martedì 28 febbraio 2012

Domande intelligenti e risposte stupide

- Chi era al computer, mamma?
- Era il mio capo. Adesso che ci penso, però, se volessimo essere pignoli, è ancora il mio capo
- Come si chiama?
- Romualdo Vattelapesca
- Ma è un maschio o una femmina?
- È un maschio
- E perché il tuo capo non è una femmina?

Ora, a una domanda come questa non è così facile rispondere, a una bambina di quattro anni.
Potrei dirti, Gatto, che la donna sconta ancora un'impostazione patriarcale per cui l'uomo lavora e la donna resta a casa, e che le società matriarcali esistono solo in poche zone sperdute del pianeta, e non se le fila nessuno.
Potrei dirti che è molto più facile che i capi siano maschi, nella società occidentale moderna.
Che il potere, da sempre, è appannaggio dei maschi, perché la donna è più istintiva, più intuitiva e più comprensiva dell'uomo, ma essere capo significa più spesso esercitare il potere anziché mettere a frutto quelle doti.
Potrei dirti che la società moderna, e quella italiana in particolare, non ha ancora capito che la donna è più brava a governare, cioè a fare il capo, perché ha il cervello allenato da generazioni a cercare di capire le esigenze di tutti, a essere comprensiva con chi sbaglia, a pacificare gli animi, a spronare gli incerti, a focalizzare le reali necessità, a definire le responsabilità, a tenere sotto controllo i conti, a esercitare la pazienza, a guardare le cose da più angolazioni, dall'alto ma anche dal basso, e a cambiare idea, perché certe volte anche le piccole osservazioni, le osservazioni dei piccoli, sono illuminanti.

Potrei dirti che la donna molte volte è anche mamma, e questo, nonostante ci siano in giro nel mondo dei segnali di cambiamento, significa che, in quanto donna, devi scegliere se privilegiare la famiglia, cioè i figli, o la carriera, cioè la possibilità, un giorno, di diventare capo.
Perché ci sarà sempre qualcuno che ti farà sentire in colpa se non puoi fermarti fino alle otto di sera per quella riunione là, o se un giorno che tuo figlio ha la febbre arrivi in ritardo per un meeting, o se rinunci alla trasferta perché non hai la baby sitter.
Ci sarà qualcuno che ti farà sentire in colpa perché sei in carriera e quindi, di default, un po' stronza. Hai ragione, Gatto, questa parola non si può dire. Diciamo arrivista, che vuol dire un po' la stessa cosa. Ti faranno sentire in colpa se non hai avuto tempo di preparare la cena, o se ti sei persa la recita di fine anno perché avevi un incontro importante, o se quando torni a casa non hai la forza di giocare ai gormiti sul pavimento o di volteggiare sul tappeto ballando lo schiaccianoci e lasci che i tuoi figli guardino un cartone, l'ennesimo, alla tv.

Potrei dirti che perfino la lingua, la nostra amata lingua italiana, con tutte le sfumature e le inclinazioni che possiede, ha delle sconcertanti manifestazioni di maschilismo, perché alcuni termini sono solo maschili, per esempio medico, avvocato, magistrato, controllore, capo anche. E poi ci sono dei termini solo femminili che però sono di altro tenore: zoccola, per dire, non corrisponde a nessun tipo di calzatura, a differenza dell'omologo maschile.

Tutto questo pensiero, per dirla apertamente, potrebbe essere condensato in una frase lapidaria: «Perché viviamo in una società maschilista, tesoro mio».
Però, però...
Però non vorrei infondere sentimenti di ostilità verso il genere maschile, che scavando bene ha pur sempre qualche pregio, se non altro l'essere perfettamente consapevole di non poter fare a meno delle donne.
E poi, a pensarci bene, la risposta più adatta a quella domanda, per una bambina di quattro anni, sarebbe probabilmente un'altra. E infatti, dopo quel nanosecondo di iniziale sconcerto (che domanda intelligente che ha fatto quella bambina, che è anche mia figlia per inciso) e un successivo ulteriore nanosecondo di condensato retropensiero femminista, le ho risposto:
- Tesoro mio, Vattelapesca è il cognome. E poi ci sono tanti nomi da maschi che finiscono con la a...

