mercoledì 31 agosto 2011

Getting lost

Questa mattina ho deciso di andare un po' in esplorazione, in sella alla bici, anche se la nostra vicina Doris, piccola ragazza di Taiwan dagli occhiali rossi e mamma di Quanquan, quattrenne minuscola compagna di scuola del Gatto Selvaggio, non approva temendo che mi perda o che finisca sotto un bus.

    In effetti la mia intenzione è proprio quella (di perdermi, non di finire sotto un bus), perché sono profondamente convinta che se non hai una meta precisa non c'è niente di meglio che guardarti intorno e curiosare un po'. La cosa mi riesce molto bene se sono da sola, primo perché sono libera di fermarmi o andare secondo il mio gusto, e poi perché il mio senso dell'orientamento lascia molto a desiderare.

    Così, supero con ogni cautela gli incroci dal momento che il colore dei semafori costituisce generalmente solo un'indicazione di massima, e mi spingo oltre la Yan'an Xilu, la famosa sopraelevata a otto corsie con le piante in vaso che rappresentano probabilmente l'ottava meraviglia, dal momento che non se ne secca nemmeno una (ora che ci penso c'è anche la forte probabilità, finora non considerata ma in effetti del tutto plausibile, che siano finte).

    Attraverso un canale, oltre il quale c'è un quartiere in cui i negozi e i ristoranti sono quasi esclusivamente giapponesi o coreani.

    Nella HongSong Lu c'è un mercato, lo riconosci dalla quantità di motorini e biciclette che stazionano davanti agli ingressi, dove si può entrare solo a piedi. Lì intorno ci sono banchetti di street food che offrono ravioli al vapore, pesci fritti, crepes locali con verdure e salse colorate che ti consegnano in un sacchettino, panini tondi ripieni di carne, lunghi bastoni fritti spugnosi, pesci originali di Shanghai e vermicelli originali di Singapore, nonché qualche altro genere alimentare, i cui profumi aleggiano nell'aria e fanno venire fame, a differenza di quelli che provengono dai ristoranti, che sono un po' nauseabondi.

    Sotto i portici si scopre una vitalità insospettabile, se si escludono il vecchio che dorme nel carretto sul bordo della strada e il meno vecchio che dorme disteso su una sdraio in mezzo al marciapiede. Ci sono tantissimi negozi: vestiti, centri estetici, parrucchieri, massaggi per i piedi, per il corpo e per zone non specificate, fruttivendoli, bar notturni, adult viagra shop, articoli per bambini (proprio in quest'ordine), ristoranti, una filiale della Bank of China solitamente introvabile, venditori di mobili, un centro di aggregazione per famiglie, family mart e all-day mart, piccolissimi garage in cui giovani meccanici si cimentano nel modificare le marmitte dei motorini, enormi garage per le macchine, minuscoli negozi di lampadine, un negozio di pentole in cui cerco invano una tortiera ma che oltre a tazzine e pentole tiene anche qualche profumo, della schiuma da barba, delle salse in bottiglietta e un grasso coniglio bianco come animale da compagnia. Essendo l'anno del coniglio, molti negozi e case private, ma anche le banche e gli uffici pubblici, esibiscono fieri le immagini del mite roditore, e in alcuni casi ne mettono uno vivo in una gabbietta sperando forse di intenerire il cliente. L'anno prossimo tocca al drago, e non credo che riescano a trovarne uno da mettere in una voliera.

    Entro in un panificio della catena Ichido per comprare un panino nero ricoperto di semi inaspettatamente morbido e dolce pagandolo a una cassiera che ha in testa un paio di orecchie bianche e rosa da coniglietta, come la sua collega che sta sfornando panini alle alghe.

    No, ragazzi, non indossano solo il gembiulino e nemmeno un tanga brasiliano con annessa coda paffuta, e in ogni caso, anche volendo trascurare l'abbigliamento, non hanno proprio niente in comune con le cugine gnocche di playboy, a meno di non trovare sexy la versione femminile del Bianconiglio.

    E una domanda sorge spontanea: cosa saranno costrette a fare queste povere ragazze quando arriverà l'anno del maiale?

martedì 30 agosto 2011

Il tempo delle torte

Per fare la torta alle mandorle e cioccolato occorrono i seguenti ingredienti:

    mandorle,

    cioccolato,

    burro,

    zucchero,

    uova,

    farina

    zucchero a velo (vabbè, ma quello si può saltare, ne serve solo una spolverata alla fine)

    panna montata per decorare (ok, anche quella è in più, facciamo a meno).


    Il procedimento non è difficile, quando hai tutti gli ingredienti, e soprattutto se hai anche il frullino per montare gli albumi. Dato che la casa non è fornita di detto elettrodomestico, fondamentale per quasi ogni tipo di torta, e nemmeno del burro, ho pensato di andare fino al Cialeful, che è lontano e mi fa perdere un sacco di tempo, ma così ho approfittato per prendere anche un paio di stivali pioggia per Gatto Selvaggio.

    Tornati a casa, con le borse piene degli ingredienti fondamentali e di alcune altre cose assolutamente superflue ma dal peso specifico superiore a quello dell'uranio, sono nella migliore disposizione d'animo per fare la torta, così come richiesto a gran voce dalle pargole e dal marito goloso.


    Procedimento:

    Fai sciogliere il cioccolato a pezzetti in una pentola capiente con tre cucchiai di acqua – fatto.

    Aggiungi lo zucchero e mescola bene finché non è sciolto completamente, ma senza farlo bollire – fatto.

    Aggiungi il burro e mescola bene finché non è sciolto – fatto.

    BB non leccare il cucchiaio.

    Aggiungi le mandorle sminuzzate (il frullino ha pure lo sminuzzatore, che figata, vien meglio che a casa mia) – fatto.

    Aggiungi la farina un po' alla volta - fatto.

    Gatto Selvaggio non leccare il cucchiaio.

    Togli dal fuoco e lascia raffreddare un po' – fatto.

    Separa i tuorli dagli albumi e aggiungi un tuorlo alla volta mescolando bene – fatto.

    Monta a neve ferma gli albumi (he he, io ce l'ho il frullino), e aggiungili al composto, delicatamente in modo che non smontino – fatto.

    Gabbianella non pucciare le mani nell'impasto.

    Accendi il forno a 180 gradi – fatto.

    Imburra uno stampo apribile per torte.

    …

    Ossignur, la tortiera.

    Mica ce l'ho, la tortiera.

    Il fatto è che per fare la maggior parte delle torte, oltre agli ingredienti e al frullino, necessiti anche di una tortiera, in primis, e del forno in secundis (in secundis solo perché dal punto di vista procedurale viene dopo, mica perché sia meno importante).

    La tortiera non ce l'ho. Non l'ho portata. Non ci ho proprio pensato, sinceramente, come non ho pensato di portarmi le pentole, lo scolapasta e nemmeno le rane a ventosa per non scivolare nella doccia e la sveglia sul comodino. La caffettiera sì, anche se poi non trovo il caffè. Non so perché non ci ho pensato, forse perché quando non fai un vero trasloco, con tutta la casa, mobili e soprammobili inclusi, ma solo un trasferimento, pensi (sbagliando) che dove vai non avrai bisogno di tutto quello che hai a casa tua, o forse pensi che potrai comprarlo là, dove stai andando, o forse che ci starai poco, e quindi non vale la pena portare via troppe cose, e insomma in realtà sono solo disorganizzata.

    Comunque non ce l'ho, la tortiera.

    E anche il forno, non ne vuole sapere di collaborare: dopo dieci minuti fa saltare le valvole, e mi si stacca il frigo. Sì, ho provato a spegnere tutto, aria condizionata, luci, computer, televisione, ho pure staccato il cellulare in carica, ma niente da fare, il frigo si spegne lostesso.

    Per oggi niente torta. Mi saltano un po' anche a me, le valvole, mentre una sottile delusione serpeggia nel resto della BighiFamiglia.

lunedì 29 agosto 2011

Korean evening

Mister W. è coreano, ha circa cinquantacinque anni, un nome inglese perché il suo è impronunciabile e una figlia adolescente. Sua moglie ha la faccia tonda e pacifica, un neo sul mento e un golfino bianco sul vestito blu, e peep toe con un fiocchetto di brillanti e un minuscolo tacco a rocchetto. Quando arriviamo alla HighTower, albergo nel mezzo del quartiere coreano, alle sette in punto (e lo sapevo che qui si mangia presto, però...), Mr W. e Signora ci stanno aspettando nella grande hall, dove c'è un negozio di mazze da golf e un lampadario di cristallo di sei metri per tre, cioè più o meno come la nostra sala da pranzo.

    Al terzo piano c'è un ristorante, coreano, elegante e silenzioso, anche se un po' spoglio. Il nostro tavolo è in fondo alla sala, separato dagli altri pochi commensali da un paravento di paglia intrecciata.

    La tavola è apparecchiata per quattro, senza tovaglia, con piattini quadrati di ceramica bianca, un bicchiere trasparente a calice, un bicchiere rosso per l'acqua e un bicchierino minuscolo. L'acqua che ci viene versata da una caraffa di metallo è molto buona, ma non è solo acqua: da quanto ho capito hanno messo del luppolo in infusione, per cui il colore è invariato ma il gusto è più dolce.

    A lato ci sono le bacchette e un cucchiaio appoggiati su un supporto di legno, e un tovagliolo bagnato arrotolato, con cui il nostro ospite si pulisce le mani e pure la faccia. Io lo imito per la parte relativa alle mani, la faccia invece preferisco struccarmela a casa, altrimenti mi restano le sbavature del mascara.

    Scegliamo del vino rosso (c'è solo francese, ma va bene), e mentre due camerieri cominciano a portare piccoli piatti con le pietanze, il terzo versa il vino, il quarto apre una botola sul tavolo, ci infila delle braci e copre con una griglia, su cui una quinta cameriera onnipresente cuoce senza interruzione striscioline di carne alternandole a fettine di fungo bianco e cipolla. Abbondanza di manodopera, qui.

    Assaggio un po' di tutto: un pezzo di cetriolo crudo con verdurine incastrate, la “corean pizza”, ossia una frittata con spinaci gamberetti e polipo, code di gambero fritte con salsa dolce (di cui mi innamoro), spaghetti di patate (cioè fatti con la farina di patate) con verdure decorati con un fiore viola. Mi faccio insegnare a preparare l'involtino di carne (foglia di insalata presa con le mani, fettina di carne, fettina di aglio, salsa di fagioli, qualche strisciolina di cipollotto, chiudi la foglia e metti in bocca, possibilmente tutto intero), salto il kimchi (piatto tradizionale fatto con cavolo e pesce e condito col peperoncino) dal momento che normalmente il cavolo è verde e il pesce bianco, mentre lì è tutto molto rosso, e se un coreano ti mette in guardia perché la pietanza è un po' piccante significa che rischi di perdere completamente l'uso della bocca. Non so cosa potrebbe succedere ad assaggiare dei bastoncini verdi, che Mr W. suggerisce di evitare perché sono piccanti. La zucca con le noci non l'assaggio perché è troppo distante, e non ci crederete ma mi risulta assai complicato catturare con le bacchette il cibo e trasferirlo nel mio piatto senza perderlo a metà del tavolo. A vedere la moglie pacifica di Mr W. si direbbe che l'operazione è molto semplice e anche elegante, ma i miei tentativi risultano piuttosto goffi, e questo credo che sia il motivo per cui ho più bevuto (vino) che mangiato, così dopo venti minuti ero già un po' brilla.

