lunedì 28 gennaio 2013

Le parole sono importanti. Del concetto di principianza e altre utili precisazioni

L'altro giorno, mentre ero impegnata in una estenuante sessione di stiro (due asciugamani di lino e otto magliette di riscaldamento, quattro camicie, due lenzuola di recupero, quattro camicie, una tovaglia di recupero, un pantalone e quattro federe per finire la cesta) riflettevo sull'utilità delle attività manuali (principalmente per fare ordine, ma in definitiva anche dal punto di vista psicologico) e sul concetto di principianza, sul quale avevo avuto modo di soffermarmi qualche tempo fa grazie all'analisi di Morelle (la quale analisi in verità aveva per oggetto un argomento assai più stimolante rispetto al mio. Comunque).

La prima volta che mi hanno apostrofata con il termine principiante l'ho presa abbastanza bene.
Ché il fatto di cambiare una bimba in assenza di fasciatoio era una cosa cui non ero preparata, e non mi era passato nemmeno per l'anticamera del cervello di portare un asciugamano su cui appoggiarla.
- Tzè, principiante..., aveva commentato scuotendo la testa e abbozzando un sorriso quella Sorella là, forte del suo anno abbondante di esperienza da mamma.
Ma in effetti la definizione era giusta considerando che, a stare a quello che dice il Sabatini Coletti, principiante è uno Che inizia un'attività, un'arte, una professione ecc., e quindi ha poca esperienza. E io senza dubbio lo ero, principiante, in quell'ambito là. (Ora, invece, potrei anche definirmi esperta, dal momento che il termine ha come primo significato Che ha acquisito una lunga pratica in un determinato campo. Ché sette anni e tre figlie possono definirsi una lunga pratica, la verità).

Orbene, durante quella impegnativa sessione di stiro pensavo tra me e me che non potrei definirmi una stiratrice esperta, in quanto non sono una stiratrice di professione e quindi di per sé già il termine stiratrice risulterebbe improprio, e pur tuttavia l'esperienza mi ha dotato di una discreta capacità stiratoria, dovuta al fatto che già in età adolescenziale venivo introdotta a tale arte e a periodi (fortunatamente alterni) ho avuto modo di affinare la tecnica, sicché, sebbene tale attività non rientri nella top ten delle mie preferenze (anche limitandosi alle incombenze casalinghe), devo ammettere che i risultati sono piuttosto soddisfacenti.
Per darvi un'idea, la sessione di cui sopra è durata 2 ore e 37 minuti. E già qui possiamo fare una selezione tra chi ci capisce qualcosa circa le tempistiche dello stiro e chi non ne ha la minima idea, essendo principiante.

Anyway, la riflessione sul concetto di principianza nasceva dal fatto che, trovandomi improvvisamente nella necessità di stirare ingenti quantitativi di biancheria e notando con una certa soddisfazione l'ottima tempistica ottenuta nonostante la lunga assenza di allenamento (riuscendo perfino a riconoscere il dritto dal rovescio di quegli asciugamani di lino con l'orlo a giorno recente recupero da un corredo di matrimonio di oltre quarant'anni fa – non si fanno più gli orli a giorno di una volta), mi chiedevo chi sarebbe in grado, da principiante, di affrontare anche solo un quarto di quella sessione di stiro.
Sì, perché uno pensa che stirare un asciugamano di lino sia cosa facile, dato che non ci sono pieghe. È tutto dritto, che sarà mai.
E invece l'asciugamano di lino è infido. Ché tu lo togli dallo stendino secco e rigido come un baccalà, gli dai una bella stirata con una botta di vapore così si ammorbidisce, poi lo volti e stiri ancora, lo guardi e dici Va' com'è venuto bene, lo pieghi in tre e poi in due, e poi lo riguardi e ti rendi conto che è ancora stropicciato. Le pieghine malefiche rinvengono magicamente.
Che poi, parliamone. Questi asciugamani di lino saranno pure raffinati, ci fanno una bella figura nel bagno, che al confronto quelli arancioni dell'ikea fan venire la pelle d'oca. Però, diciamocelo, non asciugano una madonna.
E anche le magliette, quelle bianche a maniche corte da mettere sotto le camicie. Le facessero una volta con le cuciture che stan dritte...

