giovedì 2 agosto 2012

Di brevità e intensità di una fuga programmata (amici da una vita #4)

*Warning* - questo è un post che Morelle definirebbe infestante. Assicuratevi di avere almeno venti minuti di tempo prima di proseguire. In alternativa, potete prendervi una pausa alla fine del primo tempo. 
Non è prevista la fornitura di viveri di conforto.


Certe volte hai bisogno di staccare la spina.
Vorresti poter fare delle cose senza dover pensare prima a loro, alle tue figlie.
Che ami tantissimo, che sono tutta la tua vita. (Sì, ecco, appunto).
E non è una questione (solo) di organizzazione, di avere due ore di libertà. È che fare la mamma ti cambia le prospettive. Fare la mamma è una vocazione, come fare il medico, il missionario, quei mestieri lì, che ci devi essere portato, perché non c'è sabato o domenica, non c'è vacanza, sei sempre a disposizione.
Quando fai la mamma non puoi dire semplicemente Oggi no, non ho voglia. Di cucinare. Di giocare. Di ascoltare. Di raccontare per la ventesima volta la stessa storia della buona notte.
Non puoi nemmeno dire Oggi che è domenica dormo fino alle dieci, che c'ho sonno. Neanche fino alle nove. Certe volte neanche fino alle otto.
Non puoi decidere di andare a correre mezz'ora tutte le mattine, per tenerti in forma. Non che lo farei tutte le mattine. Ma magari qualche volta sì.

E allora succede che un giorno sei al mare, e stai bene, è tutto bello ma ti senti un po' triste e stanca perché hai due bambine sotto i tre anni e sei ancora incinta e non te l'aspettavi, e hai bisogno di qualcosa per il mal di testa e dici Vado fino alla farmacia, e lasci marito e figlie in albergo a farsi la doccia e cammini per la strada con il sole in faccia, basso all'orizzonte ma ancora caldo, e vedi l'ombra di un treno che passa sul cavalcavia, e c'è anche una stazione, poco distante. E tu vorresti prendere quel treno, che non sai dove va, e pensi che di soldi ne hai un po', abbastanza per andare da qualche parte, purché sia un posto lontano e sconosciuto, e prima di arrivare alla farmacia sei già partita, su quel treno, e ti stai facendo un film in testa, e pensi a cosa farà lui quando non ti vedrà tornare, e hai il cellulare con te e saresti reperibile, e gli diresti che vuoi solo stare sola un po', un paio di giorni, o forse tutta la vita, oppure spegneresti quel telefono e lui non saprebbe niente, e andrebbe dai carabinieri e loro potrebbero dire che uno è libero di andare dove vuole, se è maggiorenne, anche se non è mica tanto vero, a pensarci, e con quella cosa del gps ti troverebbero, saprebbero subito dove sei, verrebbero a prenderti e direbbero che sei una mamma stressata e depressa e ti darebbero qualche ricostituente e due pacche sulle spalle.
E mentre spingi la porta a vetri della farmacia sai che non avrai mai il coraggio di prendere quel treno.
Però lo sai anche che quella voglia ti resterà, un po', anche quando andrà tutto bene, anche quando ti sarà passata la stanchezza, anche quando le tue figlie saranno grandi, perché è proprio il fatto di essere mamma che ti nega la libertà.
Come ha detto quella scrittrice sudamericana a proposito della differenza tra uomo e donna nel gesto creativo,
c'è sempre una donna che chiude a chiave la porta perché il genio maschile possa esprimersi; lo separa dal mondo, risolve tutto per lui in modo che possa rimanere concentrato e puro, tiene alla larga gli intrusi e le quisquilie quotidiane e provvede a tutto a tutto all'esterno cosicché all'interno lo spazio possa irradiare solo la sua luce. A una donna […] nessuno fa il favore di chiudere la porta. Se poi è madre, non riuscirà neppure a chiuderla da sé. Al primo lamento del figlio, anche se ha già vent'anni e vive in un altro continente, l'aprirà, si lascerà alle spalle la dimensione sublime di non so quale creazione e correrà da lui. In altre parole, non è solo il fatto di non avere una sposa devota che ci impedisce di isolarci: è la maternità. La maternità e l'isolamento sono realtà irreparabilmente in conflitto. (Marcela Serrano, L'albergo delle donne tristi, traduzione di Simona Geroldi, Feltrinelli 2001, p. 148).
Il discorso non è limitato al gesto creativo. E una non lo sa, a cosa va incontro, quando diventa mamma. O forse si illude che per lei sarà diverso, che quel mamma pronunciato cento volte al giorno la commuoverà ogni volta, e tutto ruoterà intorno a quel figlio e a quello che fa, mangiare dormire fare la cacca ridere piangere camminare parlare fare le capriole, e così per tutta la vita. E sarà pronta, sì, ad alzarsi dal gabinetto nel mezzo del suo gesto creativo quotidiano alla prima voce del pargolo.
Siamo fatte così.