    Durante la cena la conversazione ha toccato i seguenti argomenti:

1) viaggio in Italia della Signora W., con digressione sulla situazione architettonica veneziana e relativi sistemi di protezione dall'acqua alta;
2) cibo italiano, con particolare ilare riferimento alla pizza a metro, e cibo coreano;
3) situazione politica in Italia (con particolare ilare riferimento alle ragazze di Mr. B.) e situazione socio-economica con ampia riflessione sulle condizioni di precariato delle giovani generazioni da cui è scaturito il laconico e sconsolato commento “in every place is the same”;
4) crisi adolescenziali delle figlie femmine in generale, e della figlia di Mr e Mrs W. in particolare;
5) temperamento artistico e talenti letterari anziché scientifici delle suddette adolescenti, e della figlia di Mr e Mrs W. in particolare;
6) viaggio in Italia della Signora W., con ampia digressione sulla città di Verona, sulla casa di Giulietta e relativa statua compresa la copia di Chicago Wonder-piede dotata (solo Wonder-piede, la tetta è quella di Giulietta);
7) convinzioni coreane circa la possibilità di mantenersi in salute mangiando grandi quantità di verdure e almeno tre teste d'aglio al giorno, che toglie il medico di torno.

    Chissà perché ho come idea che oltre al medico tolga di torno anche un sacco di altra gente: e occhio che qui rischiamo l'isolamento per una settimana.

sabato 27 agosto 2011

Facciamoci coraggio

Mi faccio coraggio, ha detto con un sospiro stamattina Gatto Selvaggio, infilandosi lo zainetto sulle spalle, pronta per entrare in classe. Ignoro dove abbia imparato questa espressione, che non rientra nel lessico familiare, ma approvo, approfitto e vado a zonzo.

    Girare per il quartiere in bicicletta può essere istruttivo. Intanto è meglio stare sul marciapiede, che se vai lungo la strada i pullman ti fanno dei peli meglio del Wilkinson 4 lame; poi è meglio avere la mascherina, perché comunque le distanze sono grandi, e se sulla piantina ti sembra molto vicina non stai calcolando consciamente che la mappa è 1:60.000 (io poi ho sempre avuto qualche problema di conversione ma stavolta ho controllato: significa 1 centimetro uguale 600 metri). Comunque, abbastanza vicino al nostro compound si può scoprire che esiste un panificio francese dove oltre ai croissant e al pane fresco con i semi di zucca ci sono anche i savoiardi della Vicenzi. Giusto se per caso ti vien voglia di un tiramisù.


    Il Wet Market di Beihong Lu l'avrei visto anche dal taxi, ma probabilmente non mi sarei fermata. Così invece, passandoci davanti, ho parcheggiato la bici e sono entrata nel padiglione del cibo saltando a piè pari quello dei vestiti e degli accessori.

    All'ingresso ci sono grandi banchi con la frutta, dagli alchechengi freschi ai durian, dai fichi alle pesche, dai mandarini alle mele, e altre varietà probabilmente tropicali che non conosco dalle forme più strane. Evitando di guardare troppo dove metti i piedi (si sa mai che ci passi qualche rappresentante della fauna locale) ti puoi addentrare nel mercato tipico cinese.

    C'è un banchetto che vende il tè in grandi latte di alluminio, e mostra in barattoli di vetro tutti gli annessi, cioè boccioli di rosa, mele a pezzetti, arance a rondelle, star fruit a fettine, palline di tè che quando le metti nell'acqua diventano grandi fiori. Ce n'è uno che vende riso e cereali, uno che vende funghi secchi, tre banchi di carne che se ne sta lì appesa e in verità ha un bellissimo aspetto, nonostante non sia tenuta nel frigo. Il banco in fondo vende spaghetti e rondelle di pasta fresca fatte con la farina di riso, quando imparo a fare un ripieno le compro e mi ci faccio i ravioli.

    Proprio di fianco al banco che vende montagne di uova (una signora le pulisce tutte prima di posarle delicatamente una sull'altra) c'è la zona animali vivi, con le galline (da cui le uova appunto. O viceversa, se volessimo essere pignoli, ma transeat), le papere (che ti domandi come fanno a stare lì ferme e buone che sembrano sedute e poi vedi che hanno zampe e becco legati), le quaglie nelle gabbiette e una puzza tremenda. Poi capisci il perché della puzza, quando vedi che poco più avanti c'è la stanza dove le macellano, 'ste bestie. Ho adocchiato solo un grande catino nero e una specie di enorme secchiaio sanguinolento, un tizio che spennava quella che doveva essere una papera e sono andata velocemente oltre. In mezzo a vari banchi di verdura (bella, molto meglio di quella del Cialeful) e oltre al banco che al mercato dello stadio avrebbe l'insegna La Casa del Tofu, ci sono in bella mostra le zampe le cosce e le teste delle galline delle quaglie e delle anatre che con ogni probabilità alloggiavano fino a poco fa due banchi più indietro.

    Salto le pescherie, solo perché si trovano a ridosso della macelleria (nel senso di stanza della macellazione), anche se avvisto da lontano qualche pescetto che per fortuna ha tutta l'aria di essere già morto.

    Nell'uscire, compro banalmente tre pesche, cinque fichi e dell'uva, ma non sono soddisfatta. Avrei voluto comprare un po' della splendida verdura che non ho idea di cosa sia, che non so come vada cucinata e che forse non è neanche verdura. La prossima volta mi faccio coraggio, e compro qualcosa di assolutamente sconosciuto.

venerdì 26 agosto 2011

Disorganizzazione provvidenziale

Stamattina la sveglia suona alle sei e mezza. Mi sa che mi ci devo abituare.

    Però ero sveglia dalle quattro e mezza, a sentire la pioggia picchiettare sulle tende da sole. Mi piace sentire il rumore della pioggia, specialmente stando all'asciutto, e sarebbe ancora meglio se avessi un tetto di vetro per poterla anche guardare e vedermela cadere addosso. Magari non alle quattro di mattina.

    A smettere non ci pensa proprio. Le previsioni prevedono pioggia per tutta la settimana, e qui quando piove piove proprio. Vabbe', mica il diluvio universale, sta piovendo ininterrottamente solo da dodici ore e le rane ancora non sono salite fin sulla terrazza, anche se adesso che ci penso ho avvistato una coppia di gatti, i due mini-cani del vicino, due scoiattoli e un paio di cicale andare ordinatamente in fila indiana verso l'uscita principale del compound. Sarà un caso.

   

    Il bus della BB stamattina è in anticipo. Anche se non sarebbe previsto faccio finta di niente e salgo anche io, che faccio la mamma apprensiva e prima di mollarla del tutto vorrei essere sicura che abbia capito dove deve andare. Siamo le prime, poi salgono una bimba biondissima con gli occhi celesti, due bambini orientali, un'altra bambina bionda più grande. Il bus ha cambiato strada, decide di fare un percorso diverso ma si imbuca lostesso nel compound successivo, e sebbene l'autista sembri aver inquadrato dove sta la retromarcia la guida risulta ugualmente un po' sportiva, tanto che la bimba biondissima dagli occhi celesti vomita la colazione sulla sua vicina altrettanto bionda (ma guarda un po', io novella Cassandra l'avevo pur detto, ieri, che si vomita facilmente su 'sti cosi), e a dirla tutta anche l'accompagnatrice, che si affretta con schifata sollecitudine a soccorrere la nordica fanciulla, sembra in seria difficoltà e trattiene a stento i conati. E per fortuna li trattiene, perché mi sta proprio di fianco, e non sono per niente curiosa di sapere cosa ha mangiato stamattina l'asiatica assistente, che somiglia vagamente a Mortissia però nell'inedita versione con infradito di plastica, pantalone di poliestere e maglietta viola (ora punteggiata di macchie gialline).

    La BB nel frattempo manifesta con cadenza costante il desiderio di tornare a casa, o quanto meno di non andare a scuola, ma il pullman prosegue imperterrito, raccoglie altri quattro pargoli lungo il tragitto, percorre intelligentemente una strada alternativa evitando così di incastonarsi nel parcheggio del supermarket per fare inversione, ma ugualmente siamo un po' in ritardo.

    Arrivate nella sua classe, la BB va a sedersi al suo banco a disegnare e quando la saluto con la mano dalla soglia lei inclina la testa di lato e mi guarda come un gattino dalla gabbia del PetShop.

    Ok, Wonder, non farti fregare.

    Me ne vado dritta al front office a segnalare questa “criticità nel sistema dei trasporti” (sollecitando l'adozione di un bus di dimensioni adeguate al numero di bambini - 15 - nonché alle dimensioni delle rotonde, e sorvolando benevolmente sulla necessità di istruire i guidatori sulla posizione delle marce), così la mia vis polemica ha il sopravvento. Non so se sortirà qualche effetto a livello organizzativo, e comunque ne dubito. Di sicuro invece è servito per togliermi il magone, e meno male perché di acqua ce n'è già a fiumi, e uno scorre proprio sui miei piedi mentre mi avvio al cancello dell'uscita.

giovedì 25 agosto 2011

Se ci avessi pensato prima

Stamattina sveglia alle sei e trenta. Piove. Volevo ben dire.

    Alle sette e ventitre, con ben due minuti di anticipo, io e la BB con il nostro ombrellino siamo alla fermata del bus, dove ci sono due pullman in attesa, ma nessuno dei due è il nostro. Alle sette e trenta ancora il bus non c'è. Cominciamo bene, penso, ma mi sento di rassicurare la BB, per il motivo piuttosto banale che vedo un altro bambino con la divisa della scuola, mica perché sia particolarmente certa che il bus non sia già passato. Non sarò mica l'unica che arriva all'ultimo secondo, e comunque stamattina mi sembrava di essere stata bravina, che son arrivata giusta. Comunque alla fine arriva, ma non è uno scuolabus, è un pullman da 50 posti. Beh, dico, va' che grande sto bus, staremo più comodi, forse, ma in realtà ho come idea che si vomiti più facilmente, su quei cosi. Come da prassi salgo con la BB e prendo posto vicino a lei. Parliamo poco durante il tragitto, lei pensa alla scuola e io alle manovre da incropito che l'autista sta eseguendo per entrare e uscire dal compound. Forse sarebbe stato meglio se avessero mandato un pullmino più piccolo, perché se impiega dieci minuti solo per una fermata siam messi bene. E infatti a ogni compound è la stessa storia (e meno male che sono solo tre). La difficoltà maggiore, comunque, sta nell'inserire le marce. Ok, penso, siamo solo al primo giorno, magari tra un po' impara dove sta la prima e dove la retro.

    Arriviamo a scuola con un notevole ritardo (dovremmo essere lì alle sette e quarantacinque, arriviamo alle otto e dieci). Scendiamo, ma non c'è nessuno che accoglie i bambini, o li accompagna. Vabbe', la porto io in classe, le mostro di nuovo dov'è, come ci si arriva, e insieme mettiamo lo zainetto sul gancio con il suo nome. I suoi compagni sono già arrivati, ci diamo un bacio, poi chiudo la porta. Io resto lì fuori dalla classe un po' per vedere se va tutto bene, ma dallo spiraglio di vetro non riesco a vederla, anche se immagino che si sia seduta con gli altri bambini.

    Aspetto solo qualche minuto, poi scendo. A metà scala c'è una signora che piange, e nella classe vicina un bambino in lacrime. Guarda un po', penso, c'ho un po' di magone anche io. Scendo in fretta le scale pensando che ho ancora un po' di tempo per andare a fare la spesa, ci arrivo a piedi da qui al Cialeful, che sarà anche caro ma finché non trovo un altro mercato è meglio che vada lì, così non mi perdo per strada.

    Quando arrivo nel cortile lo sento arrivare.

    No, non è la commozione, non è che la BB diventa grande e anche Gatto Selvaggio sta crescendo, non è che sono preoccupata per loro, non è che sono stanca, non è il cambiamento, non è che il mio inglese fa schifo, non è che mi mancano le amiche e le mie sorelle, non è che la Gabbianella si toglie il pannolino e poi fa la pipì per terra, non è che mi senta sola nonostante non sia mai sola, non è la pressione bassa, non è che non ho ancora mangiato. O forse sono tutte queste cose insieme. Il fatto è che mi viene da piangere, e adesso che ho cominciato non sono più capace di smettere.

    E la cosa più drammatica è che non ho neanche un fazzoletto.