lunedì 27 febbraio 2012

Digressione pseudonostalgica

- Mamma chi era? Chi era al computer mamma?
(Ma ve lo ricordate? quando per telefonare si usava il telefono, quello che aveva la cornetta e il filo e i numeri come un orologio coi buchi che ci mettevi il dito dentro, che quando facevi una telefonata interurbana era più il tempo che passavi a comporre il numero che quello in cui parlavi, perché la telefonata costava, e se per caso avevi un moroso olandese era un casino, potevi chiamarlo solo dopo le dieci di sera che costava meno e tuo padre era comunque sempre lì a contare i secondi e a gridare Metti giù se per caso dicevi due parole in più e sforavi i cinque minuti, e anche tua sorella diceva Metti giù perché voleva usarlo lei, il telefono, e magari avevi anche il duplex che spendevi meno ma potevi telefonare solo se il tuo duplex non telefonava però al telefono ci stavi anche delle ore, da adolescente, con l'amica del cuore che vedevi tutti i giorni a scuola oppure con il fidanzato, e giocavi con il filo arrotolandolo sul dito, e stavi lì anche solo a sentire il suo respiro perché dopo un'ora non volevi lasciarlo andare anche se non sapevi più cosa dirgli, al fidanzato, all'amica invece sì, e poi sentivi una voce che diceva Chiamata urbana urgente per il numero 86741 e non era il tuo numero e allora capivi che il figlio della tua vicina vecchietta in duplex eran tre ore che cercava di sapere come stava sua madre e finalmente mettevi giù, e poi sul telefono mica potevi vedere chi ti chiamava e magari fare finta di non esserci e non rispondere, rispondevi per forza e certe volte era proprio una sorpresa, e il telefono quando suonava faceva solo Ddddrrrrrriiiiiin e non Paraponzi ponzallero, e se eri per la strada c'era la cabina con i gettoni che facevano clonk quando cadevano e non c'era verso, la telefonata finiva lì, e non esisteva il cordless, e nemmanco per sogno il cellulare, e la prima volta che l'hai visto il cellulare era nel film Wall Street con Michael Douglas ed era grandissimo e sembrava pesantissimo epperò sembrava anche fantascienza, ma ancora non c'era tra gli umani ed era meglio così perché non potevi ricevere messaggi tipo Ke fai stsra un ape ke dc cmq c vdm più trd tvb xxx, e invece scrivevi delle lettere che magari poi lasciavi nella cassetta della posta del VicinoPreferito e lui te le lasciava sulla finestra con sopra un sasso e magari una volta si dimenticava il sasso e il vento si portava via la busta e la trovavi per caso sulla strada tutta sporca ma c'era il tuo nome sopra e ti meravigliavi e la raccoglievi e la tenevi lo stesso, anzi di più perché era proprio un segno del destino che dovevi trovarla, quella lettera là).

domenica 26 febbraio 2012

Divinità, idraulici e donne viziate (Così imparo parte II)

L'efficienza dei cinesi in fatto di riparazioni lascia sempre un po' stupiti.
La famosa battuta di Woody Allen Non solo Dio non esiste, ma provate a chiamare un idraulico la domenica pomeriggio (più o meno) qui non fa ridere per niente.
Qualsiasi problema tu abbia, nel giro di mezz'ora arriva l'omino della manteinance.
In effetti, qualsiasi problema tu abbia, arriva sempre lo stesso omino.
I casi sono due: o questo omino è veramente in gamba e sa riparare tutto, che sia un tubo rotto o l'impianto elettrico, l'aria condizionata o la tv, oppure mandano lui a vedere qual è il problema e poi casomai arriva un esperto. Finora non ho visto esperti. Comunque.
L'omino, ad ogni buon conto, si presenta con lo sturalavandino, un martello, una fornitura più o meno ampia di lampadine, un cacciavite e una pinza. Spesso dopo aver visto il guasto sparisce per qualche mezz'ora e poi torna con gli attrezzi giusti.
Il più delle volte riesce anche a risolvere il problema, almeno apparentemente (ma spesso l'apparenza conta più che la sostanza), almeno finora.

