lunedì 12 dicembre 2011

La cena degli auguri

Arriviamo all'appuntamento un po' in ritardo, al 220 di Kang Ping Lu, strada silenziosa e deserta e buia nonostante la luna piena e il cielo limpido, senza stelle.

Nell'ingresso ampio e caldo del Petit Jardin c'è un lungo tavolo apparecchiato con caraffe di sangria e succo di anguria, biscottini dolci e vasi trasparenti con mazzi di fiori di campo. Buttiamo le giacche su un divano e prendiamo un bicchiere, contenti per una volta di aver lasciato le bambine a casa, così possiamo goderci la serata senza correre a salvare la cristalleria ogni minuto.

La gente è ancora in piedi e chiacchiera in varie lingue, anche se prevale l'italiano: ci sono due famiglie di coreani, una di iraniani, qualche inglese e qualche francese e qualche cinese sparso e una decina di italiani, a tratti con prole.

Per antipasto insalata con pomodorini, feta e uova, prosciutto crudo con ripieno di ananas che finisce in un baleno, salame e rucola con grana, olive marinate, formaggi freschi e stagionati, pane casereccio e vino bianco.
Le porte senza maniglie restano sempre aperte, e la gente va e viene con i piatti pieni, e si ferma a chiacchierare in piedi, torna al suo posto o cambia tavolo.
Pasta al ragù, risotto con i funghi, linguine al pesto, e poi pollo piccante (pane e vino rosso in quantità per recuperare l'uso delle papille gustative), filetto con verdure alla griglia, pesce con olive verdi e nere.
Scendendo alcuni gradini la sala si allarga, e accanto alla porta-finestra che lascia spazio a un albero incastrato tra i muri c'è un divanetto, alle cui spalle troneggia una porta, appoggiata come fosse un quadro.

Alle pareti, lunghi scaffali pieni di libri, vasi di edera ricadente, vecchie sedie di legno incastrate sulle mensole, la foto incorniciata di un gatto, ritratti antichi di signore impettite con i capelli raccolti e i fianchi stretti in corpetti con mille bottoni.
I piccoli tavoli quadrati e rotondi sono circondati da sedie di metallo piene di cuscini, sedie di legno e poltroncine con i braccioli, un gatto bianco e rosso è acciambellato su una poltrona e uno tutto bianco più irrequieto gira nelle stanze schivando le gambe degli ospiti.
In un angolo l'albero di Natale, con gli addobbi di stoffa bianca e rossa, in un altro una vecchia cucina economica bianca e verde usata come appoggio per bottiglie vuote e libri impilati. Le luci sono soffuse, e le lucine di natale lampeggiano dolcemente attorno all'albero e sui lampadari, vecchie gabbie di legno per uccelli o di metallo intarsiato. Suona una musica natalizia di cornamuse e di chitarre, coperta dalle grida di bambini e dal mormorio incessante.
Pezzetti di torta al cioccolato e di soffice cheescake. Vino rosso. I nuovi amici, vicini, e qualche faccia sconosciuta, o quasi, di contorno.

Quando usciamo, a mezzanotte, a due passi dal Grand Gateway, la città sembra deserta, l'aria fredda pizzica le guance e le gambe, e per un momento mi sento come tanti anni fa, senza pensieri, mentre saliamo abbracciati sul taxi e la Rebecca, amica cinese, si allontana per mano al fidanzato e saluta agitando la minuscola borsetta.

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