sabato 27 agosto 2011

Facciamoci coraggio

Mi faccio coraggio, ha detto con un sospiro stamattina Gatto Selvaggio, infilandosi lo zainetto sulle spalle, pronta per entrare in classe. Ignoro dove abbia imparato questa espressione, che non rientra nel lessico familiare, ma approvo, approfitto e vado a zonzo.

    Girare per il quartiere in bicicletta può essere istruttivo. Intanto è meglio stare sul marciapiede, che se vai lungo la strada i pullman ti fanno dei peli meglio del Wilkinson 4 lame; poi è meglio avere la mascherina, perché comunque le distanze sono grandi, e se sulla piantina ti sembra molto vicina non stai calcolando consciamente che la mappa è 1:60.000 (io poi ho sempre avuto qualche problema di conversione ma stavolta ho controllato: significa 1 centimetro uguale 600 metri). Comunque, abbastanza vicino al nostro compound si può scoprire che esiste un panificio francese dove oltre ai croissant e al pane fresco con i semi di zucca ci sono anche i savoiardi della Vicenzi. Giusto se per caso ti vien voglia di un tiramisù.


    Il Wet Market di Beihong Lu l'avrei visto anche dal taxi, ma probabilmente non mi sarei fermata. Così invece, passandoci davanti, ho parcheggiato la bici e sono entrata nel padiglione del cibo saltando a piè pari quello dei vestiti e degli accessori.

    All'ingresso ci sono grandi banchi con la frutta, dagli alchechengi freschi ai durian, dai fichi alle pesche, dai mandarini alle mele, e altre varietà probabilmente tropicali che non conosco dalle forme più strane. Evitando di guardare troppo dove metti i piedi (si sa mai che ci passi qualche rappresentante della fauna locale) ti puoi addentrare nel mercato tipico cinese.

    C'è un banchetto che vende il tè in grandi latte di alluminio, e mostra in barattoli di vetro tutti gli annessi, cioè boccioli di rosa, mele a pezzetti, arance a rondelle, star fruit a fettine, palline di tè che quando le metti nell'acqua diventano grandi fiori. Ce n'è uno che vende riso e cereali, uno che vende funghi secchi, tre banchi di carne che se ne sta lì appesa e in verità ha un bellissimo aspetto, nonostante non sia tenuta nel frigo. Il banco in fondo vende spaghetti e rondelle di pasta fresca fatte con la farina di riso, quando imparo a fare un ripieno le compro e mi ci faccio i ravioli.

    Proprio di fianco al banco che vende montagne di uova (una signora le pulisce tutte prima di posarle delicatamente una sull'altra) c'è la zona animali vivi, con le galline (da cui le uova appunto. O viceversa, se volessimo essere pignoli, ma transeat), le papere (che ti domandi come fanno a stare lì ferme e buone che sembrano sedute e poi vedi che hanno zampe e becco legati), le quaglie nelle gabbiette e una puzza tremenda. Poi capisci il perché della puzza, quando vedi che poco più avanti c'è la stanza dove le macellano, 'ste bestie. Ho adocchiato solo un grande catino nero e una specie di enorme secchiaio sanguinolento, un tizio che spennava quella che doveva essere una papera e sono andata velocemente oltre. In mezzo a vari banchi di verdura (bella, molto meglio di quella del Cialeful) e oltre al banco che al mercato dello stadio avrebbe l'insegna La Casa del Tofu, ci sono in bella mostra le zampe le cosce e le teste delle galline delle quaglie e delle anatre che con ogni probabilità alloggiavano fino a poco fa due banchi più indietro.

    Salto le pescherie, solo perché si trovano a ridosso della macelleria (nel senso di stanza della macellazione), anche se avvisto da lontano qualche pescetto che per fortuna ha tutta l'aria di essere già morto.

    Nell'uscire, compro banalmente tre pesche, cinque fichi e dell'uva, ma non sono soddisfatta. Avrei voluto comprare un po' della splendida verdura che non ho idea di cosa sia, che non so come vada cucinata e che forse non è neanche verdura. La prossima volta mi faccio coraggio, e compro qualcosa di assolutamente sconosciuto.

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