Ok, l'acqua calda non funziona. Non è che non ci sia acqua calda, è che quella che c'è non arriva, è un filo che stenta, e quando hai tre minuti e venticinque secondi (contati) per fare la doccia, non so voi, ma a me il filino non aiuta a mantenere il buon umore.
L'omino arriva con le sue pinze e le lampadine, apre l'acqua, controlla, sale al piano di sopra, apre, controlla, scende in lavanderia, guarda la pompa, decide che bisogna cambiare la pompa e se ne va.
Siccome il giorno dopo non è ancora tornato, chiamo per sapere se è andato a fabbricarla, la pompa, o se bisogna solo comprarla, e in questo caso se non esistono negozi più vicini di Pechino.
In seguito alle mie rimostranze si presenta un altro omino, apre l'acqua, controlla, sale al piano di sopra, apre l'acqua, controlla, scende in lavanderia, controlla la pompa, decide che la pompa può essere riparata e se ne va.
Il giorno dopo chiedo lumi alla ayi, che magari ho capito male, ma anche lei scuote la testa e allarga le braccia, segno inequivocabile internazionale di incurante ignoranza.
Il Bighi, che in occasioni come questa sente riaffiorare l'istinto primordiale (lo stesso istinto comune a tutto il genere maschile e che spinge gli uomini a credere che fare il barbeque, dipingere la staccionata, tagliare l'erba e capire perché non funziona internet siano cosa da maschi), il Bighi dicevo, preoccupato di lasciare la famiglia senza acqua calda per la settimana in cui lui sarà assente, e in ispecie preoccupato per la piega che può prendere l'umore della Wonder in assenza di acqua calda alle sei e quaranta del lunedì mattina sapendolo perdippiù in Italia a fare il pieno di pecorino e prosciutto crudo, prende in mano la situazione e va a chiamare l'idraulico direttamente al management.
Questa volta arrivano in due. Aprono l'acqua, salgono aprono controllano scendono in lavanderia guardano la pompa e però stavolta anziché alzare i tacchi si mettono al lavoro.
Vabbè, inutile sindacare sull'incapacità (involontarietà) degli operai a riconoscere l'autorità femminile, ché anche quella fa parte delle prerogative di genere.
Dopo cinque ore di lavoro, i due dichiarano che tutto funziona, fanno le prove, salgono scendono eccetera e se ne vanno.

Adesso l'acqua viene. Viene bollente. Da quasi tutti i rubinetti. Viene marrone, giallognola o al più torbida, ma non facciamo le schizzinose. Hai voluto l'acqua calda? Adesso lavati.

venerdì 24 febbraio 2012

Fonosintassi, zeppe e altri giochi enigmistici

ciuciùciu
Amore non so dov'è il ciuccio
papàppa
Adesso la preparo, la pappa
mamàmma
Sì, sono qua
papapà
Fra un po' arriva, il papà
cicìcci
No, non è la Circe che abbaia, è un altro cane
nonònno
Vieni qui che lo saluti al computer, il nonno
bibìbi
Hai sete?
nono nanànna
E invece è proprio ora di andare a dormire...

All'inizio ho fatto un po' fatica a capire, ma poi mi è arrivata l'illuminazione, e adesso è tutto più facile: la Gabbianella ha inventato un nuovo genere di geminazione sintagmatica denominata Raddoppiamento gabbianellico iniziale monosillabico da uguale a uguale.

giovedì 23 febbraio 2012

A volte

È che a volte è difficile.
È che a volte ti senti sola ad affrontare tutto, anche le cose belle, ma di più quelle brutte.
È che dopo un mese di tosse e raffreddore e sciroppi e antibiotici pensi che sia guarita, e altri quattro giorni con la febbre a trentotto ti fanno pensare che abbia qualche malattia inguaribile, e cominci a fare pensieri strani.
È che quando ti vomitano addosso, anche se ti cambi, anche se ti lavi, ti resta attaccato quell'odore che non sai come mandare via.
È che nonostante la dottoressa ti rassicuri e attacchi l'adesivo Doctor's Lin Best Patient Club sulla maglietta della Gabbianella pensi che ci sia qualcosa che lei non sa, che non ha capito, che sta trascurando, e anche se in fondo sai che sarebbe la stessa cosa in Italia ti convinci che qui è peggio.
È che i medici esperti parlano solo cinese, ma la cosa anziché spronarti a studiare di più ti demoralizza alquanto.
È che a volte non basta una pacca sulla spalla e via, e il morale resta giù anche se non hai visto Sanremo.
A volte hai bisogno di un abbraccio, e i cinesi non sono un popolo affettuoso.
E lo sai che c'è chi sta peggio, che la malinconia è periodica e che anche la pioggia non aiuta, però quell'abbraccio lo vorresti lo stesso.

martedì 21 febbraio 2012

La sfida

- Mamma! vieni a vedere cosa so fare!
- ...
- Visto mamma? ho imparato oggi a scuola, me l'ha insegnato MisterB a fare la capriola indietro. La sai fare tu la capriola indietro?
- BB, tu non sai chi è la tua mamma. Sono Wonder mica per niente. Certo che la so fare
- Prova dai, vediamo
(noto una vena di sfida nella voce)
- Ok, guarda qui. Uno, due, tre!...
(prendo un po' di slancio ma mi fermo a metà, con le chiappe all'aria e la testa incastrata fra le ginocchia)
- Hahahaha, sei troppo vecchia!
- Cosa hai detto?
- Sei troppo grande, intendevo
- No no, hai detto vecchia. Adesso riprovo, altro che vecchia
-...
- Visto? ecco qua. Son capace, son capace, pappappero! Adesso vado a preparare la cena, va'.