Allora siccome certe volte hai bisogno di staccare la spina, di sentirti libera com'eri prima che un ciclone travolgesse per tre volte la tua vita, alla fine fai in maniera lecita e organizzata quello che anni prima non avevi avuto il coraggio di fare.
E ti ritrovi sul sedile passeggero della macchina della tua Amica di Arbizzano, mentre lei guida verso una destinazione lontana ma conosciuta, a parlare di tutto, a spettegolare, a ricordare gli amici comuni, le risate, le sfighe, le stanchezze e il lavoro che vi hanno separate in questi anni, con il cellulare sempre acceso ma con la mente già in vacanza anche mentre mangi un bretzel e bevi una birra Forst nel giardino d'estate della Forst, con il cellulare acceso ma con la testa già sulla montagna, in mezzo alla neve dell'estate.
E quando arrivate, tu con le infradito-gioiello e la canotta e i pantaloncini corti, lei con i pantaloni bianchi i sandali e la collana a sei giri, respirate l'aria fredda della montagna e riempite i polmoni di libertà, saltate l'aperitivo di benvenuto perché ormai non c'è più tempo e andate a mangiare subito ché ormai son quasi le otto e il ristorante chiude, in montagna si va a letto presto, e fate un giro fuori a guardare le stelle che sono vicinissime, finché un sedicente astronomo montanaro non commenta il vostro look cittadino del tutto inappropriato e vi invita a bere qualcosa al pub. E non c'è nient'altro, in quel posto, se non l'albergo e il pub, e la funivia che porta a tremila metri, e allora lo seguite al pub, quel montanaro che ha un nome ch'è tutto un programma, perché non lascia crescere l'erba da quanto parla, un montanaro logorroico non s'era mai visto. E il barista, un barista che sputa fuoco dopo aver bevuto lo Stroh, quel barista che doveva offrirci l'aperitivo ci offre una grappa, e poi un'altra, e un'altra ancora, albicocca prugna noce, finché non sono brilla e rido anche per le barzellette, che a me le barzellette non mi fanno ridere mai. Quasi mai.
E il giorno dopo saliamo sulla funivia, che all'Amica di Arbizzano piace un casino che ce l'ha pure in casa, in miniatura, e resta affascinata quando le cabine si incrociano, e tutte le volte le guarda come se fosse la prima volta e mi dice è partita! che ore sono?, per vedere se è vero che parte ogni mezz'ora, e arriviamo in cima, tremiladuecentododici metri di montagna e un ghiacciaio piccolo e sofferente e pietroso e grigio, grigio come una coda di topo, sarà per quello che si chiama Coda Grigia, ma noi siamo lì, con il bianco della poca neve negli occhi e il cielo più blu del blu, a guardare i ragazzi che fanno acrobazie sul piper con lo snowboard e a scodinzolare con i nostri sci a noleggio giù per l'unica pista, già con il fiatone dopo la prima discesa.
E vorrei vedere voi a tremiladuecentododici metri dopo sei anni che non vai in palestra.