Vabbè, allora, per cominciare, per imparare a stirare, cosa gli diamo, a un principiante?
Ecco, come primissima cosa direi gli strofinacci da cucina. Pure gli asciugamani di spugna son facili. I tovaglioli? Sì, bisogna solo stare attenti a piegarli bene, tutti uguali. Le federe, anche, ma occhio ai bottoni. La tovaglia? Mah, non è proprio semplice semplice, per via della grandezza. Le lenzuola uguale, hanno questa difficoltà che specie quelle matrimoniali fai fatica a rigirarle sull'asse, per non parlare di quelle con gli angoli (che invenzione balzana). Però, insomma, un programma di training per principianti si può trovare, mi son detta.

Perciò pensavo, vagamente irritata, possibile che il programma di allenamento per principianti previsto dalla tabella di Runner's World preveda 5 chilometri di riscaldamento seguiti da 7/8 chilometri di fondo medio?
Sarebbe come dare a uno stiratore principiante due lenzuola matrimoniali con gli angoli per riscaldamento e sei camicie come allenamento.
Forse, pensavo, dovremmo intenderci sul significato di principiante, nonostante la chiara definizione del Sabatini Coletti (e anche su quella di fondo medio, la verità. Qualcuno mi illumini, please).

- Runner's World? Mica devi leggere quelle riviste lì, mi ha detto con serafica sufficienza Cognato, marito della Sorella di cui sopra, a cui esponevo le mie perplessità sull'adeguatezza dell'allenamento per il runner principiante. E giusto un attimo prima che il mio cervello registrasse il suggerimento come un invito a non farmi influenzare dal fanatismo di certi redattori: - Tu, ha aggiunto, estraendo con noncuranza dallo scaffale due dei suoi preziosissimi seppur datati libri sulla corsa, Tu non sei mica una runner. Al massimo, fai un po' di jogging.

Chi si somiglia si piglia, direbbe qualcuno.

Comunque, adesso il quadro mi è più chiaro. In effetti, la questione è intendersi sui termini. Però, ecco, ci sono rimasta un po' male, la verità.
C'è di positivo in questo che oggi nevica da due ore, non sembra avere alcuna intenzione di smettere e io, in quanto semplice jogger, ho il vantaggio rispetto al runner (quel sofisticato) di potermene stare a casa senza grandi sensi di colpa.

mercoledì 16 gennaio 2013

Tried it all? run the wall

Ho un obiettivo.
Mica un obiettivo da poco, ché quando mi ci metto faccio le cose in grande.
Comunque adesso che la scuola è iniziata e le girls sistemate, almeno da un punto di vista formale (quello sostanziale necessita di un po' di tempo anche per loro), mi si prospetta la giornata davanti, se non intera, almeno a metà.
Le girls sono a scuola fino alle quattro e la Gabbianella ha iniziato da ieri il tempo pieno all'asilo, il che significa che rientra alle tre e mezza. Diciamo che ho forzato un po' i tempi di ambientamento, passando da quindici a sei giorni. Abbiamo una mezz'oretta da passare insieme, lei e io, per esempio saltellando su e giù per i marciapiedi, andando dal panettiere o a comprare la frutta, dal giornalaio a sfogliare a scrocco qualche rivista e comprare le figurine, se piove possiamo fare il salto delle pozzanghere e vedere quanto ci si bagna e se fa freddo perfino andare al bar a berci un tè, per dire. L'imbarazzo della scelta, vero, prima che le sorelle escano da scuola, alle quattro.