Non c'è niente come la parola vecchia che scateni il desiderio di rivalsa. Ma la BB non deve sapere che adesso mi fa male il collo, e anche un po' la base della testa, la verità.

lunedì 20 febbraio 2012

Così imparo

Domenica sera, sul tappeto della camera.

- Papà, chi è la tua innamorata?
(sentiamo, sentiamo...)
- È la mamma
(non che avessi dei dubbi, ma annuisco soddisfatta)
- Ma non ne hai un'altra?
(trattengo il respiro, anche se solo per un attimo, perché lo so che non sono cose che si raccontano a una bambina, ma certe domande fanno comunque alzare le orecchie)
- No, no
(ah, ecco, meno male)
- Perché?
(perché?beh, perché sono la donna della sua vita, ama solo me, quelle cose lì)
- Una è più che sufficiente

Così imparo ad ascoltare di nascosto.

domenica 19 febbraio 2012

Altre inutilità

Ma che me li mandano a fare tutti questi sms, mms, push et similia, che non li sappiamo leggere i caratteri cinesi, né io né il mio cellulare.

sabato 18 febbraio 2012

Due

Cara Gabbianella,
che quando ho saputo che c'eri mi è venuto un po' da piangere, e non proprio di felicità
che già nella mia pancia avevi deciso che volevi guardare il mondo dritto negli occhi, e non a testa in giù
che quando sei nata eri pacifica e bella mentre io avevo una paura del diavolo
che a tre giorni avevi già capito come gira e ti tenevi stretto il biberon con le tue minuscole manine
che porti il bavaglino come un mantello, girato sulla spalla
che quando ti arrabbi gridi come uno stormo di gabbiani arrabbiati
che i tuoi giochi sono tuoi, e anche quelli delle tue sorelle
che sei convinta che dentro alle pagine dei libri ci dev'essere qualcosa, e le strappi una per una
che vuoi vedere sempre accesa la lucetta rossa del forno, e allora quando non guardo sposti la manopola al massimo
che non si può stare arrabbiati con te più di due minuti
che quando senti la musica scuoti la testa a ritmo facendo dondolare i riccioli
che balli in sala guardando il cartone, e non ti importa se non hai il tutù e le scarpette però con il tutù ti piace di più
che guai a toglierti il ciuccio con quel logoro cordino attaccato
che anche se non sai ancora parlare ti fai capire benissimo
che quando vuoi essere ascoltata mi prendi per mano e mi porti in un posto tranquillo
che litighi con le tue sorelle ma sei la prima a fare la pace
che quando ti chiedo un bacio non me lo dai, ma poi all'improvviso mi abbracci e mi tieni stretta
che quando mangi ti riempi la bocca e poi vuoi riempire anche la mia
che leggi a voce alta così tutti ti possono sentire
che quando dormi c'è un silenzio inquietante
che vuoi i biscotti tutti interi
che canti ia ia hooooo, ma non sai il resto della canzone
che hai ereditato (chissà da chi) una sfrenata passione per le scarpe
che sei testarda come un mulo (e chissà da chi hai preso)
che devi mettere il tappo alle bottiglie, perché fa più ordine, ma lasci tutti i giochi in giro così sono a portata di mano
che mi guardi con occhi estasiati e poi mi pizzichi il naso
che non vuoi dormire se prima non dai il bacio della buona notte alle tue sorelle
cara Gabbianella,
ti conosco da due anni. E non potrei immaginare la nostra vita senza di te.

venerdì 17 febbraio 2012

Lo Scuolabus è meglio

C'era una volta uno Scuolabus. Era uno Scuolabus Giallo, con le poltroncine arancioni minuscole e una lunga maniglia per aprire la porta. Tra il finestrino e lo schienale della prima poltroncina arancione minuscola a destra c'era una papera gialla, che qualche volta lasciava il posto a un orsetto senza un occhio e si posizionava sul parabrezza, così guardava fuori e poteva farsi vedere dai bambini appena arrivata alla fermata.

Sullo Scuolabus Giallo c'era Della, dolce e pratica, con le collane dorate e azzurre e verde smeraldo e i capelli scarmigliati da maga dello Scuolabus Giallo, che accoglieva i bambini con le antenne rosa in testa e il sorriso, li faceva sedere nelle poltroncine arancioni minuscole e salutava con loro i genitori fermi sulla strada facendo ciao con la mano vicino al ciao delle manine.