Quanto la BB scende dal pullman, sette ore e cinquanta minuto dopo, saltella su e giù dal marciapiede, ha voglia di raccontare tutto, dei giochi con la maestra, della collana che ha fatto con le perline, del cibo che ha mangiato, della biblioteca, della sua nuova amica italiana, e insomma è così tranquilla che quel martelletto che ho in testa smette di picchiarmi le tempie, e, complice un po' di pane e Nutella (che si sa, non serve ma aiuta), mi sento decisamente meglio.

Potevo anche pensarci prima.

mercoledì 24 agosto 2011

Yew Chung International School open day, ovvero della somatizzazione dell'ansia

Stamattina il tassista che ci ha portato alla scuola del Gatto Selvaggio ha accostato e ci ha fatto scendere sul lato opposto della strada, rifiutandosi categoricamente di portarci di fronte all'ingresso perché in tal modo avrebbe dovuto fare un po' di strada in più. Così, rifiutandoci a nostra volta di attraversare una strada a otto corsie nell'ora di punta (le otto e un quarto del mattino), abbiamo dovuto scarpinare fino al semaforo oltre il ponte e poi tornare indietro. Lo stesso valga per il tassista successivo, che fermato da una parte della strada ci ha fatto scendere perché avrebbe dovuto andare nella direzione opposta. “Soly, soly”, ripeteva (to', ho pensato, questo magari un po' di inglese lo capiva).

    Manie de noialtri tassisti, direbbe qualcuno.
    Comunque.

    La classe della BB è al terzo piano di un edificio abbastanza nuovo, circondato da un campo sportivo e munito di ricco parco giochi oltreché di dispenser per l'acqua ad ogni pianerottolo. La maestra, Ms Ar (ha un cognome complicato che comincia con la R, quindi semplifica secondo la prassi cinese), è una giovane biondina molto cordiale, che ha cercato invano di coinvolgere la BB, anche mostrandole un angolo da far invidia alle mercerie più fornite (e pure alla WonderDida che sogna un atelier anche qui), con perline, brillantini, nastri, stoffe, pailletes, ponpon, cartoncini, sacchetti di occhi finti di varie misure e bottoni colorati, ordinatamente racchiusi in barattoli e cassetti con il nome sopra. Tutta questa varietà di decorazioni e lustrini non ha smosso l'apatia della BB, che se ne stava aggrappata alla coscia del Bighi o in alternativa alla mia, in questo caso preferibilmente con la faccia nascosta tra le mie chiappe.

Mentre il Bighi compilava carte e svolgeva altre attività ludiche di questo tipo, io e la BB abbiamo curiosato un po' in giro, scoprendo che:

1) i bagni delle femmine hanno le porte rosa

2) la biblioteca è munita di minisedie minitavoli minidivani con maxipelusches quasi esclusivamente rappresentanti pesci tropicali, di un piccolo lavandino dove lavarsi le mani prima di prendere i libri e di almeno una storia di Lilly e il Vagabondo

3) sulle scale ci sono dei mosaici raffiguranti animali marini

4) in tutto l'edificio l'aria condizionata è a manetta, confermando l'idea generalizzata secondo cui maggiore è la differenza che si riesce a produrre tra la temperatura interna e quella esterna maggiore è il livello di collocazione sulla scala sociale

5) far passare due ore nell'attesa dell'esame EAL (English as Additional Language) con una bambina attaccata alternativamente alla maglietta o al pantalone non è confortevole, e produce una certa inquietudine.

Le insegnanti che svolgono detto esame sono tre: una grassottella, con i capelli biondi e lunghi raccolti con un fiocco, la minigonna e lo sguardo languido sotto le ciglia blu; una alta, snella e bella, con lunghi capelli castani e altrettanto lunghe gambe; una castana, con gli occhi celesti coperti da occhiali dalla montatura nera, più larga che alta e con le guance gonfie come un criceto che fa provviste.

Indovinate un po' qual è la nostra.

La BB entra nella stanza da sola con l'insegnante, mentre sbircio mi sembra che non muova un solo muscolo, e comunque nessuno nei pressi della bocca, che quasi mi viene da piangere al suo posto. Ne esce un quarto d'ora dopo, sorridente ma solo perché finalmente era fuori e con uno sticker nuovo.

Da lunedì comincerà un corso intensivo di inglese, tutte le mattine dalle nove alle dieci, con altri bambini che come lei hanno qualche difficoltà con la lingua.

Mentre torniamo la BB guarda fuori dal finestrino, con aria pensierosa.

E io? Io, a parte i brufoli psicosomatici, speriamo che me la cavo.

martedì 23 agosto 2011

Se non lo vedi non ci credi

Lo sapevamo. I cinesi fotografano tutto. Pure stando dentro il pullman, li vedi con la macchinetta al naso che si perdono l'originale pur di riuscire a fotografarlo e guardarselo a casa sul divano.

    Però questa mania di immortalarsi sorridenti con due dita aperte in segno di vittoria a fianco delle mie pargole è piuttosto singolare. Capita generalmente in ogni posto dove ci sia grande afflusso di gente (mica solo allo zoo, e no, in effetti non ho mai pensato che qualcuno credesse che facessero parte delle attrazioni). Però mentre alcuni sono discreti, fanno foto di nascosto che quasi non te ne accorgi, o si mettono lì vicino e poi ringraziano, oppure ti chiedono il permesso prima di fare un servizio completo, altri vorrebbero prelevare direttamente la Gabbianella dal suo passeggino e mettersela in braccio (non esiste proprio), o prenderla per mano (figuriamoci), abbracciarle o tenerle tutte e tre sorridenti ferme davanti all'obiettivo (impossibile). Solo che poi loro sono così felici, così soddisfatti di avere quella foto, così increduli che siano tre, così solleciti nel magnificare la bellezza delle cucciole, che non puoi fare a meno di sorridere, ringraziare e salutare anche tu.

    Per rispondere all'Amica AleSarda, che obietta giustamente che a parte la bellezza delle bambine (grazie, un po' è anche merito mio, diciamocelo) non dovrebbe essere così strana la presenza di occidentali, devo aggiungere che anche io faccio fatica a spiegarmi questa cosa. Certo ci sono famiglie con bambini piccoli (non tantissime comunque, anche se noi siamo qui davvero da troppo poco tempo per saperlo con certezza), ma con tre è piuttosto raro. Le famiglie francesi solitamente sono le più prolifiche, e ho visto all'asilo del Gatto Selvaggio una mamma bionda con tre bambini biondi che aveva tutta l'aria di essere incinta, ma aveva due maschi e una femmina. Tre femmine è un bel botto. Già avere due figli qui è condizione assai privilegiata, e avere un maschio e una femmina costituisce una strana seppur non così rara eccezione, ma per averne tre, tutte femmine, devi essere molto, molto ricco.

    Shanghai è una città cosmopolita, e gli abitanti di Shanghai dovrebbero esserci abituati. Ci sono però veramente tanti turisti da tutta la Cina, o da altri paesi orientali limitrofi, che forse non hanno la stessa confidenza con gli occidentali.

    Comunque questo a mio parere non giustifica il fatto che non possiamo fare un giro a WaiTan (cioè a dire il Bund, la strada pedonale più famosa, da cui si vede il panorama-simbolo di Shanghai sui grattacieli di Pudong, oltre il fiume) senza doverci fermare ogni due passi, ma proprio ogni due, assediati da nugoli di curiosi. Funziona così. Tu sei lì che ti guardi intorno, accarezzato finalmente da una brezza gentile, e affascinato dalle luci, dalla grandiosità degli edifici e dal fatto di essere proprio lì, dove non avresti mai immaginato di essere fino a pochi mesi fa; sei lì che vorresti goderti l'atmosfera, già parzialmente danneggiata dai vani tentativi di tenere sotto controllo la Gabbianella che non vuole stare per mano e le due grandi eccitate e saltellanti, quando due o tre persone ti fermano piazzandosi proprio davanti, cominciando a fare gridolini di stupore e ammirazione. Nell'udire le per noi incomprensibili parole che accompagnano i gesti di sorpresa, si fermano apparentemente incredule altre tre o quattro persone, poi altre cinque finché ti ritrovi attorniato da trenta-cinquanta individui e non riesci più a muoverti.

    Ieri sera, per dire, è arrivata pure la polizia per vedere cosa succedeva, poi ha visto la BighiFamiglia al centro del gruppo, ha sorriso e si è unita al drappello. Adesso ho una vaga idea del perché le star del cinema viaggino in incognito; per quanto, in effetti, l'attenzione sia rivolta esclusivamente alle bambine, mentre io e il Bighi siamo spudoratamente ignorati.

    Magari se riesco a fare amicizia con qualche trimamma europea che vive qui potrei chiedere se succede anche a loro. Di essere ignorate, dico.

Aggiornamento dallo zoo

Andare allo zoo alla domenica è un'esperienza completamente diversa. Prima di tutto, c'è molta più gente che in un giorno feriale, e non riusciamo neanche a varcare la soglia che siamo assaliti da un gruppo di persone che vogliono fotografare le bambine, e la cosa si ripeterà più volte lungo il percorso mettendo a dura prova la solidità del mio sorriso-paresi, perché dopo un po', diciamocelo, la cosa non è più tanto divertente e rallenta l'andatura.

    E poi l'atmosfera è più frizzante.

    Alla domenica lo zoo è molto vivace, ci sono in funzione delle giostre, un dragone che fa le montagne russe, un trenino (meno gettonato) e una ruota che fa girare le barchette, e se si evita di entrare nelle gabbie degli elefanti proprio lì di fronte, che provocano enorme tristezza, dato che cinque grossi pachidermi sono chiusi in un gigantesco edificio, separati da sbarre e tutti senza zanne (tranne un esemplare con una sì e una no), sporchi e molto annoiati, se non si entra, dico, è tutto molto allegro. Della musica classica viene diffusa da barattoli verdi nascosti nell'erba, i baracchini che vendono gelati offrono anche spiedini di carne e bibite fresche, e anche se l'ippopotamo è ancora in acqua nella stessa posizione dell'altra volta (che sia finto? Cane dei vicini insegna...), stavolta vediamo (tranne Gatto Selvaggio che dorme per tutto il tragitto) anche un rinoceronte, le zebre, varie tipologie di scimmie delle quali alcune che si spulciano, e gente che fa il pic-nic. In un laghetto ci sono delle barchette a pedali colorate a forma di tazza con il tettuccio di stoffa, una bambina se ne sta seduta su un sasso con la sua borsetta di pesciolini sulle ginocchia (ok, ho capito, qui si possono anche comprare, i pesciolini, non li portano solo a spasso). C'è un posto dove fanno fare un giro sul cavallo ai bambini, che in alternativa possono salire sulla tigre (finta però) o sul panda e la zebra che dondolano. Una signora offre pistole che sparano bolle di sapone e c'è anche un banchetto di panda di peluches, oltre agli animali di plastica gonfiabile.

    Secondo me manca un po' di struttura, questo merchandising. Bisognerebbe suggerire un negozio con prodotti promozionali, che so, borse a forma di panda, portamonete a forma di tartaruga, matite a forma di giraffa, blocchi da disegno con le immagini del parco, il dvd della Tigre del Bengala con Il Libro della Giungla incorporato (forse il salgariano Le tigri di Mompracem non avrebbe altrettanto successo, ma si potrebbe provare). In questo modo forse il parco sarebbe promosso con maggiore successo e potrebbe essere visitato anche dagli occidentali, oltre che dai cinesi. Tanto, dato il costo del biglietto d'ingresso (40 reminbi), anche se non guardi gli animali varrebbe la pena andarci per godere di un po' di tranquillità.

    Sempre che non sia domenica e tu non abbia tre pargole al seguito.

lunedì 22 agosto 2011

fake market

Nanjing XiLu è la parte a ovest della lunghissima Nanjing Lu, meno famosa della pedonale a est Nanjing DongLu ma ugualmente densa di negozi di lusso delle marche europee più prestigiose (da Gucci a Max Mara, da Burberry a Chanel, da Armani a Ralph Lauren compreso un concessionario di Aston Martin), che si alternano a pasticcerie e ristoranti, gioiellerie e negozi di antiquariato, beauty farm fashion e souvenir di lusso. Così uno se vuole può farsi un'idea, prima di arrivare al numero 580, dove c'è il mercato del falso.

