giovedì 17 settembre 2015

Elogio dell'abitudine, ovvero Della contraddittorietà di certe riflessioni mattutine

Cara Oriana, mi sei venuta in mente stamattina mentre mi lavavo i capelli sotto la doccia. Sì lo so che sei morta, pochi giorni fa in effetti, sì lo so nove anni fa ma hai capito cosa intendo, e non è che ci sia stato tanto rumore sull'anniversario, almeno da qui, in giro per il mondo ci sono un sacco di casini, avrai sentito, la Siria, le migrazioni, Shengen, la Pennetta, la non-teoria gender (e ci manca la tua voce, su questi argomenti), miss Italia, insomma sai, un trafiletto magari te l'hanno anche dedicato ma poca roba.
E dire che sei ancora l'icona del giornalismo italiano nel mondo, e non solo, voglio dire, qualsiasi donna vorrebbe assomigliarti almeno un po', perfino Elisa di Rivombrosa, pensa te.

E mentre ero sotto la doccia, a insaponarmi i capelli con questo shampoo cinese, mi è venuta in mente una cosa che avevi detto a proposito dell'abitudine, e sono andata a cercarmela. Dopo, intendo, finita la doccia.
(Ho avuto un pensiero sulla vita grama dei tempi senza Google, ma transeat).

«L'abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subir ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L'abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s'è adeguata, ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci».

Ammazza se scrivi bene, Oriana. Uno resta incantato, a leggere le tue parole.
E sono d'accordo. L'abitudine è una bestia subdola, è un maledetto parassita. 

Solo che a pensarci bene, questa cosa dell'abitudine alle volte, secondo me, ci salva.
Mi spiego. Non tutti hanno la forza di reagire all'abitudine, qualcuno addirittura ci si trova bene, come certi animali cresciuti in cattività che poi non riescono a tornare liberi, lasciati soli si sentono persi, senza riferimenti, senza casa.
Ci vuole tanto coraggio per liberarsi dell'abitudine, o per non cascarci dentro, e lo so che tu ne hai parecchio ma porta pazienza, qua si parla di persone normali che fanno una vita normale, mica reporter di guerra, che poi voglio dire uno adesso può diventare famoso per una foto di un bambino su una spiaggia, quando la reporter la facevi tu era un po' diverso, e comunque la maggior parte di noi non ha mai visto la guerra, la giornata è fatta di figli marito scuola merenda compiti lavoro cena lavatrici, ma ci vuole coraggio anche per tenere insieme una casa, una famiglia, alle volte.
E quel coraggio che scorre sotto le tue parole, che tu rimproveri agli altri di non avere, e che forse talvolta è mancato anche a te, in certi casi, potrebbe anche essere definito egoismo, alle volte.
Voglio dire, certe volte, non sempre ma certe volte, è più facile rinunciare all'abitudine come se fosse un cappello che ci nasconde la faccia, un fardello che ci schiaccia, via il cappello, senti che bell'aria fresca, via questo peso, va' come mi sento leggera, ma quella che tu chiami abitudine a volte è solo noia, che uccide, certo, ma non tanto quanto l'abitudine, forse.

Certo, quando parli di abitudine tu intendi l'abitudine dei popoli alla sottomissione, all'oppressione, alla censura, è così? l'abitudine all'inferiorità, alla mediocrità, alla mancanza di cultura. La tua vita fa pensare che tu intenda questo, quando parli di abitudine alle catene, alle ingiustizie, alle sofferenze.
E vabbè, hai ragione, da qui, da questo Paese dove l'oppressione la senti nell'aria, la censura la sperimenti tutti i giorni, la sofferenza la vedi e le ingiustizie le percepisci in maniera netta dalle notizie che scivolano via dalla censura ma anche nel vedere la Ferrari gialla che si fa strada e strombazza al carretto che trascina montagne di cartoni su cui sta seduta una donna triste, da qui, dico, quello che scrivi sembra tanto più vero, più universale, e anche meno astratto, la verità.