Sullo Scuolabus Giallo c'era anche l'Autista dello Scuolabus Giallo, che era sempre contento e sorrideva anche quando si vedeva che era un po' incazzato per i fatti suoi, che cercava di far ridere i bambini che non volevano salire e che quando finalmente conoscevano lo Scuolabus Giallo e il suo Autista e Della non avrebbero più voluto scendere, che era sempre puntuale ma aspettava un po' i ritardatari, che cantava con loro le canzoni anche se era quella che diceva Michele Michelone aveva un bel bastone, per bastonar la gente, Michele non sa niente...

L'Autista dello Scuolabus Giallo ti dava il suo numero di cellulare, così se succedeva qualcosa potevi chiamarlo, tanto usava gli auricolari. L'Autista dello Scuolabus Giallo aveva una sciarpa nuova ogni settimana, anche d'estate. D'inverno aveva un berretto in testa e gli occhiali da sole, perché la neve fa riflesso e l'occhiale fa figo. Mostrava alle bambine il tatuaggio finto di Hello Kitty sul braccio, e le bambine erano contente, e teneva nascosto alle mamme un tatuaggio vero sulla schiena, che le mamme del Platano avevano scoperto lo stesso per via di quel famoso social network, e anche le mamme erano contente.

Adesso lo scuolabus è un BusEnorme, con poltrone enormi dove i bambini spariscono, inghiottiti dalle cinture di sicurezza. Adesso il BusEnorme è bianco con le scritte blu.
La BB appoggia la sua manina sull'enorme finestrino, e io appoggio la mia dall'altra parte del vetro. A volte sorride, a volte no.
La aji del BusEnorme saluta con fare frettoloso e burbero, ha una maglia viola e i pantaloni blu scuro, sempre, e i capelli neri raccolti in uno stretto chignon. L'autista del BusEnorme ha la divisa, blu scuro, una cravatta scura con un nodo strettissimo, i calzini grigio tristezza e lo sguardo, scuro, dritto sulla strada. A volte anche la strada è scura.

Michele, fa' un favore, presta al BusEnorme la papera gialla, così magari con un po' di colore anche lui impara come si fa a fare lo Scuolabus.

mercoledì 15 febbraio 2012

Non è la stessa cosa

Checca, ti ricordi quando a Valgatara facevamo il croccante? Dovevamo rompere le mandorle raccolte sul campo, con un sasso, sulla pietra dell'ingresso. E tu facevi sciogliere lo zucchero, tu che eri la più grande, e poi ci mettevamo le mandorle, e poi le versavi sulla mattonella di marmo, tutta unta perché mi piaceva spalmare l'olio e avere le mani tutte viscide, ti ricordi? E poi non avevamo la pazienza di aspettare che si raffreddasse e ci scottavamo la lingua leccando il cucchiaio, e ci veniva anche la vescica, sulla lingua, che male, e facevamo i fili che si attaccavano dappertutto? E poi spezzavamo quello zucchero duro e ne mangiavamo un po' anche di nascosto, e tra i denti ci trovavamo anche qualche pezzetto di guscio? Ti ricordi?
Io me lo ricordo.
È che ho fatto un po' di caramelle di zucchero, con il sesamo e le mandorle.
Le mandorle sono già pronte nel sacchetto, ho un foglio di carta oleata al posto della mattonella e lo zucchero è molto più fino e si scioglie subito. Anche il gusto, a ben vedere, non è proprio lo stesso.
Non mi sono nemmeno scottata la lingua.

martedì 14 febbraio 2012

Il primo san Valentino di Gatto Selvaggio

A settembre si sono conosciuti.
Lei aveva un vestito bianco, i capelli raccolti e lo sguardo timido dietro le lunghe ciglia.
Lui ostentava una finta sicurezza, lui con i capelli lunghi sulla fronte, i jeans strappati e una maglietta verde.
A lei sono piaciuti i suoi occhi neri, e lui la prendeva per mano e la faceva ridere, perso nei suoi occhi blu.
Dopo un mese lei avrebbe voluto baciarlo, ma non ne aveva il coraggio.
Alla festa di Halloween lei era vestita da principessa, lui da Sullivan, il gigante azzurro e peloso.
A dicembre si sono fidanzati.
Lei lo chiamava il mio innamorato, lui le faceva dei regali, un orologio, una scatoletta rosa, una fatina con le ali di plastica. Lei li accettava senza ringraziare, e li nascondeva per non farli usare alle sue sorelle.
- Questa Valentine's day card che è la più bella la diamo a Kai, che è il mio sposato. La mettiamo nello sainetto di spuola, insieme alle altre, ochei mamma?