Dopo di che ovviamente la giornata si ritiene conclusa, almeno per quanto riguarda le mie attività personali, dove per personali si intende anche rifare i letti, raccattare vestiti e giocattoli, passare l'aspirapolvere, imbottire la lavatrice, stirare, e insomma tutte quelle cose che in genere si fanno alla mattina, perché poi essenzialmente ti passa la voglia e se perdi l'attimo lasci anche le tazze della colazione sulla tavola senza tanti rimorsi.
Allora, per fare un po' di conti, ho esattamente sette ore di tempo. Sette ore. Che uno pensa, per dire, Ammazza quanto tempo.
A voler essere pignoli, lunedì e venerdì le girls finiscono scuola alle dodici e mezza, e devo pure preparare un pranzetto, possibilmente variato (i tortellini, grande risorsa, pare abbiano già stufato), sicché le ore a disposizione si riducono drasticamente.
Se consideriamo un paio d'ore per le cosiddette faccende domestiche, me ne avanzano comunque un certo numero. Com'è che oggi non ho combinato niente, quindi, non me lo spiego.
Comunque.
L'obiettivo è impegnativo, e va affrontato per gradi. Più avanti anche per gradini.
Perché l'obiettivo è la Great Wall Marathon. Ta Dah! 5.164 step into history.

Tried it all? Run the wall! Va' che frase, tutto un programma.
Non che io abbia provato granché, la verità. Però questo slogan è fantastico.

- Wonder...
- Dimmi Cosci, amica
- Qui non se imbarca cucchi
- Parla chiaro, per il pubblico, please.
- Sei sicura di non avere qualcosa da dire?
- Un attimo, Cosci! Un attimo! ci stavo arrivando.
- Ah, perché pensavo volessi far credere...
- Mannò, mannò, stai tranquilla. Uuuuh, che pittima!
- Ti ho sentita.
- Già. Lo so.

Ehm, ecco. Dunque. Non sarebbe la maratona, vero.
Sarebbe la half marathon.
Mezza. Ecco. La mezza.
Però sono pur sempre 21 chilometri e cento metri. Sulla grande muraglia, che non so se avete presente, ma è piena di gradini così ripidi che a volte ti ci devi arrampicare, altro che Torre dei Lamberti.

Ho quattro mesi di tempo. Qualcuno mi suggerisce una playlist energizzante?

giovedì 10 gennaio 2013

Tentativi

È che qui succedono delle cose. 
Ché io cerco di assestarmi, di non tossire, porto le bambine a scuola, le vado a prendere, mi commuovo a vedere la Gabbianella che mi saluta sorridente dal pulmino giallo, ascolto racconti interminabili di mattine scolastiche, preparo svogliatamente pastasciutte e cene a base di verdure, faccio la spesa, sistemo casa, vengo travolta da mamme e papà dei nuovi compagni di scuola ma non mi ricordo più i nomi, ascolto radio dj, ho la borsa piena di foglietti con scritto cosa devo fare ma poi non li leggo, perché nonostante la letteratura sia piena, come mi dite, di elenchi straordinari io devo ancora imparare a farle, le liste.
Parlo con le maestre, faccio lavatrici, mi lascio sommergere da camicie e magliette dato che il ferro da stiro si ribella, passo l'aspirapolvere, faccio telefonate, tolgo decorazioni dall'albero di natale, scommetto che in Cina c'è una farfalla che sbatte le ali a ripetizione perché in casa esplode un uragano ogni due per tre, guido sulle strade tortuose delle torricelle e mi sento un po' come fossi al GP, ché se avessi la mia ducati invece che la ford station wagon del nonno sarebbe pure bello.
Insomma, cerco di trovare una mia routine, perché senza routine non riesco a programmare, e se non posso programmare mi sento persa, sono come quelle mosche rimbambite che girano in tondo e poi finiscono per sbattere contro il vetro, si fermano un po' lì, ci camminano sopra senza capire come andare fuori, poi fanno un altro giro in tondo, lente e fastidiose, e tornano a sbattere contro il vetro.

Però poi succede che apri la posta elettronica, e ti aspetti di vedere la sfilza di email di facebook che ti comunica quante persone hanno commentato il link della tua amica, e in effetti le trovi, però trovi anche un saluto del MaxDad, uno della Gio, un invito del Community Center, una comunicazione del Passport Club, gli auguri di Franc del corso di fotografia che organizza delle uscite per febbraio, sarebbe bello poterci andare, no?
E mentre sei lì, collegata a skype perché si apre in automatico quando accendi il computer, ti arrivano dei messaggi da Shanghai, come va, come stai, com'è andato il trasloco, e vedi anche la finestrella lì in basso a destra che ti dice chi è online, e ci sono un sacco di persone su skype a quest'ora da Shanghai, e improvvisamente ti ritrovi là, con la testa, e ti sembra di poter prendere la metro e andare a trovare l'amica francese, e mangiare la crema al cocco e farti dare la ricetta, per un attimo ti sembra di essere là, con il cuore, anche se hai le gambe distese sul divano e i piedi sul cuscino nella tua sala con sette finestre al terzo e ultimo piano della casa del cesiolo.

