La
mattina del 31 marzo scorso stavo facendo la mia consueta corsa sul
lungofiume. Era una bella mattina di primavera, l'aria limpida era
già calda e all'orizzonte si vedevano le montagne ancora innevate.
Ero
solo, come ogni maledetto sabato mattina.
Non
che gli altri giorni fosse diverso, ma gli altri giorni non andavo a
correre. Quando corri da solo senti di essere solo più di quando
prendi l'autobus, o fai la spesa, o lavori nel loculo che ti hanno
assegnato come ufficio, dove passi la giornata a inserire codici e
nomi. Data entry, lo chiamano, ma usare l'inglese non rende
l'operazione meno monotona e frustrante.
C'è
solo un momento in cui sento di essere solo più di quando corro:
quando ceno. La cena silenziosa in quella cucina triste ad ascoltare
il rumore delle posate, il piatto sulla tavola di formica, due sedie
impagliate. Due sedie, sì, ma a che mi servono due sedie, una è
sempre vuota.
Corro
tutti i sabati, alla mattina. Forse i gesti abitudinari mi danno
sicurezza.
Anche
quel sabato mattina correvo. Avevo percorso circa dodici chilometri a
un ritmo piuttosto blando, ero già sulla strada di casa ma per
arrivare mi mancavano ancora tre chilometri buoni. Sentivo le gambe
pesanti, e non avevo più fiato.
Per
un momento pensai che sarebbe stato meglio se mi fossi fermato un
attimo, giusto il tempo di riprendermi un po', normalizzare il
battito cardiaco, sciogliere i muscoli, ma non lo feci.
Continuai
a correre, fino a quando non raggiunsi un tratto costeggiato da
alberi alti. Lì, forse per colpa dell'improvviso cambio di luce, la
vista si annebbiò. La testa prese a girare, e cominciai a vedere
tutto bianco. Mi mancava l'aria.
Le
gambe non mi reggevano più, inciampai e fui costretto a fermarmi.
Sentii
una fitta al cuore, un dolore secco.
Non
so esattamente cosa accadde nei pochi minuti successivi, ma quando
riaprii gli occhi ero disteso sul sentiero sabbioso, a meno di un
metro dal fiume. L'acqua correva veloce, potevo vederne i piccoli
vortici quasi costanti, e me ne sentii visceralmente attratto.
Certo,
che non fossi felice della mia vita non era un fatto particolarmente
degno di nota. È pieno il mondo di gente insoddisfatta, delusa,
senza prospettive, che però non prova l'istinto di buttarsi nel
fiume in una limpida mattina di marzo. Tanto meno di sabato.
Di
domenica, forse, ma di sabato...
Avevo
sete, la bocca secca. Feci per avvicinarmi alla riva, al verde
dell'acqua, al gorgoglio delle onde, come se quell'acqua di fiume
potesse dissetarmi, o annullarmi, ma il corpo non si mosse. Avevo la
testa appoggiata di lato, l'occhio destro schiacciato per terra e
l'altro a guardare l'erba alta, il cielo ostinatamente azzurro.
Provai a sollevarmi sulle braccia ma non avevo più forza. Provai
ancora a muovermi ma era come se fossi legato, riuscii a spostarmi
solo di pochi centimetri. Cominciai a provare un leggero panico. Le
tempie pulsavano, mi sentivo soffocare e un grido mi si smorzò nella
gola. Con un notevole sforzo alzai un po' la testa, abbastanza per
vedere qualcuno che si avvicinava.
Un
vecchio.
Era
evidentemente un pescatore, di quelli che vanno a pescare in mezzo al
fiume, con gli stivali a scafandro e la lenza in una mano, e
nell'altra un secchio verde che dondolava piano, grande abbastanza da
farci stare dei pesci di fiume.
Sono
salvo, pensai.
Il
mio corpo lucido di sudore tremò violentemente e poi ebbe un
sussulto.
Quando
mi vide, il vecchio posò il secchio e la lenza, si fermò a fissarmi
per pochi istanti, schermando il sole con la mano, e poi mi sollevò.
Mi
scrutò ancora, e con un sorriso sbilenco mi buttò nel secchio,
insieme agli altri pesci.
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Questo
racconto partecipa all'EDS La balena non è un pesce insieme a:
Album
di famiglia in un interno – bianco come il bagno nel mese dei
lucci
Lamento di una giovane morta
Il soffio della vita
Austinu
Caramelle
Una mano di bianco
Chi s’è mai sognato di mangiare una rondine?
L'agosto del pesce volante e del pettirosso timido
Missisippi
La lista
Diffidenza
L'incanutito e la salata immensità
Lamento di una giovane morta
Il soffio della vita
Austinu
Caramelle
Una mano di bianco
Chi s’è mai sognato di mangiare una rondine?
L'agosto del pesce volante e del pettirosso timido
Missisippi
La lista
Diffidenza
L'incanutito e la salata immensità
Che sorpresa! Ma brava!
RispondiElimina:D
EliminaTi ho cambiato il titolo: "La solitudine del sabato" basta e avanza... ;-)
RispondiEliminaPer me va bene, ma cosa diranno Melusina e Dario? ;)
EliminaDiranno che ho fatto bene. La parola "improbabile" è vietata.
Eliminaecco, mi sfuggono le regole non scritte della setta degli EDS ;)
Elimina:-) mi hai fatto sentire un po' l'uomo nero :-) contento che tu sia di nuovo qui :-)
EliminaBellissimo. Vorrei scrivere un commento più intelligente ma sono senza parole.
RispondiEliminaGrazie Ciccola!
EliminaiPad magna commenti
RispondiEliminaBuono e cattivo
Brava
Ma allora sono i tuoi commenti ad essere appetitosi... c'è sempre qualcosa che se li mangia... ;-)
EliminaCioé racconto buono
RispondiEliminaMa sei cattiva con lui ( giustamente)
Ciao beso
ma no, l'ho salvato!
Eliminaper farci il fritto?
Eliminahehe :D
EliminaSorprendente finale. Un bel racconto. Complimenti... lo soiler nel titolo però ti scappa :-)
RispondiEliminastavolta no: così l'ho scritto e così è rimasto.
Eliminaè stata la Donna Camel a cambiare titolo...
Un racconto che disorienta, pieno di libertà.
RispondiEliminalibertà, dici? allora non è mica tanto triste
EliminaEheheh... libertà stilistica...
EliminaOrpo! Me l'hai fatto rileggere daccapo!
RispondiEliminaBraua.
Per me correre da solo è fantastico.
anche per me. la corsa è una delle pochissime cose che mi permettono di stare sola ;)
EliminaAnche io l'ho riletto, Brava!
RispondiElimina:D
EliminaAh ma allora ci hai preso gusto! :-)
RispondiEliminaBrava!
mi piacciono le sfide... e qui c'è da lavorare duro!
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