Ma nelle tue parole si può leggere anche di un'abitudine più quotidiana, più terra terra, via.
Quella che fa dire cose tipo Ormai ci ho fatto l'abitudine, come a dire che non ti importa più molto, di quella cosa lì, tipo andare a pranzo dai suoceri tutte le domeniche, o restare da sola la sera mentre lui va a giocare a calcetto, o mangiare la sbobba della mensa aziendale. 
E in realtà non è vero che non ti importa più, solo hai imparato a conviverci, a non arrabbiarti tutte le volte, a non farti venire i nervi. Magari approfitti del pranzo dai suoceri per lasciare i bambini e fare un giro in centro; e mentre lui ha la partita tu guardi un film che lui odierebbe che nel titolo contiene Autunno o Amore o un quartiere qualsiasi di New York oppure tutte e tre le parole insieme; e in mensa ti porti la doggy bag con l'avanzo dei maccheroni di ieri sera. 
È un sistema di sopravvivenza, l'abitudine.

Voglio dire, anche nelle situazioni di cambiamento, in cui ti metti in gioco, in qualche modo, in cui cerchi di vedere le cose da altri punti di vista, spostandoti un po' più a destra, o più a sinistra, o magari più in alto o più in basso, a volte, quello che ti senti dire per la maggior parte delle volte è Ci devi fare l'abitudine, e pare una cosa positiva, detta così.

E infatti, mentre consoli la Gabbianella che ha un momento di sconforto perché ancora non ha fatto amicizie dato che non parla inglese, e non vuole andare a scuola e sembra così disperata, mentre la tieni stretta e cerchi di rassicurarla, pensi che deve ancora abituarsi al nuovo ambiente, e che appena avrà preso confidenza con tutte le cose nuove, l'inglese il maestro che sembra Denzel Washington il cibo il cinese i nuovi compagni, appena si sarà abituata andrà tutto bene.

Oppure senti dire, o dici, Non mi ci abituerò mai, e la cosa non sembra avere un'accezione così positiva, in fondo, voglio dire non ha quasi mai il tono di sfida (Non mi ci abituerò mai!), piuttosto il più delle volte sembra rassegnazione (Non mi ci abituerò mai...), come se fosse una sostanziale incapacità di adattamento, e la capacità di adattarsi è quello che fa sopravvivere la specie. Magari non evolve granché, la specie, è vero, ma è quello che ci ha fatto uscire dalle caverne, camminare diritti, guardare il cielo. 
Lascia perdere facebook, quello è una deviazione.
E non è l'adattamento una specie di abitudine? Non ci hanno martellato con questa necessità di adeguarsi al cambiamento, il topo e il formaggio e quelle altre menate da manager? O lo spirito di adattamento si riferisce solo alla capacità di inventarsi un menù quando hai il frigo vuoto?

E quindi mi insaponavo i capelli, e maledicevo, sì, l'odiosa abitudine, questa capacità di adattamento che ci accomuna alle bestie, in fondo, perché anche loro si abituano, mannaggia a loro, anche allo shampoo, sti cazzi di pidocchi, diventano immuni, e lo shampoo lo devi cambiare, ogni tanto, altrimenti non funziona più, stasera rifaccio il trattamento a tutte e tre, ma non mi faccio prendere dal nervoso, ah no! È così tanto tempo che ci convivo, maledetti parassiti, e non riesco a liberarmene.
E sì, Oriana, mi ci sono abituata, e ormai non mi ci arrabbio più.

5 commenti:

  1. Ci ho riflettuto e penso abbia ragione tu, non sempre abituarsi è negativo. A me poi piacciono molto le abitudini, dipende anche dal carattere... Anche i popoli hanno caratteri, ci sono quelli più facili da sottomettere - forse perchè sono sottomessi da millenni?- e quelli meno.
    Ai pidocchi invece forse sarebbe meglio non abituarsi, hai provato gli oli essenziali? Puri due o tre gocce dopo il lavaggio (lavanda o timo ho usato io), non credo li uccidano ma creano ambiente sfavorevole, se li uccidi con lo shampoo poi non tornano.

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    1. Gli oli essenziali mi mancano... il resto l'ho provato, dagli shampoo (che li uccidono ma poi tornano) alle creme, agli spray, dall'aceto al balsamo, pure l'aceto balsamico (ha ha, scherzo)
      l'abitudine mi serve non per tenermi i pidocchi, ma per non uscire pazza ogni volta che qualcuno si dà una grattatina in testa ;)

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  2. Non c'è più il mio commento. Ripeto. Un piacere tornare a leggerti. (E in riferimento al commento perso e alle abitudini, preferisco questa grafica a cui sono abituata). ^^

    Viola Emi

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    1. Ehi Viola! Questo commento era finito tra lo spam (!), l'altro non so che fine abbia fatto.
      Felice di saperti ancora tra i "folliwer" = quei matti che mi seguono 😊

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