Non riesco a staccare gli occhi dagli
stivali neri. Sono pesanti, con delle cinghie laterali, i pantaloni
con la riga rossa infilati dentro.
Camminano
sul pavimento, sui tappeti, sui vetri rotti, come se fosse naturale.
Attraversano le stanze, ed è un'altra intrusione, una specie di
ulteriore violazione della mia casa, delle mie cose, per quell'aria
distaccata con cui il carabiniere apre finestre e porte, senza nessun
segno di comprensione, di vicinanza, come un dottore davanti alla
malattia.
"Sono
entrati dal balcone, salendo per la grondaia, poi sono usciti dalla
finestra della camera, ci sono ancora i calcinacci, vede?" E indica
dei segni sulla gronda, illuminando il buio con una torcia che si è
materializzata all'improvviso nelle sue mani.
Stacco
gli occhi dagli stivali e guardo nella notte, non vedo niente, o così
mi pare.
I
carabinieri sono addestrati a vedere le cose, lo so.
Mi viene in mente quella volta in treno, stavamo andando al mare mia sorella e io con un'amica, almeno credo che fosse quella l'occasione anche se nel ricordo mi sembra di essere da sola. Avevo una valigia e la borsa e il biglietto appena timbrato in mano quando sono entrata nello scompartimento, dove c'erano delle persone, un ragazzo seduto che guardava dal finestrino e un uomo dietro di me a controllare se era rimasto un posto, che non c'era. Sistemo la valigia, mi siedo, frugo nella borsa a cercare il libro da leggere e il ragazzo si alza di scatto correndo fuori nel corridoio, sta via pochi minuti e ritorna porgendomi il biglietto. “Non te ne sei accorta ma ti aveva rubato il biglietto”, mi dice. Io resto basita, ammirata per la velocità e la destrezza di quel ragazzo, che mentre verifico che davvero non avevo più il biglietto mi racconta di aver convinto l'uomo a restituirlo prendendolo per il collo e minacciandolo. “E poi – aggiunge – quando capiscono che sei carabiniere, anche se sei in borghese, si mettono paura”.
Io non ho paura dei carabinieri.
Adesso
che è seduto in cucina a trascrivere dati e numeri, a verbalizzarci
su un foglio a quadretti, mi sembra che sia anche un bell'uomo, ha
mani abbronzate e gambe forti. Gli stivali neri sembrano ancora più
grandi.
Quando
se ne va, comincio a chiudere gli armadi, prendo da terra la mia
biancheria. Hanno frugato nei cassetti, hanno preso in mano le mie
cose e le hanno buttate sul letto, sul pavimento. Mi prende un po' di
tristezza, ma è una tristezza strana, un misto di paura e
irritazione, senso di impotenza e voglia di piangere.
Un
po' quello che si prova per un bacio rubato.
“Ci
devono essere i ladri” ha detto la vicina della casa di fronte a
mia sorella, “c'è molta confusione sul letto, non l'ho mai visto
così in disordine”. Ah, ecco. Così in disordine non l'ha mai
visto. Devo pensare qualcosa anche per le tende, mi sa.
Non riesco a prendere sonno. Le bambine sono spaventate e vogliono dormire nel lettone.
- Magari è stato il vento a rompere il vetro, eh mamma?
- No tesoro, sono stati i ladri.
-
Ma come hanno fatto a entrare da un buco così piccolo?
- Amore, il buco è servito solo per infilare la mano e aprire con la maniglia.
- Amore, il buco è servito solo per infilare la mano e aprire con la maniglia.
-
Ma come hanno fatto a rompere il vetro?
- Bella domanda, tesoro. Forse con un cacciavite, ma non lo so.
- Bella domanda, tesoro. Forse con un cacciavite, ma non lo so.
-
Ma adesso tornano ancora? No amore, non tornano più.
Chiudo tutte le imposte. Non lo faccio mai, detesto svegliarmi al buio, voglio sapere quando apro gli occhi se è ancora notte o se c'è luce fuori. Non mi piace tornare a casa e vederla chiusa, sbarrata dentro se stessa.
- Ma le finestre devono restare sempre così, mamma? No tesoro, le apriamo.
-
Ma quella del poggiolo no, deve restare così, se no entrano qualcuni
di nuovo in casa, eh.
- Va bene amore, quella la lasciamo chiusa.
- Va bene amore, quella la lasciamo chiusa.
-
Non può essere stato il vento... Chissà perché sono venuti da noi,
mamma.
Già, chissà perché.
- Non preoccuparti per il tuo orologio, sai mamma. Ne compriamo uno più bello.
Già, chissà perché.
- Non preoccuparti per il tuo orologio, sai mamma. Ne compriamo uno più bello.
Resto
in bagno per un tempo infinito, a guardarmi allo specchio, a lavarmi
le mani. Quando finalmente vado a letto, il Bighi dorme. Mi avvicino, ho bisogno di un contatto. Nel sonno, mi abbraccia.
Penso che devo lavare la mia biancheria, toccata da mani estranee, domani. Dobbiamo fare la denuncia, domani.
Aprirò le finestre, domani.
Penso che devo lavare la mia biancheria, toccata da mani estranee, domani. Dobbiamo fare la denuncia, domani.
Aprirò le finestre, domani.