    Pare di entrare in un centro commerciale normale, ma i tre piani dell'edificio sono intasati di negozi di due metri per tre assolutamente ingombri della merce più varia, e assolutamente ripetitivi. Borse, orologi, occhiali, magliette e vestiti soprattutto, ma anche telefonini e accessori vari (se mai avrò un Iphone voglio la copertura di brillanti in versione completa di rosellina e cuore in rilievo), scarpe, bacchette e servizi da tè, portafortuna e scacciaguai, sciarpe e pennelli per la calligrafia, aquiloni, penne usb e dvd, soprammobili e cinture. Il tutto esposto in tuguri senza porta uno attaccato all'altro, senza soluzione di continuità.

    Adeguatamente istruita sulla necessità di contrattare per qualsiasi cosa in qualsiasi negozio (ad esclusione dei centri commerciali dove il prezzo è imposto), mi aspettavo di assistere a delle scenette tipo morra, dove uno spara un numero e l'altro rilancia, tra grida e insulti.

    Invece niente.

    A detta del Bighi c'era poca gente, e infatti si poteva passeggiare tranquillamente e vedere la merce esposta, lanciare occhiate senza troppo parere e passare avanti fingendosi interessati a qualcosa in particolare, e a parte le voci insistenti dei negozianti che ti invitano a Just looking non c'era molta confusione. Così all'improvviso in un momento di incertezza sono stata letteralmente trascinata per un braccio da una ragazza, seguita dalla (presumibilmente) madre, a vedere una borsa, sparendo alla vista dell'amato consorte; ma mica dentro al negozio, no. Dietro. E così ho scoperto che ogni negozio ha delle merce fuori, che si vede, e dell'altra nascosta, che ti mostrano con grande circospezione aprendo porte finte ricoperte di merce, infilandoti in uno strettissimo corridoio (che dico corridoio, sembra di entrare in un armadio) per uscire dal quale devi andare all'indietro, che spazio per girarsi non ce n'è.

    Perché anche qui, come ovunque, è vietato commerciare firme false. C'è pure un cartello su ogni piano che spiega (in cinese) che non si può vendere e comprare merce delle seguenti marche: e giù l'elenco degli stilisti più famosi (vanno molto Chanel e Luis Vuitton, di cui peraltro i venditori ti mostrano i cataloghi dove puoi scegliere il prodotto che vuoi). Dopo un ragionevole lasso di tempo in cui sono stata sequestrata nel retrobottega il Bighi mi raggiunge, e appurato con un certo sollievo che avevo ancora entrambi i reni ha cominciato la trattativa per la borsa che avevo in mano, la cui particolarità consisteva nel fatto che era dello stesso identico inconsueto colore del mio vestito (petrolio, diciamo). Purtroppo eravamo già un po' in ritardo, quindi la contrattazione è stata piuttosto veloce, ma il Bighi mi ha sorpreso per la fermezza con cui ha condotto il gioco e raggiunto l'obiettivo, sempre sorridendo (circa un terzo del prezzo iniziale, ma avrebbe potuto fare di più, come diceva sempre la mia prof di tedesco alle medie, se avessimo avuto più tempo).

    Ci siamo scambiati il denaro che sembravamo degli spacciatori al cesso dei giardini pubblici, poi la madre ha ficcato la borsa in un sacchetto nero e mi ha dato il biglietto da visita, assicurandomi che se le mando gli amici gli fa un buon prezzo. Adesso lo sapete, nel caso.

domenica 21 agosto 2011

Il cinese è una lingua difficile, figuriamoci lo shanghainese

Premessa. Dalle prime pagine della Guida Traveler del National Geographic: “Gli abitanti di Shanghai parlano una variante del wu, il secondo gruppo linguistico cinese, incomprensibile sia ai madrelingua mandarino del nord che ai gruppi di idiomi quali l'hakka, il cantonese e altri gruppi del sud. (…) La lingua wu è considerata più dolce, morbida e musicale del mandarino. Il maggiore sottogruppo linguistico del wu, parlato da circa 16 milioni di persone, è lo shanghainese. Pochi stranieri eccetto gli espatriati di lunga data imparano a parlare lo shanghainese”. Fine della premessa.

   

    La nostra ayi è una signora molto carina, sorride sempre, è silenziosa e ti segue raccogliendo le briciole (non serve dire che parla shanghainese). Che sia silenziosa sarà forse dovuto anche alla lingua, non lo nego, però a volte è molto rilassante.

    La comunicazione tra di noi per ora è ristretta al minimo indispensabile: ciao, cucino io, non capisco, torno alle 12, non capisco, vai a casa, va bene, non capisco, guarda qui questo coso si è rotto potresti chiamare la manutenzione? (questa ultima frase a gesti, per vero). Comunque finalmente un po' di quel cinese che ho imparato lei lo comprende, e ci intendiamo. Quando questo non avviene, lei con molta naturalezza mi fa segno di scrivere. Oddio, non è che proprio mi stupisca la sua nonchalance nel sollecitarmi in questo senso, però forse lei non si rende conto che scrivere i caratteri cinesi è piuttosto complicato, e se sbagli un segno o inverti la disposizione delle parole non si capisce più niente. Lei invece lo ritiene la forma più comprensibile, e infatti quando vuole essere sicura che io capisca un messaggio mi lascia un biglietto.

    Ora, non vorrei sembrare troppo gnucca, ma anche leggere il cinese è piuttosto complicato. Per comprendere un testo di media lunghezza è necessario memorizzare circa un migliaio di caratteri, ma mica solo il segno grafico, anche il suono. La cosa più difficile è che se non sai (leggendolo) o non riconosci (ascoltandolo) come si pronuncia un carattere non riuscirai mai a trovarlo sul dizionario, dove i lemmi sono in ordine di suono, appunto. Questo è del resto il motivo per cui ancora non sono sicura di come si chiami la ayi, nonostante lo abbia scritto su un quaderno.

    Ieri la ayi mi ha lasciato un biglietto (scritto dietro al numero che si prende per fare la fila, giusto per dare un'idea della grandezza). Non è la prima volta: quando siamo arrivati ne abbiamo trovato uno sul tavolo della cucina. I biglietti hanno il potere di mettere in forte ansia il Bighi, che si immagina regolarmente che la signora comunichi che si è rotta le balle e non viene più, magari in termini meno prosaici. Io sono un po' più ottimista, e per quanto riesca a capire meno di un quarto dei caratteri del biglietto, riesco a identificare Ciao, Io, Domenica, Mattina, Lunedì, Pomeriggio, per cui immagino comunicazioni meno drammatiche. Fortuna vuole che ben due dei colleghi del Bighi convivano con le fidanzate cinesi, quindi l'interpretazione non è lasciata solo alla mia fantasia ma anche a strumenti tecnologici d'avanguardia tipo mms e email via blackbarry.

    Dopo breve ma intenso consulto scopriamo che la ayi, per ora chiamata convenzionalmente Wang Che Hua, verrà domenica mattina perché lunedì mattina ha un impegno, e quindi ci sarà solo nel pomeriggio. Confortante. Almeno sappiamo che quando non può venire lo comunica, il che non è sempre scontato. E sappiamo anche che più o meno ci avevo visto giusto.

    Quello che è meno confortante è che nonostante ora io ne conosca il contenuto, per quanto ci provi non riesco proprio a tradurre quel benedetto biglietto.

One two three

La nuova ayi, tata tuttofare di circa quarant'anni, si muove silenziosa per la casa, pulisce, lava con sorprendente rapidità tutto quello che trova in giro scarpe comprese, lo stira, lo mette in un armadio (a caso) e parla solo shanghainese. Uno potrebbe pensare che insomma, con quelle quattro parole di cinese studiate all'università nel corso di alfabetizzazione di 40 ore, in cui per altro eri risultata la migliore del corso (mai successo prima: al liceo ero quella che copiava, potendo, non certo quella che passava il compito, e all'università mi sono sempre arrangiata, anche con buoni risultati, non dico di no, ma raramente eccellenti. E con il dottorato, che dire, è andata bene, però il voto non lo danno sicchè non si può dire). Con quelle quattro parole, dicevo, di sopravvivenza, e con un bagaglio di due dizionari e un frasario bell'e pronto, uno potrebbe pensare di riuscire a farsi capire, un minimo.

Sbagliato. Lo shanghainese è praticamente un'altra lingua. Me lo ha confermato Janis, ragazza cinese laureata in lingue che mi ha accompagnato alla visita medica. Questa rassicurazione mi conforta. Tuttavia, prima di saperlo mi sono cimentata nell'uso della lingua cinese comune, il mandarino, il cinese standard insomma. Ed è andata come è andata. Cioè: dopo aver chiesto cercando la pronuncia migliore che potessi sfoderare Ni jiao shenme mingzi, che sarebbe a dire Come ti chiami, mica balle, la ayi ha scosso la testa, fatto due occhi così e ripetuto una sequenza incomprensibile di suoni. Sono passata alla versione Io Tarzan tu Jane, ma anche questa non ha sortito i risultati sperati. Ok, ho pensato, un po' alla volta ci capiremo. Ma già mi aveva preso un lieve sconforto.

Finalmente, dopo qualche gesto, ancora cinese, inutile inglese, la ayi fa segno di capire (dong le! dong le!) e scrive sul suo cellulare, ovviamente in cinese, tre caratteri, ripetendo tre suoni. Allora: il primo carattere, Wang, l'ho riconosciuto (c'era un personaggio con lo stesso cognome nel libro di testo, mica per altro). Gli altri due, ovviamente, non ho fatto in tempo a memorizzarli. Vorrei vedere voi. Comunque la ayi emette i due suoni corrispondenti, interpretati come She Fa. Le bambine memorizzano. Il giorno dopo, i due suoni diventano Che Hua. Chissà domani cosa succede. Vabbe'. Per ora la chiamiamo Wang Che Hua, Wang She Fa, Wang Che Fè. Un po' come capita, insomma. Tranne Gatto selvaggio, che per semplificare ha deciso che la chiama One Two Three.

sabato 20 agosto 2011

Cinesata

La Gabbianella ha imparato a battere le mani. Si applaude da sola quando sistema un piatto di ceramica sul tavolo senza romperlo, schiaccia le zanzare che le svolazzano intorno, applaude di felicità quando vede la pastasciutta. Capita che poi si accorga che la stai guardando, allora sorride mostrando i sette denti davanti, inclina la testa, viene a prendersi una coccola e si prepara a combinare qualche casino, certa che l'indulgenza con cui stai ammirando quella sua aria sorniona la preserverà dalle ingiurie.

    E aveva proprio quell'aria lì stamattina quando, lasciata per un minuto e trentacinque secondi senza pannolino, è venuta da me mentre le sorelle gridavano “mammmaaaaaa! ha fatto la caccaaaa!! ha fatto la cacca sul divaaaanooooo!!”. La giornata comincia bene. Meno male che il succitato divano è in vera finta pelle, perciò lavabile con sapone liquido senza ulteriori conseguenze, a parte il lieve ritardo che l'inconveniente ha fatto maturare sulla tabella di marcia.

    Oggi il sole splende sul cielo di Shanghai, cosa piuttosto anomala dato che solitamente l'aria è talmente umida che si crea una sorta di nebbia perenne, che unita allo smog colora tutto di un grigio uniforme. Gatto Selvaggio si è preparata da sola lo zaino per la scuola, pare tranquilla, cantiamo anche una canzone dello zecchino d'oro mentre andiamo. Quando arriviamo però si avvinghia alla mia coscia e sembra non aver nessuna intenzione di mollarmi. Si lascia convincere da Ms Alexis-Gloria (che oggi veste con una camicetta bianca con le maniche a sbuffo e l'elastico in vita e una gonna a palloncino) grazie alla promessa di uno sticker con le farfalle.

