domenica 21 agosto 2011

Il cinese è una lingua difficile, figuriamoci lo shanghainese

Premessa. Dalle prime pagine della Guida Traveler del National Geographic: “Gli abitanti di Shanghai parlano una variante del wu, il secondo gruppo linguistico cinese, incomprensibile sia ai madrelingua mandarino del nord che ai gruppi di idiomi quali l'hakka, il cantonese e altri gruppi del sud. (…) La lingua wu è considerata più dolce, morbida e musicale del mandarino. Il maggiore sottogruppo linguistico del wu, parlato da circa 16 milioni di persone, è lo shanghainese. Pochi stranieri eccetto gli espatriati di lunga data imparano a parlare lo shanghainese”. Fine della premessa.

   

    La nostra ayi è una signora molto carina, sorride sempre, è silenziosa e ti segue raccogliendo le briciole (non serve dire che parla shanghainese). Che sia silenziosa sarà forse dovuto anche alla lingua, non lo nego, però a volte è molto rilassante.

    La comunicazione tra di noi per ora è ristretta al minimo indispensabile: ciao, cucino io, non capisco, torno alle 12, non capisco, vai a casa, va bene, non capisco, guarda qui questo coso si è rotto potresti chiamare la manutenzione? (questa ultima frase a gesti, per vero). Comunque finalmente un po' di quel cinese che ho imparato lei lo comprende, e ci intendiamo. Quando questo non avviene, lei con molta naturalezza mi fa segno di scrivere. Oddio, non è che proprio mi stupisca la sua nonchalance nel sollecitarmi in questo senso, però forse lei non si rende conto che scrivere i caratteri cinesi è piuttosto complicato, e se sbagli un segno o inverti la disposizione delle parole non si capisce più niente. Lei invece lo ritiene la forma più comprensibile, e infatti quando vuole essere sicura che io capisca un messaggio mi lascia un biglietto.

    Ora, non vorrei sembrare troppo gnucca, ma anche leggere il cinese è piuttosto complicato. Per comprendere un testo di media lunghezza è necessario memorizzare circa un migliaio di caratteri, ma mica solo il segno grafico, anche il suono. La cosa più difficile è che se non sai (leggendolo) o non riconosci (ascoltandolo) come si pronuncia un carattere non riuscirai mai a trovarlo sul dizionario, dove i lemmi sono in ordine di suono, appunto. Questo è del resto il motivo per cui ancora non sono sicura di come si chiami la ayi, nonostante lo abbia scritto su un quaderno.

    Ieri la ayi mi ha lasciato un biglietto (scritto dietro al numero che si prende per fare la fila, giusto per dare un'idea della grandezza). Non è la prima volta: quando siamo arrivati ne abbiamo trovato uno sul tavolo della cucina. I biglietti hanno il potere di mettere in forte ansia il Bighi, che si immagina regolarmente che la signora comunichi che si è rotta le balle e non viene più, magari in termini meno prosaici. Io sono un po' più ottimista, e per quanto riesca a capire meno di un quarto dei caratteri del biglietto, riesco a identificare Ciao, Io, Domenica, Mattina, Lunedì, Pomeriggio, per cui immagino comunicazioni meno drammatiche. Fortuna vuole che ben due dei colleghi del Bighi convivano con le fidanzate cinesi, quindi l'interpretazione non è lasciata solo alla mia fantasia ma anche a strumenti tecnologici d'avanguardia tipo mms e email via blackbarry.

    Dopo breve ma intenso consulto scopriamo che la ayi, per ora chiamata convenzionalmente Wang Che Hua, verrà domenica mattina perché lunedì mattina ha un impegno, e quindi ci sarà solo nel pomeriggio. Confortante. Almeno sappiamo che quando non può venire lo comunica, il che non è sempre scontato. E sappiamo anche che più o meno ci avevo visto giusto.

    Quello che è meno confortante è che nonostante ora io ne conosca il contenuto, per quanto ci provi non riesco proprio a tradurre quel benedetto biglietto.

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