capirla un po', a sorridere a chi ti guarda e a diffidare di chi vuole offrirti una tazza di tè, specie se è vestito bene.
Impari a scansarti se passa un motorino sul marciapiede, e a farti strada scampanellando in bicicletta, un po' come il venditore di castagne col suo carretto. Impari che a sederti sui talloni a ben vedere si sta anche comodi. Mangi bàozì mentre cammini, compri dai venditori ambulanti pannocchie arrostite e spiedini di frutta e palloncini colorati, hai sempre un libro in borsa perché le distanze sono lunghe e i fazzoletti in tasca perché i tassisti guidano da cani.

Impari che si può stare su una panchina a leggere un libro dalle pagine bianche, perché le parole immaginate sono sempre più belle di quelle scritte. Impari che a scriverle con l'acqua, quelle parole, avranno la forza del vento e il calore del sole che le asciuga.
Impari che sei tu lo straniero, l'esotico, in un mondo dove per te tutto è strano e bislacco, immobile da millenni come un tronco di gimkobiloba eppure mutevole come una nuvola bianca.

Impari che è facile, incredibilmente facile, conoscere persone nuove che come te hanno lasciato la loro casa e la loro vita di prima, e sono tutte persone in gamba, e il confronto ti fa bene. E scopri che l'amicizia a volte è inaspettata e bella come una scatola di cioccolatini. Perché l'hai sempre sentita a pelle, l'affinità, ma non ti aspetti di trovarla dall'altra parte del mondo, con gli occhi a mandorla o l'inglese di Boston, con l'inflessione francese o l'accento milanese, per dire.

E capisci che ci hai messo troppo tempo, ad abituarti alla tua nuova vita, col pensiero che il tempo sarebbe stato abbastanza, perché ce ne mette, a passare, il tempo. E ci sono delle cose che hai fatto, che hai visto, che hai imparato, ma troppe ancora che vorresti fare, e vedere, e imparare, e le hai sempre rimandate, perché ce n'è di tempo, almeno altri quindici, venti mesi, pensavi, anche di più.
E invece.

Non ho l'età

Il fatto è che uno pensa di poter fare delle acrobazie, magari solo per infilarsi tutta giuliva un paio di jeans nuovi in cui mai avrebbe pensato di poter entrare, a guardarli, e poi si ritrova con uno strappo alla schiena che potrebbe, dico potrebbe, pregiudicare la preparazione atletica per quel traguardo là, non so se mi spiego.
E quel ch'è peggio, non è nemmeno l'unica ragione per cui mi sento un po' giù, in questi giorni. 

martedì 6 novembre 2012

Va' che notizia. Le migliori selezionate per voi #2

L'aspettativa di vita a Shanghai è arrivata a 82,5 anni. Niente male, qui i vecchietti sanno tenersi in forma. Secondo la Shanghai Gerontological Society (ebbene sì, esiste una Gerontological Society. Non sanno più cosa inventarsi) in città ci sono millecentocinquantasei centenari. A oggi, diciamo. Poi domani chissà. Comunque. La reginetta dei centenari è Li Suqing, 113, che secondo quanto dice la sorella di solito è di buon umore e si arrabbia difficilmente. L'uomo più vecchio è un sarto (in pensione, evidentemente) di 110 anni. La benemerita società gerontologica sciangaiese dichiara che i vecchietti hanno in comune alcuni tratti: sono tranquilli, non si arrabbiano, di mentalità aperta, mangiano un po' di tutto, fanno esercizio regolare e vanno d'accordo con i loro famigliari. Questa in effetti è la parte più difficile.

A proposito di arzilli vecchietti, Zhu Shumei, minuscola nonnina di 76 anni, ha passato 20 anni a giocare a basket nei campi dell'università, dopo aver divorziato dal marito. E pur guadagnando 437 yuan al mese, ne ha spesi 500 (circa 60 euro) per comprare un pallone. Quando si dice la passione.

E a proposito di passione, non ce l'avete voi una passione? Per esempio l'arte?
Dite la verità che non vedete l'ora di fare un po' di pittura dal vivo. Ditelo, che vi ha sempre affascinato l'idea della modella ignuda che ammicca dallo sgabello su cui sta appesa come un cardellino, cinguettando pure anche se solo nella vostra mente, oppure languidamente distesa su un canapè, che il canapè si usa solo per farci stendere le languide modelle.
Ennò. Volete fare i pittori? Le modelle ve le sceglie il docente, e guai a chi si lamenta.
Questo mese fate pratica sul nudo maschile.
Naaaaa, ragazze, amici gai, niente gridolini per cortesia. Il modello selezionato questo mese si chiama Li Jun, e si metterà a nudo per voi nei campus universitari. È originario dello Changdu, ha 84 anni e si diverte un sacco. I figli non gradiscono, il che non aiuta nella lunga strada verso i 100 anni. Pare però che l'attività, oltre a fargli guadagnare qualche spicciolo, gli abbia restituito una certa vitalità. Almeno a prima vista.

Numeri a caso.
Per le strade e le superstrade di Shanghai vengono raccolte ogni giorno 8 tonnellate di immondizia, per la maggior parte lanciata dal finestrino. Adesso mi spiego la quantità di addetti che prelevano l'immondizia non solo dai parchi, ma anche dalle tue stesse mani. Qualcuno aspetta impaziente che tu abbia finito di bere dalla tua bottiglietta per sottrarti il prezioso contenitore. Uno in meno da raccogliere schivando una porche o un tir in corsa.


Mi fanno gentilmente notare dalla regia che anziché *porsche* ho scritto *porche*, le quali *porche* si differenziano dalle famose auto per essere (cit.) "suine o giovani dai facili costumi".  Immagino che scontrarsi con una scrofa non sia gradevole, per quanto sia probabilmente sempre meno pericoloso che essere investiti una *porsche*, mentre si può facilmente immaginare che le altre tipologie di *porche* riscuotano maggiore successo in fatto di investimenti fisici.

venerdì 2 novembre 2012

Like a movie star

Succede che mi trovavo in taxi, imbottigliata nel traffico delle cinque e mezza di un qualsiasi pomeriggio di Shanghai, col cellulare in mano a mandare messaggi d'amore, e poi ho guardato fuori dal finestrino. 
Il fatto è che non mi succede spesso, di trovarmi da sola in taxi nelle luci del tardo pomeriggio, e ho provato un'improvvisa sensazione di estraniamento, come se mi stessi guardando da fuori.
E ho visto le luci delle strade e dei negozi, e le vetrine e le insegne e la gente passeggiare, e ho incrociato gli occhi di un uomo fermo al semaforo, e poi ho visto la mia immagine riflessa nel vetro, e c'era una donna con un trench chiaro e il viso illuminato dalle luci dei palazzi, e i capelli che lo coprivano un po', e allora per un attimo, un momento breve come un battito di ciglia, mi è sembrato di essere in un film.
Uno di quelli vecchi, che un cellulare come il mio ormai non ce l'ha più nemmeno mio nonno.