    Lascio il Gatto Malinconico e vado verso casa, ma, sarà la luce, sarà che sto solo sudando senza sciogliermi, sarà che oggi è venerdì e al venerdì le streghe si pettinano per andare a ballare, ma sono inspiegabilmente attratta dal negozio di parrucchiere lungo la strada. Dentro è tutto molto professionale, ci sono pure i prodotti Kerastase (le ragazze lo sanno, si vendono solo dal parrucchiere anche in Italia) in bella mostra sullo scaffale. Delle signore si fanno massaggiare le braccia e il collo, una si fa un impacco in testa con una schiuma rosa e poi sparisce sul retro, un'altra con in testa l'asciugamano si fa fare la manicure.

    Ok, dico, mi serve solo il colore, si può fare? Quello che sembra il capo si avvicina, guarda bene, mi mostra un catalogo con i ciuffetti colorati e me ne suggerisce uno. Mentre aspetto che il colore faccia effetto, guarda schifato i capelli, li tocca con una faccia che sembra la mia quando guardo i pescetti secchi del Ciarefur e mi suggerisce un impacco (sembra lo schifidol verde vomito). Ok, vada per l'impacco. Vuole anche la manicure? Vabbe', facciamo la manicure.

    Due ore e trentacinque minuti dopo esco con i capelli colorati dritti come spaghetti, così la ZiaChecca non potrà dire che sembro lei negli anni ottanta, e le unghie smaltate con le punte di brillantini, così la ZiaSandra potrà dire che sembro un'adolescente di Bovolone.

    Ma almeno per una volta lasciatemi fare una cinesata. Però, vi prego, non dite al Bighi quanto mi è costata.

venerdì 19 agosto 2011

Speriamo che si diverta

Sorelle, ate sentito questa notte il tuono?

    Venticinque anni fa, mese più mese meno, avrebbe detto così lo zio Bobo nel commentare il temporale di questa notte. Miracolosamente le cucciole non si sono svegliate, ma io sì, e lampi saette e tuoni che squarciano il cielo notturno come qui non ne ho mai sentiti.

    Stamattina per fortuna però è tutto tranquillo, così io e Gatto Selvaggio possiamo andare all'asilo in bici. Borsa nel cestino, zainetto sul manubrio e Gatto sul seggiolino. La Gabbianella in braccio a Wang Che Hua e la BB ci salutano dalla porta, bye bye.

    Ms Alexis ci viene incontro e cerca invano di far sedere il Gatto vicino a lei sul tappeto per fare delle costruzioni, ma lei invece trova lo sgabello con il suo nome, prende un puzzle quadruplo e comincia a farlo. Mi siedo vicino, e dopo circa venti minuti le chiedo se posso andare. Lei fa segno di sì con la testa, mi saluta, poi mi guarda andare via dalla finestra e fa ciao con la manina. Da che siamo lì non ha aperto bocca, ma è normale. Il piccolo groppo alla gola mi si scioglie lungo la strada di ritorno, dove mi fermo a comprare il pane.

    Quando arrivo a casa, la BB ha scritto su un foglio “Gatto si coteta”, esortazione lievemente sgrammaticata che incita la sorella a divertirsi (mi stupisce un po' questo imperativo ma faccio finta di niente).

    La BB è piuttosto preoccupata. Facciamo degli esercizi di inglese, ma dopo un po' non resiste.

   

    - Chissà cosa starà facendo adesso Gatto Selvaggio.

    - ...

    - Mamma, ma adesso Gatto Selvaggio è da sola?

    - No amore, ci sono la maestra Alexis e anche altri bambini.

    - Ma intendo, senza la nostra famiglia?

    - Essì, noi siamo qui e il papà è al lavoro...

    - …

    - Vedrai che va tutto bene, sai?

    - Speriamo che si diverta, che trovi degli amici nuovi.
   

    A volte mi commuovo anch'io, mica solo per l'uso del congiuntivo.

giovedì 18 agosto 2011

Rainbow Bridge International School open day

Piove. Chissà perché, ci avrei scommesso. Piove alle sette quando ci sveglia la Gabbianella, diluvia alle otto quando facciamo la colazione, l'acqua tracima dalla strada alle nove quando dovremmo già essere fuori casa. Ma quando chiamiamo il taxi alle nove e un quarto comincia a calare, e una guardia che passa di lì ci tiene sotto l'immenso ombrello accompagnandoci dai gradini di casa fino alla portiera del taxi. Xièxie, grazie, la chiude pure, la portiera. Quando arriviamo all'ingresso della Rainbow Bridge International School ha smesso del tutto, anche se non c'è ombra di arcobaleno. Mica che me lo aspettassi, comunque.

    Sul lungo viale d'ingresso, nel quale le auto non sono ammesse e vengono fermate da una guardia, si passeggia sotto una cascata di fronde, sulla sinistra si vede il parco dello zoo e quando si arriva al cancello una grossa insegna colorata dà il benvenuto, mentre un'altra guardia saluta con la mano (pieno di guardie, qui). Due ragazze ci chiedono il nome dell'insegnante di Gatto Selvaggio, e dopo aver consultato una piantina (bagnata) ci spediscono all'aula 103.

    Nella classe ci sono già alcuni bambini, e una ragazza pasciuta ci viene incontro e ci saluta. Ms Alexis, giovane nuova insegnante di Gatto Selvaggio, viene da Miami, è bionda con gli occhi azzurri e vive a Shanghai da due anni. È alta un metro e sessanta, assomiglia vagamente a Gloria l'ippopotamo di Madagascar e parla come Paperino. Ci illustra le varie attività che si fanno durante l'anno, la scheda giornaliera (ora di arrivo, ora di ambientamento, ora di gioco all'esterno, ora di pranzo, ora del riposino, ora di uscita. Noto che mentre l'orario d'ingresso è molto elastico, cioè dalle 8,00 alle 9,15, quello di uscita è alle 15.05. Della serie portateli pure tardi ma non ritardate nel riprenderveli), nonché l'elenco dei compagni di classe del Gatto da cui verifichiamo che sono in quindici, di cui sette femmine, e che provengono da zone sparpagliate del globo (Taiwan, Canada, Stati Uniti, Corea, Cina, Giappone). Alla domanda se per caso nella scuola ci sono altri italiani Ms Alexis-Gloria risponde “Yef, yef, of courfe”, ma poi non sa dire in quale classe, e si capisce che in realtà la scuola ha avuto bambini italiani ma ora non ce ne sono. Una signora coreana riconosce la BB, l'ha vista al campo giochi del nostro compound dove abita anche lei, parliamo un po' e poi mi chiede se per caso sono una stilista. Penso che mi piacerebbe, però No, rispondo, Perché? “You looks like a dress designer”, risponde. Beh, immagino che sia un complimento, e comunque potrebbe essere di buon auspicio.

    Lasciamo BB e Gatto Selvaggio in classe a disegnare e andiamo a vedere la scuola. Le aule sono tutte in una costruzione bassa, con grandi vetrate attraverso le quali si può vedere dentro, apparentemente slegate tra di loro, con delle zone comuni all'aperto e al chiuso. Dai tetti sporgono delle pensiline di ondulato da cui l'acqua si rovescia sul terreno (il nonno Claudio ci metterebbe le mani di sicuro) ma che tengono al riparo dalla pioggia, che intanto a ripreso a scendere copiosa. C'è una zona giardinaggio con tanti innaffiatoi e una vasca piena di pesci rossi, un parco giochi indoor, la mensa. Il tutto dà un po' l'idea di una certa confusione creativa e di un arrangiamento campagnolo, compreso l'ufficio dove facciamo un lunga fila, consegnamo le foto e riceviamo in cambio il tesserino necessario per ritirare il Gatto.

    Torniamo a recuperare le bimbe e prima di uscire entriamo in una ennesima costruzione dove si trova la biblioteca: e qui c'è il riscatto. Di legno, grande e ariosa, è piena di scaffali altezza bimbo dove si possono prendere a prestito i libri, c'è una zona lettura, divanetti e poltroncine dall'aria comoda, un soppalco relax pieno di enormi peluches e un piccolo teatro completo di sipario blu. Molto stile svedese, ma non Ikea. Gatto Selvaggio vorrebbe fermarsi lì, ma dobbiamo tornare dalla Gabbianella, rimasta a casa con la Wang Che Hua.

    Gatto Selvaggio non manifesta particolare contentezza (non è il tipo che si lascia andare a facili entusiasmi), ma la scuola sembra esserle piaciuta, soprattutto la biblioteca, ovviamente. Ma credo che anche con la maestra si troverà bene: hanno in comune almeno un difetto di pronuncia.

Taxi wild experience

In una città come Shanghai, dove le distanze sono decuplicate rispetto alle città italiane, spostarsi in auto è quasi imprescindibile, specie per una famiglia di cinque persone dove perdere un elemento all'uscita della metro può essere facile, e per quanto sia piccolo l'elemento in questione, l'integrità della famiglia ne risentirebbe alquanto.

Dunque, visto che oltre che comodo è anche piuttosto economico, per muoverci usiamo il taxi, il che rappresenta un modo apparentemente tranquillo di raggiungere la meta. Trattasi in realtà di un'esperienza piuttosto pittoresca, e sicuramente la mia assicurazione la classificherebbe tra gli sport estremi. Comunque.

I taxi solitamente hanno dietro al poggiatesta del passeggero uno schermo in cui si proiettano varie pubblicità, condite da suoni tipo discoteca, e che con un tocco del dito cambiano immagine, cosa che rende l'oggetto particolarmente attraente per le cucciole, e vagamente frastornante per i passeggeri adulti. Probabilmente è un sistema studiato apposta per stordirli.

Il tassista tipo ha una faccia per nulla somigliante alla foto della sua scheda personale, le unghie lunghe, che spesso arrivano a tre centimetri ma qualche volta li superano (oddio, non credo che tutti suonino la chitarra, il basso, il salterio o altro strumento a corde nel tempo libero. Magari un giorno provo a chiederglielo), e si mette gli occhiali per leggere il biglietto da visita che gli porgi con la destinazione che vorresti raggiungere perchè altrimenti non capisce cosa gli dici, anche se poi il più delle volte sembra non capire nemmeno leggendo il biglietto. Ma l'esperienza estrema consiste nell'affrontare la strada, dove il tassista, che in realtà si chiama Travis Bickle anche se non somiglia per niente a Robert De Niro, si butta nell'incrocio apparentemente senza paura, frena bruscamente per evitare il camion di destra, sfiora il motorino con tre persone a bordo a sinistra, imbocca la curva come se fosse a Minneapolis e atterra finalmente a destinazione.

Mica per tutti, insomma. E infatti la Gabbianella, che ha solo un anno e mezzo anche se urla come un gabbiano adulto, ha vomitato la cena proprio a due metri dall'arrivo. Meno male che era in braccio al Bighi.

mercoledì 17 agosto 2011

Ragazza fortunata

La sopraelevata (che non è la Wonder sui tacchi) attraversa Shanghai dall'aeroporto di HongQiao fino a Pudong, ossia da ovest a est, e cammina a circa quattro piani di altezza. La sopraelevata, essendo tale, non può avere delle aiole spartitraffico, quindi per soddisfare un certo senso estetico i parapetti sono forniti di migliaia di fioriere con cespugli verdi. Non so immaginare come si svolga l'irrigazione, ma presumo che ci sia un povero cristo che si fa tutta la strada con l'innaffiatoio (in una settimana dovrebbe arrivare in fondo). Ovviamente la sopraelevata è molto trafficata, essendo un'arteria senza semafori e a grande scorrimento, e se sei baciato dalla dea bendata durante il tragitto riesci anche a vedere un solo incidente, però siccome la velocità media raramente supera i sessanta all'ora, i tamponamenti sono generalmente di lieve entità. Ciononostante attraversare in taxi tutta la città può essere avventuroso. Può capitare che il tassista si distragga un attimo e freni a due centimetri dal pullman che precede, mandandoti a sbattere contro la tv maledetta del poggiatesta del passeggero davanti, e facendo cadere la borsa e tutto il contenuto sul pavimento, ma evitando così il paventato tamponamento (che culo). Può capitare che il traffico sia congestionato, nel qual caso potresti riuscire a leggere in cinese tutto il cartellone che pubblicizza la fiera del libro, se sei così fortunato da capitarci sotto, e magari anche uno dei libri tascabili della suddetta fiera; e impiegheresti comunque un paio d'ore per raggiungere Pudong.