Da come hanno bruciato le tappe, ho il sospetto che questo matrimonio sarà un fuoco di paglia.

venerdì 10 febbraio 2012

Yin, Yang e la tortura cinese tradizionale

Secondo la medicina tradizionale cinese, il corpo deve essere in armonia con la mente. La malattia è uno stato di disequilibrio del corpo e della mente, e la terapia deve cercare di ristabilire l'armonia altrimenti è un casino: yin e yang, pieno e vuoto, i due pesci che si creano reciprocamente, si controllano e si fondono l'uno nell'altro, che devono stare insieme e completarsi, cominciano ad allontanarsi e se non tornano più insieme finisce che muori.
Beh, non è che sempre arrivi a quello stadio lì, però ci sono certi giorni in cui non ti senti proprio bene bene. Diciamo che magari yin e yang hanno solo un po' litigato, magari non si parlano per qualche giorno, ma probabile che poi fanno pace.
Tre mesi fa, Rebecca aveva mal di schiena, e invece di prendere un antidolorifico come avrei fatto io, ha seguito le istruzioni del medico tradizionale cinese che dichiarava che la percentuale di acqua fredda nel suo corpo era troppo alta, perciò doveva scaldarla, e allo scopo le ha procurato ripetutamente nella zona lombare una estesa ustione di secondo grado che la Rebecca riteneva una dolorosa ma necessaria conseguenza della terapia.
Naturalmente non ho riferito alla Rebecca i commenti della Cosci sul suo stato mentale (della Rebecca), nonostante per una volta fossi d'accordo con lei (la Cosci), anche perché le cinesi son suscettibili, non è che puoi dire che son delle pazze e poi pretendere di restare amiche.

A proposito di amiche. Doris, amica cinese saggia e pratica e tenace, ha notato con disappunto che ho il raffreddore, e anche la tosse.
- Hai provato con i massaggi? Mi chiede guardandomi da sotto in su attraverso i suoi occhialetti rossi.
- No, di massaggi ne ho fatti ma così, giusto per piacere.
- Se vuoi più tardi vengo a casa tua, così proviamo.
È una sorpresa, la Doris. Sa pure fare i massaggi. Fico.

Seduta sulla sedia della cucina, i capelli raccolti, non era proprio la posizione che immaginavo per un bel massaggio.
- Farà un po' male, dice.
- Assì? È necessario?
- Certo, se non fa male vuol dire che stai bene. Perciò ti chiederò se fa male o no, e poi se fa troppo male me lo devi dire che smetto per un po'.
- …
- …
- Aaahhhhh!
- Ok, se ti fa male qui hai il raffreddore.
- Ma va? Non è che ti sta fregando, Wonder? No, dico, perché già lo sapevi che hai il raffreddore. Tutti geni, a far le diagnosi così.
- Eh, Cosci, c'hai ragione, ma che devo fare? Mica posso smontarla così, sai come son le cinesi... Ma quanto male fa, porco cane...
- Hai mal di gola?
- No
- E qui ti fa male?
- No, direi di no.
- Allora la gola è a posto.
- Aridaje, ti dico che è tutta scena.
- Ho capito, ho capito! ma lei ci crede, no? Già che siamo qui... Non vedi com'è convinta? Lasciamola fare, per un po'.
- Aaaahhhhhh!
- Male eh? Hai la tosse.
- Ok, Cosci, zitta, non dire niente, già lo so.
- Ecco, questo lo devi fare anche tu da sola, puoi fare così, tutti i giorni quante volte vuoi, per dieci minuti. Devi premere in questo modo questo punto qua che è il punto dell'agopuntura, sai cos'è l'agopuntura?
- Eh, certo che lo sai cos'è, l'hai anche provata, ti ricordi, hai speso un sacco di soldi e non è servita a niente. Non dirglielo, dai.
(la Cosci sta imparando)
- Cioè dovrei torturarmi da sola, in sostanza.
- Poi devi bere acqua, non bollente, ma calda, cioè da calda a molto calda.
- Posso metterci due foglie di tè, nell'acqua? Che so, un infuso, una tisana...?
- No no, solo acqua, da calda a molto calda, non bollente.

