giovedì 1 settembre 2011

Pop up, mood down

La P.O.P., valente Parents Organisation della scuola della BB che ha sede a Puxi (che corrisponde alla seconda P nella sigla), ha invitato i genitori (leggi le mamme) dei nuovi arrivati a un Morning Tea, per cui ti aspetti di andare in una casa vittoriana con le tende damascate e i mobili antichi e di scambiare due chiacchiere seduta in punta di chiappe su una scomoda poltroncina davanti a un tavolino basso con la tovaglietta di pizzo e la teiera a fiori, sorridendo col solito sorriso-paresi e sfogliando riviste di giardinaggio mentre tieni in una mano il tuo piattino con la tazza di tè fumante e con l'altra ti ficchi in bocca un minuscolo muffin al cioccolato con le ciliegie, sperando che nessuno ti veda sputare il nocciolo.

    In effetti la riunione si è svolta in una sala al quarto piano della scuola, dotata di maxischermo per le slides e microfoni e attrezzata per l'occasione con panche non dissimili da quelle in uso durante la sagra del risotto di Isola della Scala, ed è finita dopo una mezz'ora abbondante di presentazione della scuola e un'altra mezz'ora per raccogliere informazioni dagli stand allestiti lì intorno, ivi compreso un numero gratuito che si chiama LifeLineShanghai e che offre qualsiasi tipo di aiuto. Ganzo.

    A parte Ron Howard seduto davanti a me ci sono solo ragazze (cioè signore, donne, mamme insomma), tutte straniere a parte quattro, cinque con me. Bello, se ci sono ben altre quattro mamme italiane nuove, chissà quante ce ne sono di non-nuove. S., quarantacinquenne di Torino, ha due figli, è qui da due settimane e ha già un posto per insegnare francese nella scuola italiana, nonché l'appuntamento per iscriversi all'università; K., chimica di trentanove anni, viene da HongKong, ha una figlia, vive nel migliore compound di Shanghai e ha l'autista personale; C. ha due figli, è qui da due anni e ha aperto una scuola di cucina nella sua cucina; T. ha due figli, un marito americano (Ron Howard, appunto) e lavora nel reparto finanza di un'azienda che produce software mentre il marito sta a casa con i figli.

    Ok, lo sapevo che facendo questa esperienza avrei incontrato persone interessanti e con le palle, ma adesso mi sento un po' , come dire? un po' sfigata, ecco.

    Sì, lo so che vivere nel migliore compound e avere un autista non costituisce un elemento distintivo di particolari capacità personali, e che sono l'unica con tre figlie di cui una minuscola, ma che volete farci? La sensazione non cambia.

    Vabbe', torno a casa.

    Poco prima dell'ingresso della metropolitana c'è un capannello di gente (niente a che vedere con quelli che facciamo noi BighiFamiglia al Bund, comunque), un motorino per terra e tre persone al telefono che immagino stiano chiamando aiuto, perché c'è anche un uomo disteso che si tiene una gamba e che sembra molto sofferente, specialmente quando aspira il fumo della sigaretta.

    Più avanti un pullmino giallo, sembra quello di una scuola, si è incastrato nella curva schiacciando una macchina rossa parcheggiata male, la gente intorno cerca di aiutare l'autista a disincastrarsi e quando finalmente con una retromarcia ben assestata (grossi problemi di manovra, qui) l'autobus fracassa il paraurti anteriore della macchina e riesce a rimettersi in carreggiata, la gente esulta inneggiando all'impresa del mitico autista. Non credo che tra i suoi fan ci fosse anche il proprietario della macchina, ma non si sa mai, la gente qui è strana, si fa prendere dall'esaltazione di massa.

Nonostante questi diversivi non riesco a togliermi di dosso un vago senso di inadeguatezza. Mi consolo quando la Gabbianella, in uno dei suoi rari slanci di affetto, mi butta le braccia al collo e mi tiene stretta stretta. Chissà se basterà. Magari potrei provare con il LifeLineShanghai.

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