Riflettevo
domenica scorsa, in quella giornata piovosa e grigia piena di
pozzanghere e vento, sulla condizione mia personalissima di
disoccupazione.
Perché in
quella giornata grigia e piovosa di pozzanghere e vento l'Amica di
Arbizzano ha avuto la brillante idea di portarci al circo.
Ora, si sa
che il circo, nonostante sia di per sé, in linea generale diciamo,
un divertimento, il più delle volte mette tristezza. E questo non
soltanto perché quando si decide di andare al circo succede
invariabilmente che piove e tira vento.
È che il
circo, un tendone a righe bianche e blu con in cima le bandiere che
sventolano e le lucine che si accendono a intermittenza, nel mezzo di
una distesa di terra dove non cresce nemmanco la gramigna, circondato
da edifici abbandonati tutti ex-qualcosa, ex macello, ex ghiacciaia,
ex fabbrica, ex mercato ortofrutticolo; il circo, con i suoi camper
grandi come appartamenti, i fili elettrici che attraversano
parcheggi e si perdono nel niente, le insegne colorate, i manifesti
roboanti; con i bigliettai vestiti di rosso vagamente sbiadito, con
le ballerine che sorridono e gli acrobati in tutine attillate che
sembrano volare appesi a un filo, il circo, dicevo, ha un che di
anacronistico.
Ora che il
divertimento è dietro alla porta, e anzi talvolta anche davanti a
bussare prima ancora che tu lo cerchi, sembra strano che ci sia
ancora chi gira di città in città, con il suo baule di piume,
ciglia finte e bottoni dorati, la scatola dei trucchi e il gilet di
lustrini, e quasi ti aspetti di sentir gridare Venghino! Venghino!
Più gente entra più bestie si vedono! dalla
bocca di un imbonitore rugoso e imbronciato come un elefante col
baldacchino.
Succede
tuttavia che il circo possa esercitare un fascino perverso, quello
stesso fascino che ti prende di fronte a certe torte confezionate,
quei plumcake panna e cacao che hanno un aspetto orribile, un profumo
tutt'altro che invitante ma che alla fine ti ritrovi a mangiare tuo
malgrado con un certo gusto quasi stupefatto, riuscendo anche inaspettatamente a non soffocarti con le briciole e a pensare che, in fondo, hai mangiato anche di peggio.
Così
finisce che in quel subdolo senso di tristezza si insinua la stessa
curiosa allegria che sembra pervadere tutti gli astanti. Perché
sotto gli ombrelli gocciolanti, sotto i cappucci bordati di pelo,
sotto le pensiline davanti al tendone, la gente ride, chiacchiera, è
(forse non solo apparentemente) felice e incurante delle
macchie di fango indelebile sulle scarpe di camoscio blu.
E quindi ti
viene fatto di pensare, mentre aspetti che l'AmicoArchitetto prenda i
biglietti dalle mani grassocce della bigliettaia bionda dietro il
vetro, che forse la vita da artista giramondo potrebbe avere una
certa attrattiva, e che il tempo poi non sarà sempre così grigio e
piovoso come quando al circo ci vai in una domenica pomeriggio del
marzo più freddo degli ultimi cinquant'anni.
Così,
mentre entri nel tendone rosso e cerchi posto sulle panche imbottite,
provi a immaginarti con la divisa rossa e oro a distribuire sacchetti
di bonbon e patatine.
E,
sgranocchiando pensierosa un paio di popcorn, guardi il domatore che
stropiccia il muso della tigre, e pensi che i gatti ti son sempre
piaciuti, e quei gatti lì così grossi sembrano morbidi come
peluches e anche piuttosto mansueti, e vagheggi una vita da
giocoliere in bilico su una scala o da equilibrista sul trapezio
appeso nel niente. E leccandoti dita appiccicose di zucchero filato
pensi che anche dondolarsi a testa in giù legata a un nastro rosso
potrebbe avere un certo fascino, anche se non quanto girare in moto
dentro una sfera di metallo o cavalcare in piedi un cavallo bianco, o
stare seduta sulle zanne di un elefante vestita da odalisca.
Ma forse
sarebbe più bello cavalcare un cavallo bianco in riva al mare, o
girare in moto sulle curve delle Dolomiti, la verità.
E anche con
gli elefanti, alla fine sono sicura che mi farebbero cominciare dalla
gavetta, e la gavetta, è risaputo, parte dallo spalamerda. E se non
sapete quanta merda può produrre un pachiderma, provate ad andare al
circo, un pomeriggio piovoso pieno di pozzanghere e vento della
primavera più fredda dell'ultimo mezzo secolo.
Potreste alla fine pensare, come è successo alla Wonder di fronte alla montagna di cacca prodotta da un solo esemplare di elefante di taglia media, che in fondo, in certi casi particolari e nello specifico nel suo caso particolare, essere disoccupata è un po' come trovarsi sulla tavola della colazione quel plumcake dal fascino perverso, che sai che non è buono ma che mangi lo stesso, a tratti con un certo gusto, pensando che, in fondo, c'è anche di peggio.
Potreste alla fine pensare, come è successo alla Wonder di fronte alla montagna di cacca prodotta da un solo esemplare di elefante di taglia media, che in fondo, in certi casi particolari e nello specifico nel suo caso particolare, essere disoccupata è un po' come trovarsi sulla tavola della colazione quel plumcake dal fascino perverso, che sai che non è buono ma che mangi lo stesso, a tratti con un certo gusto, pensando che, in fondo, c'è anche di peggio.