E io ho quella maglietta rossa dove c'è scritto WonderWoman che mi hanno regalato i Pado, e sotto il costume, perché l'Amica di Arbizzano mi aveva detto che c'era caldo, a sciare d'estate, e io lo sapevo che qualcuno scia in maniche corte, e lei mi ha detto Se ti senti figa puoi sciare anche in costume, e in realtà no, non è che proprio mi senta figa da sciare in costume ma lo farei, così per ridere, che tanto non c'è mica tanta gente, a sciare, e poi per trasgredire un po', ma non fa mica così caldo da stare in due pezzi.
Però quando abbiamo finito di sciare, a mezzogiorno, che la neve è sciolta e non ci si riesce più, a fare le belle curve morbide, ci mettiamo sulla terrazza a prendere il sole, il sole di tremiladuecentododici metri con la neve intorno, erano anni che non lo facevo, e ci togliamo anche i pantaloni da sci, e gli scarponi e le calze, e mi sento così bene che non ho niente da dire, e un po' stiamo in silenzio a goderci la montagna e un po' ridiamo e mangiamo i panini della colazione, che ce li siamo portati via anche se non si poteva, di nascosto, sotto la maglietta, dei panini morbidi con i semi di girasole imbottiti di speck e formaggio, e poi compriamo due arance e due pesche e le paghiamo un euro l'una, e la ragazza alla cassa ci fa pure lo sconto ché costavano un euro e trenta, ma d'altra parte sei al self service a tremiladuecentododici metri, mica dal frutaròl del porto che con un euro e trenta ce ne compri un chilo, di arance.
Chissà servito quanto ci costava.
E poi stiamo un'ora nella vasca idromassaggio, che penso sia la ragione per cui non mi fanno male tutti i muscoli, e ogni tanto le bolle si spengono e devi schiacciare un bottone per farle ripartire, e abbiamo tutta la vasca per noi, e l'acqua arriva fino al mento, e anche un pochino più su, e le bolle sono forti e sollevano le gambe e la mente e il cuore e stampano in faccia un sorriso che ci resta attaccato tutta la sera.
Per cena ci mangiamo canederli e zuppa di gulasch e pesce alla brace e crema catalana, e mentre fuori si scatena il temporale ci beviamo un afterdinner e ci sentiamo bene, stanche, felici, strane, brille, libere, libere, libere.

Amica, dove si va la prossima volta?

12 commenti:

  1. Ciao,io sono Betty e a dirtela tutta ti leggo per la prima volta oggi, ma dal tenore del tuo post credo proprio che siamo accomunate da molto : l'altro giorno, dopo l'ennesimo litigio con il primo figlio ( anch'io ne ho tre , 15 -13- 8...adolescenti!!! )ho provato il fortissimo desiderio di essere seduta in un metropolitana di una città qualsiasi, diretta verso non so dove ma LONTANO e soprattutto DA SOLA...


    PS: ho letto i 9/decimi dei libri che hai segnalato tu, peccato che non sto a Shangai ma in provincia di Bergamo, potevo passartene altri..

    Betty

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    1. Ciao Betty, benvenuta!
      a volte penso a cosa farò quando le mie tre saranno adolescenti... aiut! vabbè, ogni cosa a suo tempo ;)
      i consigli per buone letture sono sempre ben accetti!

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  2. meglio di Barcellona... che invidia!
    L'AleS

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  3. Concordo con AleS! Sto anche lacrimando!
    Anch'io vorrei scappare....

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  4. le cose brevi ma intense sono fantastiche, ti fanno compagnia a lungo!

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  5. Uao, una fuga così farebbe tanto comodo anche a me, che sono al primo giorno di vacanza al mare e già mi manca la sedia a rotelle dell'ufficio!

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    1. alle volte l'*adiacenza* dei figli ti fa invidiare chi lavora...
      coraggio, la vacanza passa in fretta! :D

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  6. Thelma&Louise in versione dolomitica (a meno del finale, ovviamente...)...

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    1. e infatti avevo pensato anche a quel titolo lì!
      poi vabbè, la fuga senza ritorno mi è sembrata troppo drammatica ;)

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