    Questa mattina sono fortunata, ma a detta di Janis sono sempre fortunata (per la verità l'ha sperimentato solo in occasione della visita medica, ma tanto basta), così ha proposto di chiamarmi quando necessita di un po' di buona sorte. Stamattina infatti sono andata al distretto di polizia di Pudong per il visto definitivo, e abbiamo impiegato un'ora ad andare, compresa una sosta all'agenzia che ha tradotto i documenti ufficiali, circa un'ora in questura (chiamiamola così per comodità) e poco meno di 50 minuti a tornare.

    L'ufficio della questura sta in un palazzo di quattro piani nuovissimo, con una gradevole temperatura (non c'è il freddo becco della banca), le cui vetrate danno su un parco. I piani sono suddivisi a seconda delle necessità (il primo, per esempio, è riservato ai cinesi che vogliono il passaporto, il terzo agli stranieri che vogliono il visto). Il numero che ritiriamo è il 186, ma sembra che in attesa non ci sia molta gente, e infatti il tabellone indica il 152. Janis mi conferma che quando è venuta con il Bighi c'erano duecento persone in attesa. Oggi invece nessuna confusione, nessuno che grida, nessuno che gironzola a vuoto, tutti seduti composti. Per compilare i documenti ci sono dei tavoli in corrispondenza di alcune poltroncine, con quattro penne a disposizione (scrivono tutte, tra l'altro). Quando è il mio turno, mi siedo su uno sgabellino di fronte a una poliziotta con gli occhiali che mi fa una foto dalla videocamera del computer (non me la fa vedere però, così non so come son venuta), preleva il mio documento e quelli delle bambine, mi dà una ricevuta e ficca tutte le scartoffie in piccole buste separate, già pronte per essere rispedite al mittente. Grazie. Arrivederci. Usciamo nel caldo umido di mezzogiorno, e percorrendo con il taxi giallo le larghe strade di Pudong circondate dai grattacieli ho l'impressione che la burocrazia cinese non somigli per niente a quella tragica di Kafka cui qualcuno l'aveva paragonata.

    Ma forse sono solo particolarmente fortunata.

martedì 16 agosto 2011

studiando l'inglese

BB - Vedi questa è una torta, in inglese si dice chec, come Checca solo che si ferma a metà.

15 scatole sul pavimento del garage, yo ho ho! e una bottiglia di tè per conforto

Sono arrivati gli scatoloni. 15 pacchi delle dimensioni medie di un metro cubo che ho fatto mettere in garage, e che quindi non aprirò, in attesa di tempi migliori. Cioè, temperature migliori. Il garage e l'annessa lavanderia sono due stanze dove alloggia temporaneamente la sauna a disposizione degli ospiti. Per dire.

    Questo era il mio proposito, ma alla vista dei cartoni le bambine si sono eccitate e hanno cominciato a saltellare e a tagliare pacchi con piccole forbici, immaginando chissà quali sorprese e sollecitate anche dalla Wang Che Hua che ha cominciato ad aprirli e che mi ha costretto ad intervenire per evitare che il divano venisse sommerso da giacche di piumino e calzettoni di lana.

    Munita di elenco con il contenuto dettagliato di ciascun cartone (a volte mi stupisco della mia efficienza), abbiamo identificato e cominciato ad aprire quelli con i giocattoli, i peluches e i libri per le bambine, giusto per dare un po' di emozione al Bighi quando torna a casa.

    Gatto Selvaggio si è catturata un libro nuovo che avevo comprato prima di partire, 100 storie della buona notte, e adesso legge (cioè inventa) a voce alta (lo specifico anche se chi conosce Gatto Selvaggio sa che non esiste altro modo per leggere). La BB invece ha scelto Le storie più belle di H.C. Handersen, libro cartonato al quale vuole assolutamente attaccare un segnalibro come quello di sua sorella (basta tagliare una strisciolina di stoffa e attaccarla con lo scotch lì, mamma. Peccato che non abbiamo stoffa da tagliare, se si escludono le lenzuola, e la montagna di cose che ho portato non comprende scotch né colla). La Gabbianella ha trovato il memory e lo sta distribuendo uniformemente sul pavimento. Ho cercato invano di nascondere le scarpe, così adesso oltre a quelle nuove ha a disposizione un certo numero di stivaletti e sneakers che ci ha regalato l'AmicaBarbara.

    Io ho finalmente degli asciugamani anche per il bagno di servizio, che essendo l'unico al piano terra serve parecchio, e un copripioggia per il passeggino che la Gabbianella non ha mai voluto a casa e non credo che vorrà nemmeno qui, ma lasciandolo in Italia sicuramente non sarebbe servito.

    Cercando lo spazio dove mettere le cose arrivate abbiamo dovuto rivedere parzialmente la collocazione degli abiti, e con l'occasione ho tentato anche una ridistribuzione del mobilio, per la gioia del Bighi. C'è niente da fare, alcune cose bisogna che le facciamo portare via che nasconderle si fa proprio fatica... Forse se la padrona di casa vede come le bambine si lanciano a tutta velocità con il trenino contro i mobili si fa convinta che è meglio così.

    All'ora della merenda sono distrutta, ho caldo, sete e ho bisogno di una doccia, quindi facciamo una pausa con macedonia di frutta, tè freddo e biscotti, scoprendo così che i quelli secchi comprati al Cialeful sono della Biscotteria Tonon, la cui sede rimane a Verona in via Gelmetto 75. Son quasi commossa.


    Restano ancora tre scatoloni (anzi quattro ma uno non conta dato che contiene il seggiolino per la macchina e la macchina ancora non ce l'abbiamo).

    Credo che rimanderò, comunque. Per oggi basta così.

Efficienza paramilitare

Arrivata da due giorni, ho già la prenotazione per la visita medica, obbligatoria per gli immigrati. Mica come in Italia che prendono chi arriva così com'è, salvo poi dover curare malattie tropicali rarissime a spese dello stato. Vabbe'.

La struttura è un centro medico specializzato, ho la vaga impressione di essere un pollo in batteria. Mi fanno compilare delle carte, mi fanno una foto in piedi a lato della coda, mi spediscono alla stanza 203, dove una ragazza mi dà un accappatoio e una chiave dicendomi di spogliarmi e mettere le mie cose nell'armadietto. Misura altezza e peso (sorvoliamo), poi con un foglio mi spedisce alla stanza 209, dove mi fanno accomodare su una poltrona per il prelievo del sangue. Poi diretta alla stanza 211, dove mi fanno l'esame della vista. Non ho detto che porto le lenti a contatto, sarà grave? comunque ci vedevo poco lostesso. Nella stanza 213 fanno l'elettrocardiogramma (un vago senso di stanza delle torture, con dei cavi e dei morsetti che mi mettono un po' ansia, e che poi invece mi attaccano a una caviglia e ai polsi), lo stampano e lo allegano al foglio, e mi mandano alla stanza 208, dove una solerte dottoressa mi misura la pressione e controlla torace e cicatrici (quelle di guerra). La pressione è alta per il mio standard, normale per il loro, sarà che sono un po' tesa. Ultimo step, mi mandano al piano di sotto per una lastra al torace. Un senso di vaga inquietudine mi prende entrando nella stanza vuota, con la porta di metallo, ma dura poco perchè con un secco "it's finished" mi fanno uscire, tornare di sopra, riprendermi le mie cose e rivestirmi. All'uscita diluvia. Tempo delle visite: 17 minuti; tempo per andare, compilare le carte, tornare: 56 minuti. Il totale fatelo un po' voi.

lunedì 15 agosto 2011

Ikea day

Era scritto. Dovevamo anche qui fare un giro all'Ikea, perché nella nostra nuova casa la fornitura di accessori e mobili è limitata, abbiamo già rotto due dei sei bicchieri disponibili, lo zucchero nel bicchiere ha cominciato a prendere umidità e non disponiamo dello scalpellino per estrarne dei frammenti per la colazione.

Che l'ikea sia un posto dove puoi toccare con mano la qualità del prodotto è risaputo, e qui ovviamente non fa eccezione. Quello che invece non è del tutto ovvio è il concetto di 'toccare con mano'. Già nell'atrio, ampia hall con panchine e aria condizionata, sostano famiglie, ragazzi muniti di cellulari touch screen grandi come l'astuccio tre scomparti delle winx, vecchietti che si prendono il fresco, senza entrare realmente nel negozio. Generosità svedese.

Al primo piano (è incredibile come tutte le ikee siano strutturate nello stesso modo!) inizia l'esposizione dei soggiorni, e sul primo divano c'è un tizio che, zainetto abbracciato, pisola con la testa appoggiata bracciolo. Se questa spossatezza lo prende dopo una rampa di scale mobili chissà cosa farà all'altezza delle scarpiere. La gente tocca, si siede, guarda sopra e sotto, cerca di smontare gli oggetti in esposizione. Al reparto letti, intere famiglie dormono sotto le lenzuola, sprimacciano i cuscini e saltano sul materasso. Non voglio pensare cosa faranno al reparto WC, e mi aspetto comunque di vedere qualcuno che si cuoce la cena nella zona cucina.

La visita è intervallata da continue soste (tre bambine tre fanno un certo effetto, e quando incroci un BambinoCinese è d'obbligo fermarsi, salutare, dire l'età di tutte e tre, sorridere, ascoltare le incomprensibili parole che si suppone siano complimenti per le bambine e poi continuare a salutare finchè il BambinoCinese non scompare all'orizzonte per mano alla mamma, inghiottito dalla folla, cosa che può capitare al Bund, ma in una stanza di cento metri quadri imbottita di mobili diciamo che è meno frequente).

Ormai il mio sorriso è una paresi, in realtà sono stanca e ho anche un po' fame. Il menù offre gamberoni, riso con carne o verdure, manicaretti cinesi di vario genere, ma siccome a prendere il cibo ci va il Bighi, ceniamo con le polpette svedesi e l'insalata mista. La Gabbianella fa una crisi isterica, comincia a sbattere le posate sul piatto, lancia polpette e urla impazzita, ma la cosa sembra divertire i vicini, che continuano a guardarci con aria estatica, mentre la mia paresi comincia a perdere i contorni. La Gabbianella si tranquillizza con un bicchiere di crema al cioccolato con la panna, dopo di che cambia umore (lunatica, la cucciola. Da chi avrà preso?).

La visita ha fruttato, nell'ordine: 35 appendiabiti per riordinare i vestiti ammucchiati sul fondo dell'armadio, 2 sgabellini da cui le bimbe possono cadere senza gravi conseguenze, 1 set da bagno portasaponetta-portaspazzolini-portasaponeliquido-portaqualcosaltro di cui il Bighi non ha voluto mollare neanche un pezzo (motivo per cui il mio spazzolino giace ancora sul lavandino come corpo morto), 1 cestino portarifiuti da mettere sotto il lavello (troppo grande e che dovremo restituire), 2 presine, 3 topoline di pezza, 4 strofinacci, 1 miniservizio di piatti, 12 bicchieri, 1 lampada da comodino (il mio), 6 tazze per la colazione, 1 set di posate, 4 contenitori ermetici, 1 cesto portabiancheria e 2 ceste portagiochi per arginare l'entropia e il nervoso del Bighi: incredibilmente, (quasi) niente di inutile. Ma non c'è problema, tanto dovremo tornarci.

domenica 14 agosto 2011

Una passeggiata e sei rivelazioni

La passeggiata a piedi che porta fuori dal compound dura circa dieci minuti, per la strada più breve. Se si allunga un po' si scopre che ci sono a due passi da noi delle case munite di protiri di pietra con grosse pigne o draghi all'ingresso, portali decorati, cancelli con ghirigori d'oro e giardini all'inglese sul retro. Quelli che abitano qui devono essere veramente ricchi, infatti mica per niente le case si chiamano Dinasty Villas.