E guardi i vetri delle finestre, e pensi alla mosca, e anche fugacemente a Kafka e a quell'insettaccio schifoso, e concludi che no, non corri il pericolo di andare a sbatterci contro, a quei vetri, non foss'altro perché son talmente sporchi che quasi non ci vedi fuori.

giovedì 3 gennaio 2013

Va tutto bene

Ecco, ci sono.
Come mi sento? Non lo so. Devo ancora elaborare una risposta adeguata.

Però, a chi me lo chiede, dico che va tutto bene.

Oddìo, bene.
Sono oppressa da una bronchite che mi fa tossire peggio di un minatore della Valtrompia, la casa mi esplode addosso con tutte le stoviglie e le valigie e i giocattoli, l'atmosfera natalizia mi mette tristezza e il Bighi, nell'ansia di fare spazio ai 76 scatoloni (che per inciso devono ancora partire da Shanghai), o più probabilmente preso anche lui da una sottile insofferenza per quello che i colleghi cinesi in visita turistica hanno definito un bel villaggio, ha deciso che dobbiamo mettere ordine, eliminare il superfluo, svuotare gli armadi, cambiare la disposizione dei mobili, e dopo aver tolto dalla soffitta scatole da scarpe, pezzi di parquet e mattonelle del bagno tenute dai tempi della ristrutturazione perché non si sa mai, cartoni di vecchi giocattoli e un numero imprecisato di sacchetti dall'ignoto ma indiscutibilmente inutile contenuto, ha sentenziato che in definitiva il meglio di tutto sarebbe cambiare casa.

Ognuno reagisce a modo suo.

Io cammino. Cammino guardandomi intorno, cercando di notare le cose diverse nelle strade, ascoltando i discorsi della gente, scoprendomi a capire anche il dialetto e provando una strana sensazione all'idea di me che tentavo di distinguere i suoni incomprensibili del dialogo di due ragazze tra la stazione dello zoo e quella di XinTianDi della linea 10 della metropolitana e che gioivo nel cogliere qualche minimo pezzo di conversazione.
Percorro le solite vie, tra i soliti palazzi, cercando facce conosciute senza trovarle, guardando senza stupore le signore con i sacchetti pieni di pandori e panettoni, inventandomi una storia dietro due ragazzi che si abbracciano sul ponte mentre trascinano una piccola valigia nel sole tiepido di un giorno di festa.
Incontro vecchi amici, aspetto di vedere le amiche del platano, mangio pandori con lo zabaglione e tavolette di cioccolato svizzero, sciolgo medicine nell'acqua bollente, lavo flute e calici di cristallo, accendo candele nuove e butto mozziconi vecchi (li terrei, di mio, ché non si sa mai, ma ora come ora meglio attenersi alla direttiva familiare sull'eliminazione del superfluo).
Recupero avanzi, scruto gli scaffali delle cartolerie e compro decine di quaderni a quadretti, colle, matite e copertine colorate, guido sola nelle strade senza traffico guardando le montagne innevate all'orizzonte e il cielo blu senza nuvole.
Tossisco.
Leggo quel libro là che parla di due lune, due mondi, due dimensioni dello spazio e del tempo, due dimensioni del cuore, e sono reali, quei due mondi lì, ma separati, che se vai in uno poi non riesci più a tornare indietro. Ma non è che una dimensione è meglio dell'altra, sono solo diverse. E in realtà non lasci la prima per tua volontà: piuttosto vieni trascinato nella seconda da una forza oscura e invisibile, che potrebbe essere l'amore, per dire.
E forse mi sento così, trascinata in un'altra dimensione, conosciuta ma diversa, perché sono diversa io, in fondo.

Però, a chi me lo chiede, rispondo che va tutto bene.