Io mi sa che 'sti due pesci li lascio cuocere nel loro brodo, che stiano pure incazzati per un po'. Che poi, come fa il proverbio? Tra moglie e marito non metterci il dito, che finisce che ci vai di mezzo tu, e quei punti là fanno ancora un po' male, a toccarli.

mercoledì 8 febbraio 2012

Contagio

- Mettitela via, finché hai le bambine piccole se loro stanno male stai male anche tu.
La Doc era stata piuttosto tranchant, e quindi sono assolutamente preparata ad ammalarmi anche io ogni volta che una delle cucciole, o due, o tutte e tre insieme hanno qualche sintomo, tosse e raffreddore e naso che cola, ma siccome io non voglio essere malata faccio tutto come se non lo fossi..
Stamattina, cielo limpido e freddo polare, vado a lezione di cinese. Già il fatto in sé non è il massimo dell'allegria, ma poi è da ieri che non mi sento molto bene.
Venti minuti di bici a meno due, anche con i guanti, anche con il berretto, anche con la sciarpa di cachemire made in Italy regalo della Suocy, mettono a dura prova il buon umore di chiunque.
Ma non il mio.
Ho fatto una playlist.
Modà, Ligabue, Vasco, un po' di Tiziano Ferro, quella bella canzone dei Metallica, Shakira, Coen che mi rilassa, anzi è meglio di no che devo pedalare, MaroonFive, Doctor and The Medics of course, Cremonini, poi cosa c'è... ah già, Sognami di Biagio, qualcosa dei Green Day, A te di Jovanotti, Prince no non mi piace, Santana, ecco mettiamo Santana, poi poi... Bon Jovi, ammazza che fico, lui sì che è un bel tipo.
Ok, questa mi basta anche per il ritorno.
Vado. Pedalo sul marciapiede con la musica alta nelle orecchie, così non sento il rumore del traffico, non sento gli uomini che sputano rumorosamente, non sento i clacson assordanti, e canto.
Cioè, non è che canticchio tra me. Canto proprio, a voce alta, tutte le canzoni della playlist, mi sembro una pazza ma non mi interessa, e non interessa a nessuno, e vorrei anche vedere, qui non interessa a nessuno nemmeno se esci in pigiama, con le ciabatte o con le orecchie da coniglio in testa.
Il karaoke, una volta che l'hai provato, ti contagia come la tosse.

lunedì 6 febbraio 2012

Quarant'anni e non sentirli (e continuare a dire che sono 39)

Rebecca non mi ha mai detto il suo vero nome, ma se dovessi dire che è un fiore direi che è un cardo, bello e spinoso, tenace ma in fondo tenero.
Eravamo in undici, tutte donne, alla festa per il suo compleanno. Cena cinese allo ShunXing, teatrale ristorante al 1088 della Yan'an Xi Lu, cucina dello Sichuan e spettacolo dal vivo. Le ballerine mostrano l'ombelico e movenze sinuose con la testa addobbata di splendidi gioielli e piume lunghissime, le danzatrici del Tè danzano con ciotole in mano e il danzatore del Tè esegue acrobazie con una teiera dal lunghissimo beccuccio che finisce inevitabilmente per riempire le tazze delle ballerine (tralascio i commenti su altri spruzzi in altre tazze). Le maschere dell'Opera cinese cambiano maschera e danzano ritmicamente, l'uomo con la fiaccola sputa fuoco, l'uomo-lanterna esegue complicatissimi movimenti con una lanterna accesa in testa sotto lo sguardo vigile della moglie in un siparietto da varietà alternativo.
Se non fosse stato per il sugo piccante dei noodles, che ho avuto l'avventatezza di assaggiare per primi, avrei forse sentito il sapore anche delle arachidi fresche, dell'insalata di pollo e tofu, del manzo stufato con le patate. Il riso bollito non fa miracoli, ma aiuta a recuperare l'uso delle papille gustative, cosicché ho scoperto che le orecchie del maiale in carpaccio non sono molto saporite e in più sono anche un po' cartilaginose, i funghi saltati deliziosi, il vino caldo molto simile al nostro marsala, la birra leggera, le cialde di riso con bambù in salsa dolce decisamente gustose, le rane mollicce e grasse e istruttive, e infatti adesso ho imparato che se una pietanza galleggia in una brodaglia rossa significa che è piccante. Adesso so anche riconoscere i peperoncini verdi ripieni, e non li scambio più per fagiolini.
Alla fine della cena, mentre ancora avevo nel piatto qualche vermicello piccante e gli ossetti della rana, mi hanno ingiustamente condannata e giustiziata, nonostante il mio lacrimevole ultimo speech in cui assicuravo la mia innocenza. Perché non ero mica io il killer, era una ragazza cinese dalla faccia d'angelo che io ci avrei scommesso l'osso del collo che era lei, ma siccome era troppo carina e gentile non ci ha pensato nessuno, e ha potuto uccidere altre tre persone prima che venisse scoperta e il gioco finisse.
Allora un tassista pazzo ci ha portato al karaoke, e siamo salite al sesto piano di un palazzo che si chiama PartyWorld, tutto un programma, ci siamo rinchiuse in una stanza di tre metri per due, con casse e divanetti e microfoni, e abbiamo cantato a squarciagola lacrimevoli canzoni cinesi dove la ragazza è sempre lì che aspetta l'uomo della sua vita, l'ha perso o è morto, oppure vive una vita non sua e il principe azzurro la bacia ma poi lei si sveglia ed è di nuovo sola. Io ho anche chiesto qualcosa di italiano, ma non c'era niente dei Modà, niente di Vasco e nemmeno degli Oliver Onions, soltanto O sole mio (ti pareva) e Baglioni, quella canzone tristissima del passerotto non andare via che evidentemente è così triste che piace perfino ai cinesi, oltre che a Diego, cuoco per passione e cognato per amore.
Così abbiamo cantato Dancing Queen, Heal the World, urlato tre volte Rah-rah-rah-ha- ha-ha roma-roma-mama, storpiato un numero imprecisato di canzoni dei Beatles, WakaWaka e Hotel California, scoprendo con l'occasione che evidentemente è una metafora, e io non l'avevo mai saputo. Poi abbiamo bevuto casse di qingdao e coca cola, fumato fumo passivo, mangiato una torta improbabile rosa a forma di cuore (ma secondo me il pasticcere aveva in mente delle altre forme) con le cicogne di panna e le foglie verde pisello, assaggiato un tè con bacche rosse galleggianti, ballato sexy dance, giocato a morra cinese e vinto sempre e esultato come fanno i maschi, e riso come non mi succedeva da secoli.
A notte fonda, una luce è accesa, la casa dorme, un mucchio di vestiti sul divano, la tavola sparecchiata, solo bicchieri impilati nel secchiaio. Mi chiedo cosa abbiano mangiato gli abbandonati (se abbiano mangiato), quando vedo una pila di cartoni della pizza che troneggia in un angolo sul pavimento, e qualche lattina di coca.
Tutto ok.
Posso rifarlo.