    Comunque di fatto non è che convenga molto allungare il percorso. Arrivati all'uscita si salutano le guardie e si tenta si attraversare la strada a quattro corsie (più quelle riservate a bici e motorini), e già si rischia parecchio, dato che le macchine non solo non si fermano ma generalmente accelerano (probabilmente prendono 10 punti se centrano una bici con vecchietto, 15 per donna con pacchi della spesa, 20 per mamma con un bambino, mamma con tre bambine non è contemplato vista la scarsa disponibilità di prodotto ma penso si possa tranquillamente triplicare).

    Evitate con gimcane e corse a ostacoli le insidie della strada, si approda su un marciapiede dove si affacciano, verso destra: una banca, sulla cui porta d'ingresso campeggia un enorme coniglio con colletto rosa e campanello al collo, molto children oriented; un parrucchiere; un'agenzia immobiliare; un panificio-pasticceria (discreto ma caro); un ristorante (deserto) con all'ingresso una gabbia con due inseparabili che gorgheggiano e si fanno le coccole e all'interno due cameriere che mantengono una dignitosa distanza; un distributore. Verso sinistra: un family mart aperto 24 ore che vende bibite, latte monoporzione, cioccolato Dove e barrette Marsh, pane confezionato e, vicino alla cassa, degli spiedini di verdura o carne immersi in un liquido caldo; un altro mart che vende bibite, latte monoporzione, liquido scuro in bottiglietta mignon, frutta secca e qualche surgelato; un altro mart che vende bibite, latte monoporzione, vino in lattina e shampoo; un altro mart (e siamo a quattro) che vende bibite, sale, zucchero, sapone liquido e spiedini di carne e verdura immersi in un liquido caldo. Poi c'è un negozio di fiori grande quanto il nostro tavolo della cucina, uno che vende oggetti e biancheria per la casa, un ragazzo seduto per terra che vende aquile di plastica che muovono le ali.

    Insomma piuttosto variegata, l'offerta, a parte la sezione sulla sinistra.

    Dall'altra parte della strada si può comprare della verdura, e chi lo volesse potrebbe anche servirsi al baracchino che vende cibo pronto, se non lo disturba che la donna che serve i piatti caldi lavi i panni sul pavimento e li stenda su un bastoncino sotto la tenda lì fuori.

   

Durante la passeggiata, comunque, si possono fare delle scoperte significative, per esempio:

1) i vicini, che non abbiamo mai incontrato, hanno la stessa nostra passione per le scarpe, a giudicare dalla quantità di esemplari esposti fuori dalla porta;

2) la prima acqua d'agosto non rinfresca un bel niente, e nemmeno la seconda, s'è per quello;

3) il mio fondotinta Lancome non regge i 40 gradi;

4) le cicale mutanti lunghe dieci centimetri che agonizzano sull'asfalto muoRono per il caldo, secondo la brillante intuizione di Gatto Selvaggio;

5) il cane che sonnecchia nell'atrio dell'appartamento 556 è finto. A tale illuminante conclusione siamo giunti dopo averlo visto per tre giorni di fila nella stessa posizione;

6) il cinese che sonnecchia sulla sedia a dondolo nell'atrio dell'appartamento 286 è vero. A tale illuminante conclusione siamo giunti dopo che, al nostro rumoroso passaggio, ha voltato la testa e ha salutato con la mano. (Si tenga presente, a giustificazione del corsivo che sembra una inutile sottolineatura, che sul balcone dell'appartamento di fronte campeggiano due gigantografie cartonate rispettivamente di un campione della Nazionale di Basket e del proprietario di casa che salutano i passanti).

Le scoperte sub 5) e 6) la dicono lunga sulla capacità di falsificazione dei cinesi.

sabato 13 agosto 2011

Cialeful

In una metropoli come Shanghai il concetto di Vicino o Lontano è piuttosto relativo: vicino, per esempio, è più facilmente riferibile al Gubei Store raggiungibile in un quarto d'ora di taxi su strada a tripla corsia per senso di marcia che al panettiere a dieci minuti di passeggiata.

    Comunque, possiamo contare sulla vicinanza dell'uno e dell'altro.

    Dentro al Gubei Store si trova il più grande supermercato della città (che culo), noto ai tassisti come Cialeful e alle persone normali come Carrefour, all'interno del quale si riesce a perdersi non solo per il numero di corsie labirintiche ma anche a guardare cosa non comprare.

    All'ingresso un ragazzo fa la guardia (perché all'ingresso? Mah...), nella corsia delle scope tre ragazzi ti fanno provare l'ebbrezza dell'ultimo modello di mocio, tre ragazze ai detersivi cercano di convincerti a comprare enormi sacchi blu (presumo che contengano detersivo), al reparto panetteria ci sono fettine di pane (mollo) e biscottini di assaggio. Ricompare la formula “toccare con mano” anche nella versione “assaggiare con la bocca”.

    Nella zona frutta e verdura ci sono montagne di ogni tipo, comprese di comuni mele, pere, uva, pesche, di palle giallo chiaro incrocio tra mela e pera (consistenza soda della mela e granulosità della pera. Per il gusto, non sa di niente, però è molto rinfrescante. L'è bona da frigo, come direbbe il verduraio di Sant'Ambrogio), frutta tropicale non meglio identificata (a parte quello che in Thailandia chiamano Durian e qui non saprei, che puzza da monnezza e impesta il frigo ma ha un buon sapore), cumuli di verdure, dai funghi ai cavolfiori (e per andare dagli uni dagli altri attraversi un numero imprecisato di altrettanto imprecisate verdure).

    Area pesce. Da quelli vivi a quelli surgelati passando per quelli secchi, grandi canestri ricolmi di pesciolini minuscoli, granchietti, pezzi di filetto. Hanno il nome solo in cinese, però, tranne quelli palesemente identificabili come pesci, il che non aiuta. Non che comprerei i pesciolini secchi, comunque.

    Area carne. Ok, qui c'è un po' più di normalità, si vede soprattutto carne di pollo in varie pezzature (comprese piccole confezioni di sole zampe), manzo e maiale, spiedini già pronti, polpette (?), interiora. Pensandoci, cose che si trovano anche da noi. Solo che qui i pezzi di carne li scelgono prendendoli in mano, rigirandoli, annusandoli. Manca solo che ci diano una leccatina.

    Zona piatti pronti, dai ravioloni al vapore alle palle di pasta, dai noodles con verdure alle pannocchie. C'è un tipo dietro al bancone che arrotola faticosamente una striscia di pasta che sarà lunga tre metri, arrotola arrotola e quando ha finito ne stacca dei pezzi che poi mette in fila. Non era più facile fare due o tre strisce più corte? Mah... Poco più in là ci sono dei polli appesi, già cotti, e anche delle anatre. Le riconosco dal becco. Alcune sono pure laccate. Tra gli spinaci e gli spezzatini c'è un baracchino con i dolci, tutti al vapore e con colori pastello, dal rosa al verde per dire.Il riso lo vendono in sacchi da 5 o 10 chili, somigliano a quelli che da noi son cibo per il cane, e anche la farina.Tra tutta questa sovrabbondanza di cibo e bevande cerco di trattenere il mio istinto, che mi farebbe comprare più del necessario, per i seguenti motivi:

    1) sono da sola e ho solo due braccia

    2) quello che ho preso riempie già cinque sacchetti, di cui due dell'ikea e tre per i surgelati

    3) non sono certa che entri tutto nel taxi

    4) mi viene il dubbio di non avere abbastanza contanti.

    Questo ultimo motivo è in effetti il più convincente, anche perché non ho ancora sperimentato la reazione del tassista se non lo paghi. Nonostante questo riesco comunque a spendere 747 reminbi, centesimi esclusi, cifra che - se nella gestione settimanale di una famiglia di cinque persone in Italia è nella media, e anche un po' risparmiosa - qui rappresenta più o meno un terzo di uno stipendio comune: e infatti lascia sbalordito il signore dopo di me alla cassa, che conta con me le otto banconote da cento che porgo alla cassiera.


    Ci sono altre cose che imbarazzano, oltre all'essere guardati insistentemente.

venerdì 12 agosto 2011

Pengpeng

Lo zoo di Shanghai è così grande che se non vuoi rischiare di arrivare agonizzante nella zona dove ci sono gli animali più interessanti, ti trasportano su quattro ruote. Per la modica cifra di 15 reminbi piccole comitive possono provare l'ebbrezza (e la brezza) di salire su un pullmino elettrico guidato dal tassista pazzo, che strombazza per farsi strada tra i visitatori e ti porta in cinquanta secondi netti nella zona più lontana del parco. Da lì si può cominciare a sudare e a visitare i fossati dove si trovano le bestie feroci.

    Il Leone in verità non sembra avere nulla di feroce, sbadiglia e muove la coda disteso per terra, circondato dal suo harem di leonesse, pure stravaccate all'ombra. La Tigre passeggia inquieta nella boscaglia, sicuramente invidiosa del successo della BighiFamiglia, due Orsi fanno la doccia e giocano come bambini, la Iena sonnecchia, l'Ippopotamo è immerso nell'acqua e sembra un sasso, non fosse che dondola ritmicamente e ha le orecchie rosa. Degli Elefanti nessuna traccia, se si escludono i due magnifici esemplari di pietra alti venti metri che fanno da portale d'ingresso, le Giraffe si mettono in posa per la foto di gruppo, tranne una che sfila solitaria, le Antilopi mangiano, i Cerbiatti dormono, le Alci si nascondono ma sono tradite dai palchi che spuntano fra i tronchi e l'erba alta, il Lama mastica passeggiando e io sudo come un cammello anche da ferma.

    Lui invece è uno spasso. Dorme a pancia in su con la bocca aperta (gli manca solo la bolla al naso), poi nel dormiveglia si stiracchia e comincia a grattarsi, e gratta, gratta, gratta che è una goduria, tutte e quattro le ascelle, la schiena, dietro le orecchie, sotto il mento. Quando ha finito di grattarsi, si alza, fa due passi poi ricomincia a grattarsi. Si chiama Pengpeng, ha dodici anni, due occhi neri ed è il panda più giovane dello zoo, anche se per dimensioni si avvicina a quelle del NonnoGP. Quando mangia si distende sulla schiena tenendo il bambù tra le zampe, ha uno scivolo come quello del parco giochi del Cesiolo, tranne che è più largo, e fa una pipì lunga quattro minuti.

    Ci sono altri tre panda, uno dorme a pancia in giù con le zampe aperte, e la posizione dev'essere realmente comoda perché la usa anche la Gabbianella. Gli altri due mangiano senza sosta, e anche questo atteggiamento lo conosciamo bene dato che abbiamo tre figlie.

    Resteremmo a guardarli per ore, non fosse che dopo un po' in effetti diventa monotono e che alle cinque lo zoo chiude. Ci avviamo all'uscita, dato che la strada è lunga e Gatto Selvaggio non manifesta entusiasmo alcuno all'idea di dormire con le tartarughe, nè di avere Pengpeng come cuscino.

    All'uscita compriamo due giraffe per le bimbe grandi e un panda per la Gabbianella, alti circa un metro e venti, di plastica gonfiabile con fischietto incorporato, che le bambine sventolano contente e che si bucano un'ora e venticinque minuti dopo.

