venerdì 16 settembre 2011

Pronto soccorso

Gli ospedali di Shanghai, POP docet, sono dislocati un po' ovunque ma solo alcuni hanno personale che parla inglese. In una città di quasi venti milioni di abitanti, quattro strutture hanno il pronto soccorso e sono aperte 24 ore, le altre fanno orario d'ufficio. Poiché normalmente chi va in ospedale lo fa per ragioni di urgenza, e in genere gli occidentali non sanno parlare il cinese, sarebbe utile che i due attributi (inglese e pronto soccorso) si verificassero contemporaneamente.

    Lo United Family Hospital and Clinic, in Xian Xia Lu, oltre a rispondere ai fondamentali requisiti è anche vicino a casa nostra. È una struttura nuova, declinata nelle sfumature del bianco e del blu sia esternamente che internamente, con aria condizionata altissima fatta apposta per farti venire un blocco alla schiena che lì ti possono curare subito, ma solo se hai la carta di credito. L'ingresso delle emergenze è sulla sinistra, oltre una porta a vetri automatica. Ampio, silenzioso, un divano con delle riviste e il boccione dell'acqua, un gran numero di addetti alla reception tutti vestiti di blu e una signorina con un tailleur attillato che sorride e chiede cosa desideri. Mica con urgenza, comunque. Magari dipenderà dal fatto che io e l'Amica Francese non sembriamo particolarmente doloranti, per quanto l'Amica Francese sia lì per togliere il gesso al braccio e i dieci punti all'occhio che le hanno messo una settimana fa, quand'è scivolata dal marciapiede, ha sbattuto la testa contro un pilastro di cemento ed è riuscita da sola a combinarsi come se l'avesse investita un tram.

    Ok, non sono la persona più indicata per l'assistenza medica, ma qui è un caso a parte, l'accompagno solo come sostegno psicologico e, non ridete, linguistico, perché ci sono venticinque persone nel mondo che sanno l'inglese peggio di me, e incredibile dictu una di queste mi sta davanti piuttosto acciaccata.

    La signorina col tailleur attillato invita l'Amica Francese a entrare in una saletta, e me ad accomodarmi sul divano, suggerendomi in alternativa di considerare l'ipotesi di andare a bermi qualcosa al bar, perché l'operazione richiederà un po' di tempo. Per maggiori informazioni dovrei chiedere a un medico ma lei pensa che ci vorrà un'ora circa. Un'ora per togliere i punti? Faranno una cosa fatta bene, suppongo. Comunque grazie, ho il mio libro, le dico, mi siedo qua che sto bene, anche se mi ci vorrebbe un cappotto, si può avere almeno una copertina? Uno scialletto? Una liseuse? La signorina finge di non sentire.

    Trenta minuti e quarantadue pagine dopo l'Amica Francese è fuori, libera dall'ingombro del gesso e dai punti ma con l'occhio ancora giallo e viola con sfumature blu che un truccatore professionista farebbe fatica a copiare. La invidio un po', il mio trucco non è così sofisticato e comunque non regge più di un'ora, almeno all'esterno. Qui dentro invece è cristallizzato. Alla cassa vogliono solo 30 rmb, il che è curioso considerato che il pronto soccorso ne è costato quattordicimila.

    Andiamo verso il Gubei Store, dove facciamo un giro tra i negozi di vestiti senza trovare niente di nostro gusto, identifichiamo un paio di servizi utili (fotografo e lavanderia) e troviamo un panificio tedesco che sforna torte a forma di topo, di automobile o di hello kitty, e brioches profumate al sesamo e cannella, ottime per risollevare il morale.

    Ne prendiamo una a testa, anche se in effetti, considerata la sensibilità del periodo, dovrei farne una nutrita scorta, giusto per disporre del mio personale, economico e istantaneo pronto soccorso emotivo.

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