giovedì 2 febbraio 2012

Trenta

Quando è nato era martedì, e non è che la cosa mi abbia preoccupato gran che.
Ma d'altra parte allora non mi avrebbero colpito nemmeno altri eventi epocali, tipo il crack del Banco Ambrosiano o lo scandalo P2. Magari un po' di entusiasmo per la vittoria dell'Italia contro la Germania, ma neanche tanto. E poi ET, Rambo e Michael Jackson erano di gran lunga più entusiasmanti.
A un anno camminava, a due parlava, a tre giocava con la sua amica Baleria.
A quattro anni pensava, e pretendeva che mentre lo faceva tutta la famiglia mantenesse un compìto silenzio.
A cinque andava a scuola da Suor Bidente, a sei leggeva seduto sul tappeto, a sette aveva gli occhiali e l'aria da saputello, entità aliena che incrociavo ogni tanto per casa al sabato o alla domenica, durante le pause studio.
C'è stato un periodo in cui ripetevamo insieme tutte le battute di Frankenstein Junior, dei Simpson o di Quelo, e ridevamo a crepapelle.

Caro Bobo, in realtà so poche cose di te, e piuttosto confuse.
So che ti piace suonare la tromba, ma non so se ancora lo fai. So che hai una motocicletta, e che non me la farai mai guidare, anche se io la mia te l'ho prestata. So che conosci l'animo femminile, non fosse altro per abitudine. So che sai tre lingue, che hai più di duecento amici su facebook ma frequenti ancora quelli delle elementari, ma non so dove hai fatto le medie e ho solo una vaga idea delle superiori. So che hai una gran testa, che qualche volta l'hai persa, che se ti arrabbi è meglio lasciarti stare, che il sonno è la tua terapia contro la tristezza, che leggi poesie anche se sei ingegnere.

E però so alcune cose di me, in genere abbastanza chiare. Per esempio so che anche se sei alto un metro e novanta, anche se hai la barba come ogni zio che si rispetti, anche se fra un po' ti sposi, per me resti il mio fratello piccolo, il Ratto di Calcutta, quello che per il suo compleanno voleva la torta al cioccolato, però a strati, almeno tre, e sono sicura che la vorresti anche oggi, con la glassa e le candeline e le decorazioni di panna montata, anche se hai già trent'anni.