    Ci torneremo, sia perchè non abbiamo visto gli elefanti di terra né quelli di mare, e ci sono sfuggiti i coccodrilli e anche i gorilla, sia perché urge l'acquisto di altre giraffe gonfiabili. Dovremo solo fare attenzione all'orario di uscita, dal momento che visto il successo riscosso ci terrebbero dentro volentieri. E comunque il posto non sarebbe niente male, specie se nella fornitura fosse compresa anche pozza d'acqua come l'Ippopotamo o la doccia come l'Orso. Scommetto che ce le darebbero entrambe, contrattando un po'.

giovedì 11 agosto 2011

Bestie rare

Non paghi di osservare le enormi cicale che stazionano su ogni albero in copiose colonie e che dopo estenuante frinire si suicidano con un harakiri schiantandosi sulla nostra terrazza, siamo andati allo zoo. Le guide concordano nel ritenerlo uno dei migliori della Cina, anche se dissentono sul numero di animali ospitati (da 600 a 2000. Non che sia una differenza trascurabile. Forse nei 2000 sono incluse anche le cicale). Di certo è enorme, con prati verdissimi (probabilmente retaggio del vecchio uso, dal momento che prima di diventare zoo era un campo da golf), laghetti, boschi e pure una ruota panoramica con simpatiche cabine di vari colori su cui non salirei neanche cadavere.

Lungo tutto il percorso del parco si vedono siepi tagliate in varie fogge, fiori e piante e insetti (questo cicaleggio fa da sottofondo musicale in ogni momento) e uccelli d'ogni tipo (compresi cigni neri, pappagalli e anatre non ancora laccate), e pesci tropicali, con grossi bitorzoli sul muso e occhi a palla che sporgono dalla testa, che occhieggiano (è proprio il caso di dirlo) da calde vasche cilindriche, con l'aria di essere delle mutazioni genetiche. Una ragazza vestita di rosa tiene alcuni esemplari di pesce rosso in una borsetta di plastica rigida, sembra un acquario portatile. Questi però sono belli, con grandi pinne e code fluttuanti. Magari li ha portati a prendere una boccata d'aria o a far visita ai loro cugini mutanti.

Nei pressi di un laghetto e di grandi alberi fronzuti ci sono delle panchine. Belle, va' che belle queste panchine. Andiamo a sederci, e devo dire che non sono poi così sorpresa nello scoprire che sono in vera plastica, anche se a guardarle sembra proprio legno. D'altra parte anche le staccionate sembrano quelle dell'Alto Adige, mentre sono in puro cemento finto legno con le venature, le scanalature e pure i buchi dei tarli.

Nonostante l'esuberanza di animali rari ed esotici (anche fossero "solo" 600 ce n'è di che passarsi via), l'allegra e accaldata BighiFamiglia riscuote un certo interesse, e la gente ci guarda curiosa con insistenza, senza curarsi di metterci in imbarazzo. Mentre cerco di immortalare tra la fitta boscaglia un bell'esemplare di Tigre del Bengala che si sottrae volutamente al mio obiettivo (chissà se è quella che ha ucciso l'inserviente l'anno scorso...), un uomo dall'apparente età di 50 anni spalanca gli occhi e comincia a fare gesti inconsulti, strattonando il figlio e spingendolo dietro la BB e Gatto Selvaggio. Lì per lì non capisco, ma poi è chiaro: vuole lui immortalare suo figlio, insieme con le mie, di figlie. Ok, una foto, due foto, poi si danno il cambio, tocca a una ragazzina, e via a turno tutta la famiglia, meglio di un reportage di Vogue Bambini.

La mia famiglia e altri animali: mai titolo fu più azzeccato.

Mi viene in mente quel tipo di Zelig vestito con la giacca di paillettes e i pantaloni pezzati tipo mucca al pascolo, e mi viene da cantare: E siamo noi, e siamo noi, le bestie rare siamo noi...

mercoledì 10 agosto 2011

Toglietemi tutto ma non le mie scarpe

La BB e Gatto Selvaggio giocano a fare le adolescenti telefonando a fantomatici fidanzati dai nomi improbabili: Scai e Taiso.

Come le vere fidanzate, sgridano i rispettivi e urlano al telefono rinfacciando chissà quali trascuratezze, camminando avanti e indietro, agitando il braccio libero (con l'altro tengono all'orecchio il PacchettoDiFazzoletti-Telefono) e facendo le facce imbronciate.

La gabbianella invece si rimira le ciabattine nuove, delle simil crocks bianche con dei grossi fiori. Una volta indossate, anche se tutti in casa siamo scalzi (un po' per il caldo un po' perché usa così), anche se è ora di andare a letto, anche se le danno un po' fastidio e ci inciampa, non c'è verso di fargliele togliere: se ti azzardi a provarci, comincia a gridare e saltellare arrabbiatissima, te le strappa di mano e brontolando con voce lamentosa e piangente si siede e tenta di rimettersele da sola.

Quando il Bighi torna a casa, tutta nuda eccetto i piedi, gli va incontro e alza la gamba, e se ne sta così con aria interrogativa finchè il papà non le conferma che sono scarpe verameeeeente belle.

La Gabbianella ha un futuro come shoe fashion victim. D'altra parte, buon sangue non mente. Mi chiedo quanto tempo trascorrerà prima che dalle ciabattine da 29 reminbi passi a quelle tempestate di diamanti da 2900. Beh, pensiamo positivo, magari porterà anche lei il 39.

lunedì 8 agosto 2011

Vita rigogliosa e morte breve dei peli superflui, ovvero Elogio del Wilkinson 4 lame for woman

Chi non ha esperienza di viaggi in paesi dal clima tropicale non può capire.

La pioggia torrenziale, il sole e l'umidità si alternano ad andamento sincopato, sicché le piante, i fiori, le foreste, anche i bambini a volte, crescono senza che nessuno se ne occupi, e se non esegui accurate potature rischi che il giardino venga invaso dalla verzura (e il soggiorno dai pargoli).

La mia estetista He Miou, paciosa ragazza cinese trasferita in Italia da qualche anno, me l'aveva pur detto che non ci sono le cerette in Cina. Pare che le cinesi, anzi i cinesi in generale, non abbiano peli sul corpo, e per quanto sia meglio non approfondire risulta comunque che non hanno questo problema (anche se per la verità a guardare i mustacchi di certe ragazze non si direbbe).

Però invece su di me il clima ha effetti rigogliosissimi. Su consiglio della Sorella A, che di peli se ne intende, ho portato alcune striscie di cera, che ho sistemato nel frigo per evitare che si squagliassero. Le ho dovute eliminare quando mi sono accorta che la ayi le guardava con aria interrogativa all'ora della merenda.

Per fortuna il Signor Wilkinson, che Dio lo benedica, ha messo a punto il sistema più rapido e indolore per ovviare al problema.

Ok, il rasoio non l'avevo mai provato, e allora? C'è sempre una prima volta. E anche un effetto collaterale, comunque. Adesso capisco perchè gli uomini si grattano scimmiescamente la faccia la domenica mattina. Si accettano suggerimenti.

domenica 7 agosto 2011

entropia

La Gabbianella ha un innato senso dell'ordine, che si manifesta a ogni ora del giorno, quando più quando meno, a seconda dell'umore. Ha deciso, per esempio, che non va bene il posto che ho assegnato alle bibite, e con cipiglio estrae dal cassetto le bottiglie di tè e le mette nell'anta delle pentole. Le lattine no, vanno bene dove stanno. Anche la scopetta con pattumiera minuscola che sta sotto il lavandino in cucina trova il luogo ideale sotto la tavola da pranzo. Certo, così è molto più pratico. I libri sulla libreria stanno meglio sul pavimento, e anche i vestiti disturbano sulla sedia: buttiamoli per terra così qualche anima pia li rimette nell'armadio.

I pannolini? Meglio averne qualcuno in ogni stanza, a portata di mano. Le mutande delle sorelle? Uffa, sono ancora tutte nel cassetto. Vediamo se trovo quelle con i fiorellini rossi. Ah sì, sono le ultime in fondo, eccole qua. Mamma, maammmma... Guarda qui mi sono sporcata il dito col pennarello. Anche il piede, guarda qua, pulisci dai che non posso restare così sporca. Un poco anche qui sulla gamba, ecco grazie. No no, i pennarelli li metto qui nel cassetto delle posate, ci arrivo bene, anche senza tappo che quello mi sta bene al dito, guarda che bella che sono con questo tappo, ho messo anche l'elastico al polso, va' che bello. Mi dai da bere? ecco sì, poi il bibe lo metto qui sul divano, va bene? Mamma, tieni le tue scarpe, le devi tenere vicine, qui sui piedi, sono fatte da mettere ai piedi sai, che belle le tue scarpe, tieni anche i sandali, anche quelle col tacco, vuoi anche quelle del papà? no? allora quelle le rimetto a posto, anzi no le lascio qui così quando torna le trova subito. Vediamo se mi stanno quelle della BB, quasi quasi sì, ci manca poco, però quante scarpe, come mai tutte nell'armadio?

Vado dalle sorelle, vediamo se trovo qualche gioco che non posso toccare, quelle formine di carta delle principesse, per esempio, quando le prendo si arrabbiano molto. Si rompono benissimo, basta toccarle un po' col dito così. Oppure prendo questo foglio qui, dove ci sono dei bei disegni, lo strappo un po' qua, poi lo accartoccio, senti che bel rumore. Accidenti che fatica, ce l'ho fatta, sono arrivata sulla tavola, adesso butto giù un po' di matite, senti che bel rumore, guarda mmammmmma sono in piedi sul bordo, va' che alta. Qui c'è il boccione dell'acqua, guarda c'è anche questo coso che si toglie, basta fare così... mammmma, maaaammmmma, qui è tutto bagnato guarda, anche il mio piedino si è bagnato, asciuga un po' anche qui, qui e qui, ecco, a posto. Mi dai un biscotto? così lo posso sbriciolare un po' in giro, qua sul divano per esempio e un po' per terra, ma poco, ecco guarda mi mangio questa briciolina caduta.

Tenere sotto controllo l'entropia a volte può essere impresa molto ardua, e che mette a dura prova la proverbiale pazienza delle vergini. Ma, udite udite, va detto che il bighi (forse perchè abituato da qualche mese ad abitare da solo una casa in perfetto ordine) regge molto meno di me.

mercoledì 3 agosto 2011

Ma che caldo fa

Ok, me l'avevano detto. Dovevo essere preparata. Però qui il caldo è proprio caldo, l'aria ti si appiccica alla pelle, ti toglie il fiato, cominci a sudare, e allora bevi, così sudi ancora di più. Altro che afa della bassa padana. Poi rischi una sincope se per caso ti viene l'idea malsana di entrare in un negozio per cercare un po' di refrigerio, e non hai niente da metterti addosso, perchè l'aria condizionata ti toglie il fiato pure quella.

E siamo solo al primo giorno.

martedì 2 agosto 2011

La business sì ch'è un bell'andare

A Francoforte per l'imbarco c'è una fila che fa tre giri come un bisso. Overbooking, a quanto pare. Imbarcano prima le famiglie, quindi siamo tra i primi, e voilà, abbiamo un upgrade. Uno solo però, su quattro e mezzo è un po' poco. Mi sacrifico, e vado io abbandonando due cucciole e un marito alla bolgia dell'economy e portandomi la terza cucciola in braccio, al collo, come certe africane piene di figliolanza. E siccome mi prendo io la responsbilità, piazzo la cucciola nella culletta max otto kg anche se ne pesa tredici, così, mentre i tre dell'economy sonnecchiano raggomitolati sul sedile e la cucciola dorme nella culletta coi piedi che sbucano fuori, io mi sorbisco un bicchiere di succo d'arancia, e, dopo aver letto qualche pagina del libro Vagabonding regalatomi dal mio Vicino Preferito, all'altezza di Mosca assaporo un antipasto di pesce con crostini caldi, poi assaggio un filetto di branzino con crema di asparagi e sorvolando Novosibirsk rifiuto gentilmente un vassoio di torta al formaggio e frutta fresca, dal momento che mi sono già sdraiata sulla poltrona schiacciando accidentalmente un pulsante "massaggio".

A Ulan bator la cucciola dà segni di vita, mi alzo, le do un po' d'acqua e la rimetto nella culletta. Da lì a Shanghai è tutta in discesa. Direi che come primo approccio alla nuova vita non c'è male.